L’Italia sembra rassegnata ad assecondare la china di un cronico declino delle nascite. Nella Legge di bilancio appena approvata non si intravede alcun salto di qualità rispetto a quanto fatto (inefficacemente) dai governi precedenti. Eppure il peggioramento degli squilibri demografici non è di per sé un destino segnato, come mostrano Marcantonio Caltabiano e Alessandro Rosina in questo contributo.
di Alessandro Rosina Marcantonio Caltabiano
La famiglia nella legge di bilancio
La legge di bilancio approvata poco prima della fine del 2018 difficilmente verrà ricordata come manovra “del cambiamento”, quantomeno sul versante demografico. Leggendo il testo non si intravedono salti di qualità, in termini di impostazione e contenuti sulle misure familiari, rispetto al poco proposto (e con scarsa efficacia) dai precedenti governi. Si tratta, infatti, di conferme e aggiustamenti “senza riforme strutturali” (come ribadito anche dal Forum delle associazioni familiari), e quindi anche con scarsa capacità di incidere sulle scelte di coppia e invertire l’andamento negativo della natalità italiana.
Eppure, la manovra è stata stesa mentre erano ancora freschi nella memoria i dati Istat sulle nascite in Italia nel 2017, scese a poco meno di 460mila. Dati che confermano un declino ininterrotto dal 2009 (e anche le premesse per il 2018 non sembrano positive, in base ai dati provvisori disponibili, con il rischio di scendere sotto quota 450mila).
Il presente peggiore delle previsioni
La riduzione del numero assoluto di nati era stata prevista già da tempo dai demografi come conseguenza del progressivo invecchiamento della popolazione, in particolare per la lenta ma inesorabile diminuzione delle potenziali madri (conseguenza della denatalità passata, solo in parte compensata dall’immigrazione). Quello che nessuno si aspettava è la velocità della discesa, fortemente accelerata dopo la crisi economica iniziata nel 2008, tutt’ora senza segnali di ripresa. Nella figura 1 si confrontano i valori del numero di nati previsti dall’Istat prima della crisi (2007) e dopo il suo inizio (2011) e i valori reali registrati. Come si può vedere, la differenza si allarga nel tempo, segno di un impatto diventato sempre più forte.
Tuttavia, quello che va guardato con attenzione non è tanto il valore assoluto delle nascite, fortemente influenzato dalla riduzione delle potenziali madri, quanto il numero medio di figli per donna (misurato tecnicamente dal Tft, tasso di fecondità totale). Come si vede dalla figura 2, dopo aver raggiunto nel 2010 il valore di 1,46 figli (massimo dal 1995), l’indicatore è poi scemato ininterrottamente, fino a scivolare a 1,32 lo scorso anno (il più basso valore in Europa). La discesa è frutto del rinvio della nascita di un figlio da parte di molte coppie, in attesa di tempi migliori, ma anche della rinuncia definitiva di sempre più donne ad avere figli (probabilmente circa un quarto tra le nate nel 1980).
Ma il futuro non necessariamente è peggiore del presente
Non si tratta però necessariamente di un destino ineluttabile. Come si vede in figura 2, il numero medio di figli per donna in provincia di Bolzano ha registrato una tendenza opposta a quella dell’Italia, crescendo invece di diminuire nonostante la crisi, arrivando a oltre 1,7 figli (anche la provincia di Trento mostra un andamento simile, anche se non così decisamente positivo). La ricetta è semplice. L’attenzione verso le nuove generazioni e le politiche familiari diventano una priorità con impegno al continuo miglioramento.
La cultura della conciliazione tra lavoro e famiglia è consolidata nelle aziende come valore condiviso, comprese le piccole imprese alle quali è fornito supporto qualificato per sperimentare soluzioni specifiche e innovative. L’offerta dei servizi per l’infanzia è versatile e diversificata, stimolando anche l’iniziativa privata, ma con garanzia di qualità certificata dal pubblico. Una conferma empirica arriva dal “Mother’s Index” elaborato dall’Istat per Save the Children (costruito sulle dimensioni della cura, del lavoro e dei servizi), che vede il Trentino-Alto Adige al vertice delle regioni italiane.
Ma quale sarebbe il valore minimo del numero medio di figli per donna per avere tra un decennio (nel 2028) un numero di nati costante rispetto al 2017, tenuto conto del fatto che il numero di potenziali madri andrà comunque a diminuire nel tempo?
Una stima approssimata, basata sulla relazione empirica tra tasso generico di fecondità (il rapporto tra nati e popolazione femminile media tra 15 e 49 anni) e Tft, fornisce un valore (intorno a 1,45) parecchio più basso di quello oggi osservato a Bolzano e che in Italia era stato già registrato nel 2010. Un obiettivo dunque del tutto raggiungibile.
Per riportare invece il numero dei nati verso quota 500mila servirebbe un impulso leggermente più forte, che corrisponde a una fecondità pari a 1,58 figli per donna. Si tratta di un livello comunque più modesto sia della media europea che della Germania (che dieci anni fa partiva da valori inferiori ai nostri e che nel 2017 è arrivata a 1,60).
Quindi, vedere le nascite diminuire ogni anno non è un destino ineluttabile. Per frenare il declino (o anche invertire la tendenza) è necessario far tornare progressivamente a crescere il tasso di fecondità e per ottenere tale risultato è necessaria la combinazione tra clima sociale favorevole e politiche davvero incisive e inclusive.