“Niedziela” (“La Domenica”, settimanale polacco), n. 17, 23 aprile 2017
di Włodzimierz Rędzioch
[intervista del settimanale polacco a Stefano Fontana direttore dell’ Osservatorio Internazionale Van Thuân per la Dottrina sociale della Chiesa, il quale ha dedicato il suo VIII rapporto al fenomeno delle migrazioni (NdR)]
Come mai l’Osservatorio Internazionale Van Thuân ha deciso di consacrare il suo VIII Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo alle migrazioni?
Perché i grandi fenomeni migratori della nostra epoca sono davanti ai nostri occhi e sono destinati a cambiare alla radice l’assetto mondiale e interno alle nostre società occidentali. Ci siamo voluti occupare di questo fenomeno perché non vengono spiegati in modo adeguato né dagli specialisti né dai mass media. Inoltre c’è la sensazione diffusa è che “dietro” questo fenomeno presentato come improvviso e spontaneo si nasconda invece una organizzazione e perfino una pianificazione.
C’è chi spiega le migrazioni con motivi puramente economici…
Le motivazioni economiche ci sono ed influenzano il fenomeno, ma non lo spiegano completamente. Spesso gli immigrati clandestini provengono da Paesi con una discreta prospettiva di crescita economica per il futuro e arrivano in Paesi come l’Italia ove il Pil pro capite è in picchiata dal 2001 e la disoccupazione molto accentuata.
Ma si dice che, per motivi economici, ai Paesi occidentali conviene accettare i migranti…
Il costo dell’accoglienza di un immigrato è superiore al beneficio economico che egli può dare al Paese che lo accoglie. Non è vero il luogo comune che gli immigrati garantiscono il pagamento del sistema pensionistico in un Paese, come l’Italia per esempio, in cui la fascia della popolazione lavorativa si assottiglia rispetto a quella a riposo. Gli immigrati non rimpiazzano le culle vuote, un immigrato non sostituisce un mancato neonato.
L’Occidente è da decenni colpito dalla denatalità: nelle società occidentali c’è un forte calo demografico. Allora bisogna compensare il calo con i migranti, che di solito sono più prolifici…
Il calo demografico in Occidente è stato pianificato e voluto. Bisogna ricordare che per decenni gli organismi e le agenzie internazionali, i governi, le grandi fondazioni statunitensi si impegnavano non solo a disincentivare la famiglia e la natalità, ma anche a promuovere l’aborto e la contraccezione, per valorizzare stili di vita individualisti e sterili, per trasformare la concezione della donna e per promuovere sistematicamente e con ogni mezzo l’ideologia del gender.
Si sa che i migranti non arrivano in Europa da soli, che ci sono dei trafficati di uomini. Non bisogna colpire appunto chi organizza il traffico di esseri umani?
C’è una rete di delinquenza che gestisce a livello internazionale i flussi migratori, ci sono perfino tariffe a seconda delle varie destinazioni in cui si vuole arrivare. Ciò non elimina, naturalmente, il rischio e non evita che i migranti si sottopongano a viaggi dalle caratteristiche disumane, anzi spesso tutto questo viene aggravato dalla spietatezza delle organizzazioni del traffico clandestino. Sarebbe possibile attuare nei confronti di queste organizzazioni una comune azione di polizia, che finora non è stata mai nemmeno tentata. E questo dimostra che le migrazioni sono un fenomeno tollerato ma anche pianificato.
I trafficanti portano in Europa i profughi che scappano dalle guerre e i richiedenti asilo perseguitati nei loro Paesi, ma anche tante persone che cercano una vita migliore. Possiamo accoglierli tutti?
Sta emergendo l’idea condivisa che anche chi espatria semplicemente per avere una vita migliore che in patria non gli è possibile ottenere, ossia chi non è profugo o richiedente asilo, abbia diritto all’assistenza umanitaria, all’accoglienza e all’integrazione. Ma ragionando così si rischia di provocare una migrazione dalle proporzioni incalcolabili. Gli stati non riuscirebbero più a controllare i flussi migratori, diventandone vittima. E in questo modo si mette in pericolo il concetto di bene comune della società e si impedisce alle autorità politiche di perseguirlo. Questo non può essere accettato.
Si parla tanto dell’integrazione dei migranti che grazie alle politiche d’inclusione potrebbero diventare validi cittadini dei Paesi europei. Secondo Lei, i processi d’integrazione hanno funzionato?
Le visioni dell’integrazione nei Paesi occidentali sono molto differenti tra loro. Ma manca però una idea condivisa di integrazione. Cosa significa questa parola? La soluzione multiculturalista ha fallito ma non è stata sostituita da nessun’altra. In questo si nota la principale deficienza dei Paesi occidentali. La soluzione multiculturalista consisteva nell’accogliere gruppi omogenei di immigrati per cultura e religione e permettere loro di continuare nei Paesi ospitanti a praticare le loro forme di integrazione sociale per gruppi chiusi. Qualcuno aveva parlato di “balcanizzazione”. Negli Stati europei ci sarebbero numerose enclaves autonome e con vita propria. Per di più immigrati di oggi mantengono i rapporti con i Paesi di origine tramite internet, skype e i telefoni cellulari e fanno più figli delle famiglie dei Paesi ospitanti: questo rende molto difficile il processo di integrazione. Essi possono rimanere quello che sono, cercando magari di sfruttare i vantaggi dello Stato sociale occidentale. Per questi motivi molti osservatori dicono che l’integrazione è impossibile.
La parola “integrazione” presuppone che c’è una società con i propri valori, le leggi, la cultura e le tradizioni che riflettono la sua storia, che accoglie gli emigrati. Ma i nuovi arrivati in che cosa dovrebbero integrarsi?
Uno dei motivi per cui l’integrazione è difficile o impossibile è il vuoto culturale dei Paesi occidentali ospitanti. La loro mancanza di identità, franata sotto la pressione del laicismo e dell’individualismo nichilista, fa in modo che essi non abbiano nulla da proporre e opporre ai nuovi arrivati. Nel pluralismo esasperato delle società occidentali vengono accettate anche visioni culturali e pratiche sociali inaccettabili, come per esempio il fenomeno delle spose-bambine o la poligamia.
Mi sembra che da un po’ tempo il magistero sociale della Chiesa non si occupi del tema della nazione e dell’identità culturale nazionale e questi temi sono di primaria importanza nel contesto delle migrazioni di massa di persone con altra identità nazionale, culturale e religiosa…
L’ultimo ad occuparsene con una certa sistematicità è stato Giovanni Paolo II sia nell’Enciclica “Centesimus annus”, sia in numerosi discorsi, sia nel libro “Memoria e identità”. L’uomo è incomprensibile – così egli insegnava – se non dentro la cultura della sua nazione e nella memoria della propria identità. In queste considerazioni di Giovanni Paolo II deve essere stata centrale la storia della Polonia, la memoria della cui identità ha fatto tutt’uno con la memoria della Chiesa circa la propria identità. E’ per questo che oggi la Polonia è tra le nazioni dell’Unione europea quella più recalcitrante ad assumere modelli di ragionamento imposti da Bruxelles ed è anche quella che oppone più resistenza ad una immigrazione forzata ed avente come scopo la società multiculturale che è la negazione della nazione.
Il problema è che oggi si presenta la società multiculturale, multietnica e multireligiosa come qualche cosa di positivo, allora perché integrare i differenti?
E’ vero che la prospettiva multiculturale e multireligiosa delle società occidentali del futuro viene presentata come qualcosa di positivo. La diversità, si dice, è un bene e dalle rispettive diversità tutti trovano giovamento. La società monoculturale o a cultura prevalente viene considerata superata, asfittica e bigotta. Gli organismi internazionali e i centri di potere mondiali premono in questo senso, sicché la società del futuro sarà multiculturale e multireligiosa in modo forzato e imposto, e le migrazioni sembrano funzionali a questo progetto. Il possibile passaggio successivo potrebbe essere la costruzione di una nuova cultura convenzionale e una nuova religione civile ove far convergere tutti i cittadini. Una specie di nuovo progetto kantiano per una “pace perpetua”, oppure qualcosa che si avvicina agli obiettivi massonici e gnostici di una religione universale che ponga fine ai conflitti culturali e religiosi unificando tutti in una super cultura e in una super religione dell’umanità.
Allora, la società multiculturale non sarebbe che un passaggio verso una società del pensiero unico, gestita dagli organismi internazionali e dai centri di potere mondiali e imposta a tutte le nazioni, indebolite al proprio interno dal multiculturalismo. Qualcuno potrebbe obiettare che anche la Chiesa parla dell’unità del genere umano…
La concezione cristiana dell’unità del genere umano ha un fondamento teologico ineccepibile nella comune natura di figli di Dio Creatore, ma è organicamente ricca e non rifiuta le identità nazionali che come tali si rapportano anche alla dimensione religiosa. Trascurando il tema della nazione si notano vari possibili pericoli. Il primo è che si vedano le migrazioni solo come migrazioni di singoli individui e non come migrazioni di popoli, culture e religioni. Sarebbe un errore molto rilevante. Il secondo pericolo è che si trascuri il bene comune dei cittadini: nell’accogliere gli immigrati il potere politico dello Stato accogliente deve tenere in conto anche il bene comune della propria comunità politica e deve preservare l’identità o le identità culturali che ne costituiscono la memoria viva. In terzo luogo c’è il rischio di uno scivolamento pericoloso della Chiesa nel linguaggio e nella mentalità degli odierni organismi internazionali. Ma la Chiesa cattolica non può adoperare lo stesso linguaggio ideologico dell’ONU.
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