di Giuseppe Pennisi
La radiografia della famiglia italiana, effettuata con particolare cura in una sezione del rapporto annuale dellIstat su «La situazione generale del paese 2004», indica, se esaminata congiuntamente ad altre ricerche apparse, in queste ultime settimane, che stiamo viaggiando verso una società di centenari, gran parte dei quali sarà in famiglie composte di una sola persona e senza una rete attiva di rapporti di solidarietà tra consanguinei e congiunti.
Le prospettive di un’Italia di centenari soli non sono contenute, occorre precisarlo, nel rapporto Istat, che, in linea con i suoi compiti istituzionali, presenta un quadro della; famiglia italiana all’inizio del XXI secolo e delle trasformazioni avvenute negli anni 90 del XX secolo; non una stima o una proiezione di ciò che probabilmente avverrà. Tali stime e proiezioni si ricavano coniugando l’analisi Istat con i risultati di altre ricerche rivolte, invece, al futuro a medio e lungo termine della famiglia e della società italiana.
Per esempio, come ricordato su Italia Oggi del 17 maggio, lo studio di Albert Ando (Mit) e di Sergio Nicoletti Altimari (Bce) su «A micro-simulation model of demographic development and households economic behaviour in Italy» («Un modello di micro-simulazione dello sviluppo demografico e del comportamento economico delle famiglie in Italia»), appena pubblicato dalla Banca d’Italia, traccia una contrazione della popolazione italiana da 55 milioni (2005) a 25 milioni (fine secolo) se non si tornerà a una struttura tradizionale di famiglia e a un aumento del tasso di fertilità.
Poche settimane fa il premio Nobel Robert W Fogel, dell’università di Chicago, ha diramato, nella collana del National bureau of economie research (è il working paper n. 11233), un quadro per alcuni aspetti sempre più roseo (vivremo sempre più a lungo) ma per altri sempre più fosco (senza la rete della famiglia tradizionale saremo sempre più soli): Changes in the physiology of aging during the 20th century («Cambiamenti nella fisiologia dell’invecchiamento nel XX secolo»). Guarda principalmente agli Stati Uniti e analizza, con un interessante metodo statistico, il processo d’invecchiamento a partire dalla generazione nata tra il 1835 e il 1845.
La conclusione più rilevante è che coloro nati tra il 1980 e il 1990 hanno un tasso di probabilità del 50% di vivere più di 100 anni. A fine aprile Alicia Adsera, dell’università dell’Illinois, ha pubblicato, nei discussion papers dell Iza, l’Istituto tedesco per gli studi del lavoro (il discussion paper n.1576), un’analisi comparata relativa specificatamente ai 15 paesi dell’Unione europea (prima, quindi, dell’allargamento): Where are the babies? Labor market conditions and fertility in Europe («Dove sono i bambini? Condizioni del mercato del lavoro e fertilità in Europa»).
Il lavoro si basa sulle indagini sulle famiglie condotte, o coordinate, dalla Commissione europea tra il 1994 e il 2000: il verdetto è che senza un cambiamento delle condizioni del mercato del lavoro (incoraggiamento del tempo parziale e accesso privilegiato per donne all’impiego nella pubblica amministrazione) le difficoltà a formare una famiglia e l’invecchiamento renderanno l’Europa il Continente vecchio. In questo contesto la radiografia Istat assume una valenza molto più significativa di quanto rilevato in servizi e analisi sei giorni successivi alla diramazione del rapporto. Vediamone alcuni tratti salienti:
■ prosegue il «processo di semplificazione» della famiglia: diminuiscono le famiglie a due o più generazioni (dal 58,8 nel 1993-94 al 53,2% nel 2003); aumentano le famiglie con una sola generazioni (dal 41,3 al 46,8%) e le famiglie composte di una persona sola (dal -21,1 al 25,8%) mentre si contraggono le famiglie composte di coppie con figli (dal 40 al 41,9 %). Le persone che vivono in coppia condividono una parte più lunga della loro avventura umana: gli anziani tra i 74 egli 85 anni che vivono ancora in coppia passano dal 40,4 al 48%;
■ avanzano rapidamente le nuove tipologie familiari (single non vedovi, monogenitori non vedovi, unioni libere e famiglie ricostituite): sono ormai 5 milioni di famiglie (il 23% del totale nel 2003 con un aumento di cinque punti percentuali rispetto a dieci anni prima). Rapidissima l’ascesa dei single non vedovi: 3 milioni in maggioranza (53,4%) di genere maschile con un’età media di 46 anni, mentre quella delle donne è di 52 anni. In crescita anche le coppie non coniugate: da 227 mila nel 1993-94 a 555 mila nel 2003 (di cui la metà circa costituita da celibi e da nubili). Diminuisce inoltre (dal 41,6 al 32,2%) il numero delle coppie che, vede la convivenza come uno stadio che porterà al matrimonio: aumenta (dal 18,4 al 25,1%), invece, quello che non contempla nessuna prospettiva matrimoniale;
■ in crescita anche la proporzione dei giovani tra i 25 e i 34 che vivono in famiglia (dal 25,8% di dieci anni fa al 34,9% di oggi); superano la percentuale dei loro coetanei che vivono in coppia con figli (appena il 27,9 %). In aumento i giovani che attribuiscono la coabitazione con i genitori a ragioni di ordine economico (difficoltà di trovare un lavoro stabile, di ottenere un’abitazione infitto o in acquisto) oppure di non rinunciare ai vantaggi (materiali e immateriali) di stare in famiglia;
■ le giovani coppie tendono a vivere «sottocasa» (di quella dei genitori). Circa la metà delle giovani coppie senza figli (in cui la donna ha un’età tra i 25 e i 34 anni) e di quelli con figli piccoli (in cui la donna ha tra i 35 e i 44 anni) vive entro un chilometro dalla madre di lui o di lei; meno di un quarto risiede in altro comune. I contatti con la madre (di lui o di lei) sono comunque assidui: nella metà dei casi si incontrano tutti i giorni e più del 25% delle altre si frequenta almeno una volta la settimana.
Un ruolo fondamentale nella cura dei bambini è svolto dai nonni non coabitanti ai quali viene affidato, nel 2003, il 35,7% dei bambini con meno di 13 anni. I bambini che vanno al nido sono ancora solo il 15,4% di quelli con meno di due anni; il 70% sono figli di madri che lavorano. In questo peraltro ristretto ambito cresce la quota presso nidi privati (43,4% del totale) con una spesa media di 273 euro al mese, rispetto ai 145 euro al mese delle strutture pubbliche.
Da questo quadro due conclusioni, ancora una volta, coniugandolo con altri studi: a) un’analisi comparata di Robert Fogel (working paper n. W10752 del National bureau of economie research) documenta che i paesi e le aree geografiche ad alta crescita sono quelli a popolazione giovane é a struttura familiare forte; b) Erick Eschker, dell’università Humbolt, in uno studio di contabilità intergenerazionale appena pubblicato nella rivista Public management and finance, vede, in una società che invecchia, inarrestabile l’erosione del tasso di risparmio delle famiglie e, quindi, degli investimenti e dello sviluppo.