La Nuova Bussola quotidiana
16 Giugno 2021
Il cattolico omissivo ha nel suo armamentario tre parole magiche – prudenza, opportunità, momento – di cui si serve per sparire dal luogo dove è attesa la sua testimonianza. L’omissivo sa che l’amica che vuole abortire o la coppia che pensa alla fecondazione artificiale sono in errore, ma non fa nulla. Fa melina con la propria coscienza. Nemmeno, però, si deve cadere nel vizio opposto, perché a volte la vera prudenza esige di non fare e non parlare.
di Tommaso Scandroglio
Qualche giorno fa ci siamo occupati del cattolico ombra. Oggi mettiamo sotto la lente di ingrandimento un altro inquilino che abita in casa cattolica. Ci riferiamo al cattolico omissivo. Innanzitutto è da rilevare che il cattolico omissivo ha nel suo armentario tre parole magiche capaci di salvarlo in ogni occasione: prudenza, opportunità, momento. Le quali parole in genere vengono così usate: «ci vuole prudenza», «non è opportuno», «al momento giusto».
Termini magici che lo fanno sparire dal luogo dove è attesa la sua testimonianza. Ad esempio: il cugino ha divorziato? Non è opportuno ora andargli a parlare. L’amica vuole abortire? Ci vuole prudenza, sono situazioni delicate. La coppia degli amici delle vacanze si è messa in lista per la fecondazione artificiale? Al momento opportuno li chiamiamo, magari con il pretesto delle vacanze da programmare (e intanto saranno già andati in clinica).
Il conoscente che gestisce il bar dove andiamo sempre vende cocktail a base di cannabis? Non mettiamolo in difficoltà davanti ai clienti.
Che il lettore faccia bene attenzione. Il cattolico omissivo non dice: «Se il cugino ha divorziato o l’amica vuole abortire o gli amici desiderano un figlio in provetta o il conoscente vende derivati della cannabis sono fatti loro. Ognuno è libero di fare le scelte che vuole», anche se questo entra in rotta di collisione con quanto insegnato dalla Chiesa, aggiungiamo noi.
No, questo è un altro tipo di cattolico di cui forse ci occuperemo in futuro. Il cattolico omissivo sa che il cugino, l’amica, i compagni di vacanze e il conoscente hanno sbagliato e dunque non rimane invischiato in un contraddittorio pluralismo dottrinale, però – ed è questo il problema – non fa nulla. Decide di non decidere. Promettendo agli altri che prima o poi scenderà in campo, sa bene che non lo farà mai. Fa melina con la propria coscienza, procrastina all’infinito sperando che la situazione diventi così compromessa che de facto andrà in prescrizione.
E così il tempo diventerà suo alleato e si troverà ad ammettere: «Ma cosa vuoi che vada a dire a mio cugino dopo anni che ha divorziato? L’aborto ormai c’è stato, non andiamo a riaccendere un dolore antico. Il figlio in provetta ha già tre anni, mi pare fuori luogo ora mettere in stato di accusa i nostri amici. Quel cocktail spinelloso è in carta da tempo immemore, se gli faccio un appunto lui mi potrà rispondere: “Perché non me lo hai detto prima?”».
Dunque il cattolico omissivo è maestro nell’indietreggiare, nel temporeggiare, nel sottrarsi. L’astensione è il suo credo, il suo apostolato e la sua arma pastorale preferita. Lo spazio vuoto è la sua identità. Preferisce la sottrazione delle occasioni all’addizione e alla moltiplicazione delle stesse, trovandosi in grave difficoltà allorquando deve fornire una esegesi convincente del seguente passo paolino: «Insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna».
Altro suo grande alleato, oltre al tempo, in questa strategia rinunciataria sono gli effetti collaterali. Il soggetto credente omissivo non entra in azione perché se lo facesse: 1) metterebbe in imbarazzo le persone, quando invece è lui a sentirsi in imbarazzo a dire una parola giusta in più; 2) urterebbe la loro sensibilità, quando invece la loro sensibilità ha la peculiarità di essere insensibile al vero; 3) i rapporti di amicizia si romperebbero, quando invece l’amicizia esigerebbe ogni tanto una parola franca per essere rinsaldata; 4) si darebbe una immagine falsa di sé e della Chiesa, quando invece la parola adatta aiuterebbe a cancellare l’immagine di un popolo di credenti assai insipidi.
In breve il cattolico omissivo si vende come fine stratega che aspetta il momento più propizio per ghermire la preda, che sa conciliare fedeltà al Vangelo e carità, chiarezza di idee e misericordia. Non è un grezzo cattotalebano che si espone sempre e a sproposito, ma sa fiutare il vento (dello Spirito). Tace, conscio che il suo silenzio è eloquente.
Detto ciò, attenzione a non cadere nel vizio opposto. A volte la virtù della prudenza – che non è invece il vizio della codardia appena descritto – esige di non fare e di non parlare (San Paolo ci comanda di insistere nei momenti opportuni, cioè favorevoli, e non opportuni, ossia neutri, ma non comanda di insistere nei momenti inopportuni, ossia sfavorevoli, quindi dannosi).
A volte è bene omettere un’azione astrattamente buona per un bene maggiore che può voler dire: evitare che gli effetti negativi delle nostre azioni superino quelli positivi. Gesù docet quando parlò della zizzania.
Un esempio tratto da una vicenda accaduta realmente. Un gruppo di docenti cattolici di un ateneo italiano assai importante erano arcistufi di tutta una serie di iniziative arcobaleno che si svolgevano in università con la benedizione dei vertici accademici. C’era chi aveva proposto di scendere in piazza, di protestare, di scrivere al rettore e ai giornali. Prevalse un’altra linea e fecero bene: prevalse la strategia del non fare nulla. Per quale motivo? Perché i docenti cattolici erano quattro gatti.
Le lobby Lgbt dell’ateneo e soprattutto quelle fuori di esso, ben più potenti e numerose, avrebbero avuto facilmente la testa di ciascuno servita su un piatto d’argento, li avrebbero seppelliti sotto cumuli di critiche. Sarebbero stati dipinti senza appello come omofobi, intolleranti, non inclusivi, retrivi e tutta la solita litania di insulti made in Gayland. Insomma sarebbe stato da stupidi uscire dalla barricata e gridare a un centinaio di cecchini: «Vi ammazzo tutti!».
Quel poco di bene che avevano seminato e, soprattutto, che avrebbero potuto seminare in futuro tra gli studenti sarebbe scomparso. Un docente professionalmente e mediaticamente «morto» non serve più a nessuno. Esempi simili si possono moltiplicare all’infinito.
Il cattolico omissivo è in genere ben istruito su queste casistiche e le usa per celare le proprie timidezze, le proprie vigliaccherie, le proprie pavidità. Insomma usa il paravento della prudenza per mandare avanti gli altri e dire di aspettare il momento opportuno. Ma – ed è qui che sta il problema – il momento opportuno non arriva mai: perché siamo sotto le feste, perché le feste sono appena finite, perché i figli hanno ripreso la scuola, perché hanno appena finito la scuola, perché Tizio non è dell’umore adatto per parlarci o perché è in lutto, gli è nata la figlia, si è appena sposato, ha perso il lavoro, ne ha trovato uno nuovo, ha fatto trasloco.
E alla fine, dopo mille treni che sono passati dalla sua stazione, il cattolico omissivo, con un certo sollievo per aver scampato il pericolo, allargherà triste le braccia e sospirando ammetterà: «È troppo tardi». Insomma, avrebbe voluto, ma le circostanze gli hanno remato contro. Tante buone intenzioni quante occasioni perse.
Ma se il bene si può omettere, al giudizio finale non si può scampare. A questo proposito giova ricordare che il cattolico omissivo si ciba della tiepidezza e «poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca».