Tradizione famiglia e proprietà – dicembre 2014
Le elezioni di midterm negli Stati Uniti hanno ridotto Barack Obama a ciò che nel gergo politico americano si chiama lame duck, un’ “anatra zoppa”. Si fa quindi largo un possibile rilancio della candidatura di Hillary Clinton. Forse è il momento di dare un’occhiata a qualche aspetto inquietante del suo passato
di Raffaele Citterio
Pochi in Italia conoscono Saul David Alinsky (1909-1972). Eppure, la sua influenza sulla sinistra populista nordamericana è stata, ed è ancora, enorme.
Il rivoluzionario professionale
Alinsky nacque a Chicago da genitori ebrei di origine russa. Di temperamento ribelle, collaborò per molti anni col Partito comunista, servendo anche come fund-raiser per le Brigate internazionali durante la guerra civile spagnola. Frequentò per alcuni mesi il quartiere generale del gangster Al Capone, da cui imparò l’uso del potere. Presto, però, egli si rese conto che la rivoluzione comunista negli Stati Uniti non aveva la benché minima possibilità di successo.
Iniziò allora a teorizzare una “rivoluzione populista” che, sull’onda dello slogan “power to the people“, avrebbe dovuto suscitare una miriade di piccole rivoluzioni a livello locale, col trasferimento del potere dalle istituzioni alle Peoples’ Organizations da lui create. Queste organizzazioni avrebbero dovuto mettere in pratica la democrazia diretta e l’autogestione comunitaria, arrivando quindi direttamente alla meta ambita da Marx e Engels: “La forza rivoluzionaria deve esercitare la violenza, urlando: Dobbiamo bruciare il sistema fino alle fondamenta! Il rivoluzionario non deve avere nessuna illusione sul sistema “.
Le idee di Alinsky sono contenute, fondamentalmente, in due libri: «Reveillefar Radicals» (1946) e «Rules far Radicals» (1971), quest’ultimo dedicato a “Lucifero, il primo radicale della storia”. Esiste anche una lunga intervista a “Playboy” (aprile 1972), nella quale egli sviluppa il suo pensiero. Proprio in questa intervista lo scrittore e attivista statunitense dichiarò: “Se esiste una vita dopo la morte, io sceglierei risolutamente di andare ali ‘inferno. L’inferno sarebbe il paradiso per me. I dannati sono la mia gente“. Due settimane dopo, morì per un attacco cardiaco fulminante in Carmel, California.
Hillary e Alinsky
Saul Alinsky fu il mentore ideologico di Hillary Rodham Clinton.
Hillary Rodham cominciò la sua carriera politica nella destra. Volontaria nella campagna elettorale di Barry Goldwater nel 1964, nel 1965 entrò nel Wellesley College, una delle scuole più esclusive del Paese, diventando presidente dei Giovani Repubblicani. Presto, però, Hillary cominciò a scivolare a sinistra, fino a diventare una nota attivista nel campus. Volendo approfondire il suo impegno rivoluzionario, nel 1968 andò a Chicago per incontrare Saul Alinsky, già affermato “guru” dell’estrema sinistra populista.
Dopo tre ore di conversazione, il vecchio rivoluzionario le offrì un lavoro come community organizer, vale a dire come agitatore professionale. Pur condividendone gli obiettivi, Hillary respinse l’offerta perché “pensavo che il sistema si poteva cambiare dall’interno”. Evidentemente aveva già progetti politici.
Affascinata comunque dal personaggio, la giovane attivista fece la tesi di laurea su: “Esiste una sola lotta. Un’analisi del modello Alinsky”. Per l’elaborazione della tesi, Hillary incontrò Alinsky altre due volte. Pur criticandone alcune tattiche, Hillary assunse la struttura portante del pensiero di Alinsky riguardo alla soluzione dei problemi sociali. Nel 1993 Hillary dichiarò al “Washington Post”: “Io penso che, fondamentalmente, Alinsky aveva ragione nel suo approccio ai problemi sociali“.
Negli anni successivi, Hillary collaborò più volte con l’Industriai Areas Foundation (IAF), la macchina politica di Alinsky. In due occasioni fece addirittura da testimonial per la Washington Interfaith Network, affiliata alla IAF.
Una volta arrivata alla Casa Bianca, però, durante la presidenza del marito, le esigenze della sua immagine politica la costrinsero a nascondere i suoi legami con Alinsky. La Casa Bianca chiese al Wellesley College di sigillare la tesi di laurea della First Lady, che rimase inaccessibile ai ricercatori fino al 2002. Anche oggi, il testo è consultabile solo previo appuntamento nella biblioteca del College.
Lettere compromettenti
I difensori della leader democratica sostengono che la sua analisi su Alinsky fosse meramente accademica, senza implicazioni ideologiche. Recentemente, però, è venuta alla luce una lettera di Hillary Clinton ad Alinsky, che mostra fino a che punto lei ammirasse il rivoluzionario di Chicago e ne sposasse la causa. Nella lettera, datata 8 luglio 1971, Berkeley, Hillary chiedeva ad Alinsky “Quando esce il suo nuovo libro [«Rules jor Radicals»]. O forse è già uscito e io ho mancato il compimento della Rivelazione? Ho avuto migliaia di conversazioni su «Reveille» e ho bisogno dì nuovo materiale per spronare le persone. Lei adesso è valutato dai politici della Nuova Sinistra. (…) Sono sopravvissuta alla scuola di Giurisprudenza, con il mio zelo come agitatrice intatto. Non avrò mai parole sufficienti per ringraziarla delle sue incoraggianti parole la scorsa primavera“. Affermando “mi mancano le nostre conversazioni“, Hillary chiedeva se fosse possibile incontrarsi di nuovo.
La risposta arrivò dalla segretaria di Alinsky, allora all’estero, che le propose alcune date per l’eventuale incontro: “Poiché conosco i sentimenti del sig. Alinsky nei suoi confronti, mi sono permessa di aprire la lettera”.
Una certa propaganda vorrebbe presentare Hillary Clinton come una leader sensata e credibile. La sua ammirazione per Saul Alinsky ci mostra una realtà molto diversa.
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“Non possiamo dimenticare di rendere omaggio al primo radicale della storia, il primo che si ribellò contro l’establishment e lo fece in modo tanto efficace da conquistare il suo proprio regno: Lucifero”
Saul Alinsky