La vera povertà in un mondo di rovine materiali è la perdita della capacità di meravigliarsi e di sondare in profondità la vita e l’umanità, fino a trovarne il senso trascendente, quale che ne sia la condizione, mentale, fisica, sociale.
di Giovanni Formicola
Dov’è la novità? Che cosa c’è di speciale? Un numero da circo come tanti. Solo che lui è un tronco d’uomo, senza braccia – solo qualche centimetro d’omero sporgente – e senza gambe, con due «piedini» focomelici per reggersi e spostarsi come può. È Will, il protagonista di uno straordinario cortometraggio, che su Youtube conta centinaia di migliaia di contatti, intitolato El circo de la mariposa. E non c’è trucco: Will è interpretato da Nick Vujicic, nato a Melbourne nel 1982, accolto, cresciuto ed educato da genitori serbi proprio così, affetto dalla rarissima tetramelia, privo di tutti e quattro gli arti.
Un uomo che ha imparato a utilizzare i suoi «piedi» per scrivere, usare il computer, radersi, versarsi un bicchiere d’acqua. Si è laureato in economia, gira il mondo come conferenziere «motivazionale», in ogni ambito, compresi quelli aziendali. È direttore dell’organizzazione Life without limbs («Vita senza arti») e ha scritto Senza braccia, senza gambe, e senza preoccupazioni.
«Ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo» – dice –, testimone vivente di come non esistano vite senza valore, indegne di essere vissute, se non nella mente di chi le vive o di chi non accetta che siano vissute, oltre che dei pianificatori di una società «razionale». Naturalmente è cristiano, e predica ovunque la sua fede.
Nel «corto», ambientato ai tempi della grande depressione americana, è un fenomeno da baraccone. È esposto – letteralmente: al dileggio e alla perfidia degli spettatori, per il loro divertimento –, con altri monstra, come «L’uomo – se così si può dire – senza arti, cui anche Dio ha voltato le spalle», in un Luna park. Ma proprio nel luogo dei suoi tormenti, in cui la dignità della persona è annichilita, dove ogni giorno si convince di essere un non-uomo, un progetto non riuscito, gli accade l’incontro della vita: il direttore di un circo.
Quando questi lo avvicina, convinto che anche lui voglia deriderlo, gli sputa. L’uomo capisce che Will non poteva capire le sue intenzioni: si pulisce il viso e si scusa. Ma nel suo atteggiamento c’è qualcosa di più. Come nel volto e negli occhi di Will. Che apprende da un suo compagno a chi aveva sputato. C’è un lampo nel suo sguardo, e lo ritroviamo nascosto nel cassone di uno dei furgoni della compagnia.
Il direttore lo accoglie nel circo, come aveva fatto con altri reietti della società. Ma senza pietismi, senza nessuna indulgenza per il suo risentimento. Con modi scabri e persino bruschi, infatti, cerca di abbattere non le barriere architettoniche – ossessione che fa da falso lavacro alla cattiva coscienza del nostro tempo –, ma quelle psicologiche e naturali che separano Will non tanto dal mondo, ma da sé stesso e dalle sue capacità.
Gli fa intravedere la bellezza del creato e della vita: il senso. In ogni vita, anche nella sua, che lui crede fallita in partenza. Anzi, il suo stato ha addirittura un vantaggio: «più dura è la lotta, più grandioso il trionfo!».
E così Will, in circostanze drammatiche, scopre che può persino nuotare, e invece di chiedere di continuare a fare il monstrum – «nel nostro circo queste cose non le facciamo» – impara quel numero, che tra l’esaltazione e l’allegria del pubblico gli restituisce il sorriso, la gioia di vivere. Che trasmette ad un piccolo storpio, convincendolo che nulla è davvero impossibile a chi colga la meraviglia della vita, «tutto ciò che serve all’uomo».
A nessuno Dio ha mai davvero «voltato le spalle», a nessuno può essere tolta la sua umanità. La speranza non è vana.
Il bruco è diventato la farfalla cui allude il nome del circo.
Eduardo Veràstegui – l’attore messicano convertito, che oltre a pensare e vivere s’impegna anche a recitare cattolico, e che attendiamo di poter vedere presto sugli schermi in Cristiada, la produzione messicana sull’epopea del cristeros, che finalmente la iscriverà all’anagrafe della storia – interpreta il direttore del circo.
Che è in realtà un’opera di riscatto dalla vera povertà in un mondo di rovine materiali: la perdita della capacità di meravigliarsi e di sondare in profondità la vita e l’umanità, fino a trovarne il senso trascendente, quale che ne sia la condizione, mentale, fisica, sociale. Fino trovare – l’allusione è in filigrana – Dio, la cui assenza è l’unica miseria che può davvero affliggere e sconfiggere l’uomo. Quand’anche sia without limbs.