Il prete più temuto dai nipoti di Mao: “Ciampi s’è piegato al regime cinese”.
di Stefano Lorenzetto
Padre Bernardo Cervellera non è un prete qualunque, ma un sinologo. Uno che il Paese del Dragone l’ha girato in lungo e in largo. Uno che per un anno è riuscito a insegnare sotto mentite spoglie all’Università di Pechino prima d’essere scoperto e cacciato. Uno che dal ’97 ha la residenza a Hong Kong e che in Cina potrebbe persino votare, anche se conserva il passaporto italiano.
Figurarsi che gioia, per lui, vedere nelle scorse settimane il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, porgere l’altra guancia ai cinesi che lo prendevano appunto a pesci in faccia e lo costringevano, col ricatto economico, a promettere solennemente che il nostro Paese si batterà perché l’Unione Europea revochi l’embargo sulla vendita di armi alla Cina, adottato nel 1989 in risposta alla sanguinosa repressione di piazza Tiananmen.
“Il capo dello Stato è andato a umiliarsi per dare lustro alla delegazione economica italiana, ansiosa di recuperare il tempo perduto in termini di appalti e commesse. E che cos’ha ottenuto in cambio? Solo briciole, rispetto agli affari d’oro combinati da Chirac, che ha firmato col presidente Hu Jintao una ventina di accordi commerciali, fra cui progetti per 1,45 miliardi di euro nel settore dei trasporti e dell’energia idroelettrica, e da Schröder, che è riuscito a vendere in un colpo solo 23 Airbus alla compagnia di bandiera Air China, per un controvalore di 1,3 miliardi di dollari. Noi invece abbiamo portato a casa il via libera alle esportazioni di salame e mortadella… Da non credere”.
Sesto di otto figli di un operaio di Grottaglie (“per battezzarmi i miei scelsero sul calendario il santo del giorno in cui ero nato: la loro fantasia aveva esaurito i nomi”), padre Cervellera lasciò la provincia di Taranto a 11 anni per seguire con la famiglia il papà che aveva trovato lavoro a Sesto San Giovanni. “Non ho mai pensato di diventare prete. Ero agnostico. A Milano ho studiato chimica all’istituto Molinari e poi filosofia alla Cattolica. È stato don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e liberazione, a farmi ritrovare la fede. Una scoperta così potente, così totalizzante che mi sono detto: ma io a questo ideale sono pronto a consacrare tutta la vita! M’è venuta prima la vocazione al celibato che quella al sacerdozio, curioso no?”.
Ordinato prete nel ’78, padre Cervellera è fedele anche a un altro ordine, un po’ meno sacro: quello dei giornalisti. A Roma dirige Asianews, l’agenzia del Pime (Pontificio istituto missioni estere) che con la sua fitta rete di corrispondenti in ogni angolo del Medio ed Estremo Oriente (da Gerusalemme a Bangkok, da Bagdad a Tokyo, da Bombay a Seoul, da Islamabad a Manila) è stata la più tempestiva al mondo nel “coprire” con notizie di prima mano la catastrofe dello tsunami.
Il reverendo direttore è abituato a parlare chiaro. Quando nel ’99 guidava Fides, l’agenzia di stampa che risponde direttamente al dicastero missionario della Santa Sede, gli saltò in mente di chiedere pubblicamente al presidente cinese Jiang Zemin che fine avessero fatto il vescovo di Baoding e il suo ausiliare, spariti nel nulla tre anni prima. “Le idee esposte da Fides sono opinioni personali di padre Cervellera e se ne assume lui tutta la responsabilità”, dettò ai giornalisti un irritatissimo Joaquín Navarro Valls, portavoce del Papa, preoccupato di non pregiudicare i già precari rapporti fra regime comunista e Vaticano. Finì che l’assai poco diplomatico Cervellera fu sollevato dall’incarico, ufficialmente per scadenza naturale del mandato.
Il tempo di consolarsi pubblicando qualche libro, fra cui Dio è dalla parte della donna, scritto in inglese, Libano, la pace futura e Missione Cina, ed era già al comando dell’agenzia Asianews, fondata nell’87 da un altro leggendario prete giramondo, Piero Gheddo, molto seguita in sedi diplomatiche, università e redazioni. Lui l’ha aperta a tutti lanciando il sito www.asianews.it in tre lingue: italiano, inglese, cinese.
Chi vi legge in Internet?
“Il 60% sono lettori di lingua inglese, il 30% italiani e il 10% cinesi. Solo che le autorità di Pechino ogni tanto ci oscurano il sito, soprattutto quando affrontiamo tematiche sensibili”.
Tipo?
“Basta che compaiano tre parole – persecuzioni, Tiananmen, Taiwan – e interviene subito la censura. Per capire quanta democrazia c’è in Cina, mentre stavo là digitavo “democracy” sul motore di ricerca Google: usciva la videata dei risultati ma era impossibile aprire le relative pagine. Comunque i cinesi sono bravissimi ad aggirare gli ostacoli e ad arrivare lo stesso ai nostri server che si trovano negli Stati Uniti”.
E in un Paese così poco democratico lei come ha fatto nel ’95 ad avere una cattedra all’Università di Pechino?
“Con un po’ di tresche. Ovviamente non dissi che ero un prete. L’insegnamento è vietato ai sacerdoti. Il contratto con la facoltà di storia sarebbe dovuto durare tre anni”.
Per quale materia?
“Storia della civiltà occidentale. Un giorno mi ha convocato la commissaria politica dell’ateneo: “Non abbiamo bisogno di lei”, e ha strappato il contratto. La polizia mi ha dato 48 ore per lasciare Pechino, altrimenti sarei stato espulso. Sono riparato a Hong Kong, che era ancora colonia britannica”.
Com’è la Cina di oggi?
“Stufa del comunismo, di “servire il popolo” e di tutte quelle balle lì. La gente ha capito che l’unico servizio il marxismo l’ha reso ai capi di partito, consentendo loro di arricchirsi a spese delle masse. Ciò nonostante i gangli vitali del sistema – il Pcc e l’ateismo – resistono. Il cristianesimo e i valori occidentali sono visti come “spiritual pollution”, contaminazione, e il Papa come fumo negli occhi”.
Ma questo nuovo leader, Hu Jintao, non dicono che è riformista?
“Riformista? Lui sostiene che la democrazia non è fatta per la Cina. Propugna, come i predecessori, il centralismo democratico, cioè la supremazia del partito. Il governo comunista non transige neppure sulle nomine dei vescovi, che devono andare bene innanzitutto al Pcc. Negli ultimi vent’anni ha cercato di creare una propria Chiesa nazionale, facendo nominare solo i presuli scelti dalle associazioni patriottiche anziché ordinati dal Papa. Ma ora l’85% dell’episcopato ha chiesto perdono a Roma, è tornato in comunione col Santo Padre”.
La Cina è davvero vicina, come profetizzava il film di Bellocchio nel ’67?
“Vicinissima. È il mercato più importante del mondo, detta le leggi della concorrenza a livello planetario. Ma è una super potenza fragile, priva di petrolio, che dipende dall’estero per l’energia. Le banche si appoggiano a prestiti dello Stato. E lo sviluppo poggia su uno sfruttamento spaventoso dell’uomo. I muratori che costruiscono i fastosi monumenti della moderna Shanghai, come il Jinmao, la torre del Commercio dorato che con i suoi 421 metri è l’edificio più alto della Cina e il terzo al mondo dopo le torri Petronas di Kuala Lumpur e la Sears tower di Chicago, non ricevono lo stipendio dalle ditte. Il paradiso dei lavoratori è diventato un inferno. L’inquietudine sociale è altissima. La frattura enorme fra ricchi e poveri provocherà una rivoluzione cento volte più violenta di quella condotta da Mao”.
I ricchi chi sono?
“Non certo gente che si fa il mazzo come i nostri sciur Brambilla. Sono i figli di papà. Vengono chiamati xiao zi, i principini. Vanno a studiare negli Stati Uniti, ereditano le posizioni di rendita occupate dai genitori durante la rivoluzione culturale, hanno il monopolio sui commerci con l’estero, eludono le imposte doganali. Si sono accaparrati le imprese statali vendute ai privati per effetto della liberalizzazione, sfruttando leggi create ad hoc dai loro parenti per fregare ai lavoratori i diritti acquisiti”.
Tanto diffusa è la corruzione?
“Il professor Hu Angang, ricercatore dell’Accademia di scienze sociali, calcola che fra ruberie, tangenti e frodi vengano sottratti annualmente al Paese qualcosa come 150 miliardi di euro, pari al 14% del prodotto interno lordo. Con i soldi si compra tutto: laurea, passaporto, moglie. La bustarella è regola universale. Quando c’ero io i funzionari statali s’accontentavano di una borsa in pelle di Gucci, adesso pretendono la Mercedes. Il compagno presidente lancia ogni anno la campagna anticorruzione, ma i miei amici di Pechino ridono: “Come fa una persona a tagliare il suo stesso braccio?”, dicono. È il partito che è corrotto”
Bastano i dazi, come invocano i leghisti, per tenere a bada la concorrenza cinese?
“No”.
Lei che propone?
“Io pretenderei dalla Cina il rispetto degli standard internazionali. Se non li applicano, boicotterei le sue merci. Fra questi standard, includo la libertà religiosa, perché da essa promanano le altre libertà: di pensiero, di stampa, di associazione”.
Che cosa dobbiamo aspettarci dalla Cina? Che diventi entro il 2020 la prima potenza economica del pianeta, come pronostica la Banca mondiale, o che collassi?
“Mi aspetto che crolli. Per stare in piedi questo gigante d’argilla sta cercando di rafforzare la vigilanza militare. Dice niente che siano stati istituiti nuclei antisommossa in tutte le città, quando per mantenere l’ordine pubblico prima bastavano l’esercito di liberazione, la polizia e la guardia civile? Ma l’Occidente, che vede nella Cina la fabbrica del mondo, anziché aiutare questa gente a liberarsi pensa solo a sfruttarla ancora di più”.
Mi parli dei nostri imprenditori che delocalizzano la produzione, spostandola dall’Italia alla Cina.
“Dico loro che dovrebbero investire solo in presenza di precise clausole etiche su stipendi, sicurezza, mense, persino sulle camerate, perché oggi gli operai cinesi sono costretti a dormire accanto alle macchine fra un turno e l’altro. State attenti, capitalisti: non potete avere come unico obiettivo il profitto. Fatevi amica la popolazione, non i corrotti di Pechino. I governi passano, la gente resta”.
Il reddito pro capite dei cinesi è raddoppiato in soli 10 anni. Il Giappone ha impiegato 43 anni per conseguire lo stesso risultato, gli Stati Uniti 47, la Gran Bretagna 58. Come lo spiega?
“Con lo schiavismo. La Cina conta 120 milioni di arricchiti, 900 milioni di miserabili e 300 milioni di persone alle quali è impedito di fare tre cose insieme – mangiare, vestirsi, abitare – possono sceglierne una sola. L’operaio cinese lavora 15 ore su 24, ha un solo giorno di riposo al mese e la sua paga oraria è di 250 delle vecchie lire italiane. Ben 13,3 milioni di lavoratori sono bambini fra i 10 e i 14 anni. I sindacati liberi non esistono. Nel 2001 gli incidenti mortali sul lavoro sono stati 800.000. Molto spesso gli infortuni non vengono neanche segnalati: per legge vanno denunciati solo quelli con oltre 10 vittime”.
Spaventoso.
“Metà della popolazione in tutta la vita non riesce a farsi visitare da un medico, e non certo perché scoppi di salute. Il 60-80% dei cinesi muoiono perché non possono permettersi cure sanitarie”.
Quando non vengono messi a morte per legge.
“Il governo comunista detiene il record mondiale delle esecuzioni capitali: ufficialmente 6.500 lo scorso anno, in realtà oltre 10.000. Secondo Human Rights Watch, i bracci della morte nelle carceri sono diventati celle frigorifere di organi per i trapianti”.
Ma non gli sparano un colpo alla nuca? Il prelievo di organi per trapianti può avvenire solo a cuore battente.
“Ora non più. Le esecuzioni si fanno con la siringa. E le camere della morte sono montate su camion che possono agevolmente raggiungere gli ospedali bisognosi dei “pezzi di ricambio””.
Per quali reati può essere inflitta la pena capitale?
“Sono 68, inclusi la frode fiscale e lo sfruttamento della prostituzione. I tribunali hanno un potere assoluto e rispondono di fatto ai segretari locali del partito”.
Che vengono eletti come?
“Non eletti: nominati. Dal governo centrale. È un sistema feudale, fatto di vassalli, valvassori e valvassini, dove si può essere giustiziati per un nonnulla: nei giorni scorsi Liu Xiaolan, una donna arrivata a Guangzhou dalla campagna, è stata uccisa a botte da sette commessi di un grande magazzino, su ordine del loro caposervizio: aveva rubato 20 yuan di latte in polvere. L’equivalente di 2 euro per una vita”.
Faceva meglio a restarsene al paesello.
“Le prospettive di sopravvivenza dei contadini non sono certo migliori. Devono pagare tasse sugli animali posseduti e su quelli macellati, sui parti delle scrofe, sui ruscelli, sulle strade, sull’educazione. Chen Jingcang, un agricoltore di 51 anni che nello Shaanxi stava pascolando la mucca su un campo d’avena di sua proprietà, è stato tassato da un fantomatico “Ufficio per l’imbellimento della città” per “non aver rispettato la bellezza del verde”: 200 yuan. Siccome è riuscito a racimolarne solo 50, la sera del giorno dopo dieci impiegati lo hanno ammazzato a bastonate”.
Dimentica l’imposta sulla procreazione.
“Il figlio unico è stabilito per legge. Sul secondo figlio si paga una tassa salata. La selezione dei bimbi è praticata mediante aborto o soffocamento in culla: l’Organizzazione mondiale della sanità calcola che dall’80 a oggi siano sparite in tal modo 50 milioni di bambine. Tant’è vero che la proporzione oggi è di 120 maschi ogni 100 femmine, addirittura 140 su 100 nello Guangxi, contro una media mondiale di 106 a 100 e una media europea di 95 a 100”.
Ci sarà pure qualcosa di positivo da quelle parti.
“Il popolo. I cinesi all’inizio sembrano freddi, diffidenti, ma quando hanno capito chi sei ti aprono il cuore e la casa. I pechinesi, poi, sono aristocratici, cordiali, eleganti. Gente così non merita una simile leadership”.
Quanti cattolici ci sono in Cina?
“Quindici milioni, molto uniti fra loro”.
Come vivono?
“Nelle grandi città riescono a mimetizzarsi. Vanno a messa alle 6 del mattino e poi in fabbrica. Le persecuzioni più dure avvengono nelle campagne, dove sono facilmente individuabili. Di recente sono venuto in possesso di un documento dell’Istituto di propaganda che ordina di rafforzare l’insegnamento dell’ateismo come religione di Stato. È vietato parlare di fede ai ragazzi prima dei 18 anni. Per il catechismo fino a quell’età sopperiscono i genitori. Ai seminari è imposto l’obbligo di inserire il marxismo fra le materie. Ciò nonostante ogni anno si registrano 150.000 conversioni adulte. I vescovi sono 117, di cui una settantina riconosciuti dal governo. Tre sono scomparsi nelle prigioni e di loro non si sa più nulla da anni, altri dieci vivono agli arresti domiciliari. Le persecuzioni colpiscono tutte le religioni. Nella sola provincia dello Zhejiang in un anno il governo ha abbattuto con i bulldozer più di 450 fra chiese cattoliche e protestanti, templi buddisti e taoisti”.
Possibile che il nostro presidente non abbia sentito il dovere di alzare la voce sui diritti umani calpestati?
“È significativo ciò che ha scritto Sergio Romano sul Corriere in risposta a un lettore: “Che cosa sarebbe accaduto se Ciampi avesse rimproverato ai suoi interlocutori la persecuzione dei dissidenti o lo sfruttamento del lavoro minorile? Avrebbe perduto qualche buon affare a vantaggio dei nostri concorrenti”.
Realpolitik.
“Prima dello sbraco totale, con la cancellazione dell’embargo sulle armi, a Pechino il capo dello Stato è andato persino a prosternarsi nel Tempio di Confucio. Ma s’è ben guardato dal visitare il Tempio dei Lama che dista appena 100 metri. Mi ha stupito. E dire che si proclama cattolico e amico del Papa. Era domenica: anche in forma privata, senza fanfara, avrebbe potuto entrare in una chiesa cattolica”.
Occhio. Le è già capitato di perdere la direzione di un’agenzia…
“Sono contento. Adesso la sala stampa vaticana e Navarro Valls tutte le volte che arrestano un vescovo cinese lanciano un appello per la sua liberazione”.
Visitare il Tempio di Confucio è un atto politico?
“Non per nulla il governo finanzia le scuole di confucianesimo, una dottrina morale che esalta il valore dell’obbedienza verso le autorità costituite e il rispetto del ruolo che ti viene assegnato nella società”.
Com’è possibile che questo Paese sia passato dalla lunga marcia di Mao, dal libretto rosso, dalla rivoluzione culturale, alla richiesta ufficiale di celebrare in Cina il concorso Miss Universo 2005?
“Come ha fatto il maoismo a imporsi? S’è presentato come la religione di un semidio, Mao, che faceva il bello e il cattivo tempo, permetteva ai cavoli di crescere rigogliosi e in privato viveva come un imperatore. Un dio taoista, da pregare, ma anche un dio buddista, con quel suo predicare l’abnegazione verso il popolo, la sobrietà, la frugalità monastica. Così ha attecchito il marxismo. Quando i cinesi hanno capito che il “grande balzo in avanti” aveva provocato solo milioni di morti, la fiducia nei poteri taumaturgici dell’imperatore è crollata. Il resto viene per reazione e passa attraverso la riscoperta dell’individualità a lungo repressa. Pensi solo alle cure estetiche: le nuove generazioni vanno dai chirurghi per farsi allargare gli occhi a mandorla e rimodellare il naso, in modo da averlo a punta, alla francese. La ricerca religiosa diventa un anelito di assoluto dentro questa umanità”.
Mi sa dire perché, stando a un sondaggio della Bbc inglese, i cinesi risultano i più ottimisti del pianeta e gli italiani i più pessimisti?
“I cinesi, cresciuti nel taoismo, vedono nelle cose che vanno storte un incentivo a raddrizzarle. In più sono un popolo giovane che torna a credere in Dio dopo oltre mezzo secolo di comunismo. Gli italiani invece stanno diventando atei e materialisti, hanno strappato via le radici della loro speranza, sono spaventati persino dall’idea di fare un figlio. Per noi profitto e carriera non sono nemmeno più scopi di vita, ma solo squallidi passatempi nell’attesa che venga il nulla”.