Com’era in qualche modo prevedibile, l’espressione «comunismo male necessario» ha immediatamente fatto il giro del mondo, fra l’altro lasciando l’impressione secondo cui quanto è utile e necessario sia intrinsecamente utile e intrinsecamente necessario, quindi in sé buono. Ma le cose stanno veramente in questi termini?
di Giovanni Cantoni
2. Nella stessa occasione sono stati resi pubblici due brani dell’opera d’imminente pubblicazione, dei quali soprattutto uno ha fatto scalpore e attirato brevemente —sempre troppo brevemente — l’attenzione dei mass media (2).Infatti, riflettendo dopo il 1945 su due dei regimi politici che hanno caratterizzato il secolo XX, quello nazionalsocialista e quello socialcomunista, il Santo Padre nota, in relazione a quest’ultimo, come gli «[…] fu subito chiaro che ciò sarebbe durato per un tempo molto più lungo di quello nazista. Quanto lungo? Era difficile prevederlo.Ciò che veniva fatto di pensare era che quel male fosse in qualche modo necessario al mondo e all’uomo. Succede, infatti,che in certe concrete situazioni dell’esistenza umana il male si riveli in qualche misura utile —utile intanto in quanto crea occasioni per il bene». E il passo reso noto si chiude con questa affermazione: «San Paolo, per parte sua, ammonisce a questo proposito: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male” (Rm 12, 21)».
3. Com’era in qualche modo prevedibile,l’espressione «comunismo male necessario» ha immediatamente fatto il giro del mondo, fra l’altro lasciando l’impressione secondo cui quanto è utile e necessario sia intrinsecamente utile e intrinsecamente necessario, quindi in sé buono. Ma le cose stanno veramente in questi termini?
4. A ogni ulteriore riflessione importa premettere due notazioni. La prima dice relazione alla qualità dell’affermazione per rapporto a chi la fa, la seconda per relazione all’area intellettuale all’interno della quale si situa.
Quanto al primo punto,l’affermazione non è coperta dal munus magisteriale del Pontefice, cioè non entra a far parte del Magistero pontificio, ma, pur senza godere dell’autorità oggettiva del testo magisteriale, non manca assolutamente di autorevolezza, che a essa deriva dalla dottrina e dall’esperienza personale della fonte da cui emana, cioè del Pontefice filosofo, teologo e protagonista attento di una determinata stagione storica. Dunque, per intenderci e per non portare il mio — comunque modesto — contributo a un’opera di decatechizzazione, ribadisco che nell’affermazione non vi è niente di dogmatico, ma che tutto è degno delle massime attenzione e considerazione.
Quanto al secondo punto, ne tratta Giovanni Reale, filosofo e storico della filosofia antica — già ordinario di Storia della Filosofia Antica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ora docente alla facoltà di Filosofia del San Raffaele, sempre a Milano —, il quale anzitutto presenta le proprie credenziali specifiche — «Fino a questo momento ho curato la pubblicazione di tutte le opere letterarie e di tutte le opere filosofiche nonché una edizione commentata del Trittico romano di Karol Woityla per l’editore Bompiani» (3) —, quindi afferma: «[…] da nessuna parte ho trovato espresso un pensiero così forte come quello contenuto nel libro del Pontefice che sta per essere pubblicato dall’editore Rizzoli»(4). E prosegue: «Nel pronunciare tale giudizio Wojtyla non si colloca su un piano storiografico nel senso comune del termine, ma su un piano assai più elevato di filosofia e teologia della storia» (5).
5. Parto da quest’ultima notazione, cioè dal fatto che l’affermazione pontificia si situa sul piano della filosofia e della teologia della storia, e in questa prospettiva riporto tre giudizi dello stesso ordine.
a .Il primo è del politico e filosofo comunista italiano Antonio Gramsci (1891-1937) secondo il quale «la filosofia della praxis — questo il nome con cui il pensatore sardo indica il materialismo dialettico e storico — presuppone tutto questo passato culturale, la Rinascita e la Riforma, la filosofia tedesca e la rivoluzione francese, il calvinismo e la economia classica inglese, il liberalismo laico e lo storicismo che è alla base di tutta la concezione moderna della vita. La filosofia della praxis è il coronamento di tutto questo movimento di riforma intellettuale e morale […]. Corrisponde al nesso Riforma protestante + Rivoluzione francese» (6).
b. Il secondo giudizio è tratto dalla Dichiarazione «Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato», resa pubblica il 13 dicembre 1991 dall’Assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, svoltasi in Vaticano dal 25 novembre al 14 dicembre 1991. In essa si legge:
«Oggi in Europa il comunismo come sistema è crollato, ma restano le sue ferite e la sua eredità nel cuore delle persone e nelle nuove società che stanno sorgendo. Le persone hanno difficoltà nel retto uso della libertà e del regime democratico; i valori morali radicalmente sovvertiti devono essere rivivificati» (7). E ancora: «Il crollo del comunismo mette in questione l’intero itinerario culturale e socio-politico dell’umanesimo europeo, segnato dall’ateismo non solo nel suo esito marxista, e mostra coi fatti, oltre che in linea di principio, che non è possibile disgiungere la causa di Dio dalla causa dell’uomo» (8). c. Finalmente, trascrivo un passo sempre di Papa Giovanni Paolo II, della medesima qualità autoritativa di quello su cui sto riflettendo: «La caduta del comunismo apre davanti a noi un panorama retrospettivo sul tipico modo di pensare e di agire della moderna civiltà,specialmente europea, che ha dato origine al comunismo» (9).
Dunque, da quanto ho richiamato, appare con ogni evidenza che il comunismo non è assolutamente qualificato come — per esprimersi in formis—«necessario di necessità metafisica», ma «necessario di necessità morale»,storica. Cioè,poste le premesse, senza interventi miracolosi, straordinari, le conseguenze sono inevitabili, quindi sono certamente, in questo senso, necessarie.
6. Ho parlato di necessità morale. E da questa necessità parto per illustrare un altro genere di necessità a essa correlata, un’altra prospettiva che autorizza l’uso dell’espressione «male necessario» in genere, e in specie a proposito del comunismo.
Nel caso, la premessa è relativa al destino eterno dei singoli uomini e a quello storico dei gruppi umani, che possono essere indicati genericamente come «nazioni», senza riferimento di sorta — o almeno esclusivo — a quella forma d’idolatria costituita dal nazionalismo. Ebbene, i singoli nascono, vivono, muoiono e hanno un destino eterno, cioè passano da vita a Vita.
Le nazioni hanno solamente un destino storico, il loro orizzonte è immanente sì che l’uso, a loro proposito, di termini come «paradiso», «purgatorio» e «inferno» è puramente metaforico. Ma, nondimeno, tale uso metaforico significa, cioè sta a indicare autentiche realtà, talora evidentemente drammatiche, che dicono relazione a «premio», a «colpa» e a «pena». Perciò,le loro azioni trovano premio e punizione in questo mondo, e il premio e la punizione sono intrinseche alla loro esistenza, alla loro unica forma di esistenza, quella terrena, benché, comunque, i loro agenti possano venire anche da fuori, ma non solo da fuori.
È nota a tutti l’espressione evangelica secondo cui «sufficit diei malitia sua», «a ciascun giorno basta la sua pena» (10), alla quale corrisponde un — non filologicamente evangelico,ma logico — «sufficit diei laetitia sua, gaudium suum», «ogni giorno può avere la sua felicità, la sua gioia», frutto possibile—non obbligatorio «in hac lacrimarum valle», «in questa valle di lacrime», cioè in questo mondo—di un corretto agire,di un agire da giusto. In questo senso il pensatore colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994) ha potuto sostenere che «il mondo moderno non sarà castigato.
«È il castigo» (11); e non sarà castigato non perché Dio sia ingiusto, ma perché ogni condotta contraria alla sua legge comporta infelicità intrinseca. Ergo,sempre in questa prospettiva, il comunismo diventa il castigo necessario, appunto il «male necessario» che consegue a un comportamento erroneo, a un «errore fondamentale […]di carattere antropologico» (12).
7. Dunque, il comunismo è un male almeno doppiamente necessario: necessario come conseguenza di premesse erronee, di un’erronea concezione dell’uomo, e necessario come castigo intrinseco, storico, di tale conseguenza. Necessario in quanto«utile»,cioè coerente con la logica di bene dell’economia divina. Utile per smascherare l’intima essenza di male di tutto il processo che lo ha generato. Così come —nella vita di un uomo—la sofferenza, quando è punizione del male, può essere«utile», perché smaschera la natura di male degli atti che l’hanno generata.
Stando così le cose, appare quindi «diabolico perseverare » nel suo perseguimento, cioè proporlo — come fa l’on. Fausto Bertinotti, segretario del Partito della Rifondazione Comunista — come «un bene da costruire» (13). Una simile proposta conferma che non solo la dottrina, l’«errare humanum est», ma la stessa esperienza che ne deriva, la stessa storia può non essere magistra vitae. E che il disprezzo per le conseguenze è disprezzo per il loro carattere dedotto — «operari sequitur esse» —, sostituito dalla dialettica, nello stesso tempo costruttivistica e utopistica. Infatti,nel corso di una trasmissione televisiva dedicata appunto al brano pontificio, l’uomo politico comunista ha evocato implicitamente Karl Marx(1818-1883):«La rivoluzione— ha detto — tende a liquidare la filosofia e a maggior ragione la teologia» (14),così facendo perfettamente eco alla XI tesi su Ludwig Feuerbach (1804-1872) di Marx: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; ora però si tratta di mutarlo» (15). Cioè di renderlo ancora una volta storicamente invivibile, in qualche modo istituzionalizzando le conseguenze del peccato originale.
Note
1) Cfr. Karol Wojtyla, «E infine la Divina Provvidenza impose un limite a quelle follie», in Il Corriere della Sera, Milano 7-10-2004.
2) Cfr. Il comunismo è stato un male necessario. Le riflessioni di Wojtyla nella sua ultima fatica letteraria, dispaccio Adnkronos, Roma 6-10-2004; le citazioni senza rimando sono tratte da questo documento.
3) GIOVANNI REALE, Il Papa e il ’900: quel «male necessario»,in IlSole24Ore, Milano7-10-2004.
4) Ibidem.
5) Ibidem.
6) ANTONIO GRAMSCI, Quaderni del carcere, vol. terzo, Quaderni 12 (XXIX)-29 (XXI), edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di Valentino Giarratana, Einaudi,Torino1975,p. 1860.
7) SINODO DEI VESCOVI. ASSEMBLEA SPECIALE PER L’EUROPA (28 NOVEMBRE-14 DICEMBRE1991), Dichiarazione «Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberati», n. 1; a commento, cfr. i miei Per la «nuova evangelizzazione» dell’Europa, in Cristianità, anno XIX, n. 200, dicembre 1991, pp. 3-9; e Metamorfosi del socialcomunismo: dal relativismo totalitario al relativismo democratico, ibid., anno XXV, n.261-262, gennaio-febbraio 1997, pp. 15-21.
8) Ibidem.
9) GIOVANNI PAOLO II con VITTORIO MESSORI, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, Milano 1995, p. 159.
10) Mt. 6, 34: «Nolite ergo esse solliciti in crastinum crastinus enim dies sollicitus erit sibi ipse sufficit diei malitia sua», «Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena».
11) NICOLÁS GÓMEZ DÁVILA, Escolios a un texto implícito, vol.II, Istituto Colombiano de Cultura, Santa Fe de Bogotá 1977, p. 344.
12) GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica «Centesimus annus» nel centenario della «Rerum novarum», del 1°-5-1991, n. 13.
13) Papa: Bertinotti, Comunismo? Un bene da costruire. Nasce da istanza di liberazione. «Ultimi» tentano scalata al cielo, dispaccio ANSA. Agenzia Nazionale Stampa Associata, Roma 6-10-2004.
14) GIULIANO FERRARA e RITANNA ARMENI(direttori), programma Otto e mezzo, trasmissione Comunismo male necessario, del 15-10-2004, in onda su La 7.
15) KARL MARX, Thesen uber Feuerbach [Tesi su Feuerbach], 1845/1888, trad. it., in LUDWIG FEUERBACH, KARL MARX e FRIEDRICH ENGELS (1820-1895), Materialismo dialettico e materialismo storico, introduzione, traduzione e note a cura di Cornelio Fabro C.S.S. (1911-1995), La Scuola, Brescia 1987, pp. 81-84 (p. 84).