Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân Newsletter n.585 del 19 marzo 2015
“Incontri di cultura politica cattolica”
Verona, Chiesa di San Pietro Apostolo – Mercoledì 18 marzo 2015
Stefano Fontana
Per porre il problema
Si può riassumere l’attuale valutazione del processo di secolarizzazione in ambito cattolico nel seguente modo.
La secolarizzazione è un processo positivo dovuto allo stesso cristianesimo. E’ il processo per cui l’ambito dell’umano si rende autonomo dal divino, il secolare dal religioso. Questa autonomia è stata resa possibile dalla fede cristiana che ha distinto tra loro Dio e mondo. Ciò ha permesso ai criteri e ai linguaggi propri delle diverse discipline di costituirsi autonomamente rispetto alla religione, ossia scientificamente, e di permettere all’uomo di dominare con la propria responsabilità i vari ambiti di vita, senza rifarsi alla tutela del religioso. Ciò vale anche per la politica. Il religioso è stato così liberato dalla tentazione dell’ideologia.
La secolarizzazione va distinta dal secolarismo. La prima è un processo legittimo, il secondo è la sua degenerazione ideologica. La secolarizzazione rende il mondo dell’uomo autonomo ma non indipendente da Dio, distinto ma non separato. Il secolarismo, invece, rende il secolare non solo autonomo ma anche indipendente dal religioso e, addirittura, contrario ad esso, ossia irreligioso.
La secolarizzazione vuole un secolo autonomo ma aperto e non conflittuale con il religioso; il secolarismo lo vuole invece antireligioso allo scopo di eliminare il divino dalla società umana.
Normalmente, la posizione cattolica è a favore della secolarizzazione e contraria al secolarismo. Lo si vede quando dice di sì alla laicità ma no al laicismo. Lo si è anche visto quando il Concilio ha parlato di una “legittima autonomia delle realtà terrene”, ove per legittima si intende appunto secolare ma non secolarista. Ci sarebbe insomma una secolarizzazione buona e una cattiva. Bisognerebbe promuovere la buona e impedire la cattiva, favorire la secolarizzazione e combattere il secolarismo.
Scopo di questa relazione è di verificare se questa ipotesi è corretta e validamente percorribile, oppure se non vi stia portando fuori strada.
L’impossibilità di una secolarizzazione moderata
La distinzione ora vista tra secolarizzazione buona e cattiva può anche essere espressa con le espressioni moderata e radicale, oppure tollerante o intollerante, giacobina o liberale. La prima cosa da osservare nei fatti che avvengono attorno a noi è che mai succede che una secolarizzazione del primo tipo non si converta prima o poi nel secondo tipo, ossia da moderata diventi intransigente. Possiamo vedere insieme alcuni esempi recenti.
Qualche anno fa era di moda l’espressione “laicità aperta”. Il Presidente francese Sarkozy aveva tenuto una conferenza in San Giovanni in Laterano per parlarne. Egli diceva che lo Stato non doveva assumere un atteggiamento antireligioso perché in questo caso avrebbe espresso una nuova religione.
Ecco il caso di una secolarizzazione moderata. Poi però arrivò Hollande, che fece assumere allo Stato non solo un atteggiamento antireligioso, con la legge che proibisce i simboli religiosi nei luoghi pubblici, ma anche anti etico con il matrimonio per tutti e il divieto dell’obiezione di coscienza per i sindaci che si fossero rifiutati di sposare in comune una coppia omosessuale.
Gli Stati Uniti d’America sono sempre stati considerati l’esempio più riuscito di tolleranza religiosa. Molto è stato scritto sulla differenza del rapporto con la religione negli Stati Uniti e in Europa: l’Europa giacobina e gli Stati Uniti liberali. Poi, però, è venuta la riforma sanitaria di Obama, l’abolizione del DOMA, la disposizione del Dipartimento salute e diritti umani che imponeva una assicurazione sanitaria per tutti i dipendenti che comprendeva i servizi di contraccezione, sterilizzazione e aborto, la nomina pilotata dei giudici della Corte suprema e quando la Corte fu investita del problema costituzionale della liceità dei matrimoni tra omosessuali il responso fu sì, che era lecito. L’immagine degli Stati Uniti come il paradiso della versione moderata e aperta del rapporto tra politica e religione è andata definitivamente perduta.
Charles Taylor è l’autore simbolo della posizione moderata. Se lo Stato giacobino abolisce le regole sociali solo perché hanno un’origine religiosa, quello liberale non ne instaura altre di tipo laico in loro sostituzione, ma si limita a gestire sapientemente degli aggiustamenti ragionevoli. Qui da noi ci si ferma tutti alla domenica. Non è il caso di abolire la domenica solo perché di origine cristiana, come farebbero i giacobini.
Si tratta semplicemente di permettere all’ebreo di assentarsi al sabato, al musulmano di farlo al venerdì e all’ateo di scegliere il giorno che gli fa più comodo, per poter andare a farsi magari una passeggiata in montagna: in fondo anche quella ecologica è una religione. Non serve impedire il velo nei luoghi pubblici per tutte le donne, ma solo in certi casi e per motivazioni ragionevoli, come per esempio per una insegnante.
Se si permette ad una donna musulmana di portare il velo, ad un ebreo di stare a casa si sabato o ad un indiano di fare il poliziotto col turbante perché non si dovrebbe permettere ad un vegano di mangiare vegano in carcere o al figlio di un vegano di mangiare vegano alla scuola materna? Anche questa volontà può essere considerata frutto di una visione della vita che, pur non essendo religiosa, è meritevole di rispetto e tutela pubblica. Però, allora, qual è il limite delle eccezioni e degli accomodamenti ragionevoli? Mancando questo criterio la soluzione moderata di Taylor non è in grado di mantenersi, ma scivola inevitabilmente verso la soluzione radicale alla francese.
Se allarghiamo lo sguardo a tante situazioni di oggi vediamo che la moderazione non esiste e, anzi, che spesso chi professa moderazione nei fatti è spesso deciso nel tollerare l’intolleranza. In Italia, il governo moderato di Letta ha introdotto ufficialmente l’insegnamento gender nelle scuole.
La secolarizzazione “trattenuta”
Il processo di secolarizzazione ha origini lontane, ma è nel XIX secolo che esplode. Nei suoi confronti il Magistero della Chiesa dell’Ottocento si è opposto al processo stesso e ha cercato di “trattenerlo”, considerandolo un male. Fino ad allora la Chiesa si era servita del potere politico per “trattenere” la secolarizzazione, ma allora proprio il potere politico abiurava a questo compito. A dire il vero, tutto lo sviluppo dello Stato moderno aveva questa tendenza, ma nell’ottocento lo strumento principale per “trattenere” la secolarizzazione si poneva come soggetto principale della secolarizzazione stessa.
Possiamo fare l’esempio del matrimonio. Il matrimonio era solo religioso. Quando alcuni sovrani hanno iniziato a concedere il matrimonio civile, i Pontefici si sono opposti. Poi gli Stati hanno approvato il divorzio, e i Pontefici si sono opposti. Siamo così giunti fino ai giorni nostri quando viene approvato il divorzio express e la Chiesa vi si oppone. Poi gli Stati si sono messi a riconoscere legalmente le convivenze, anche tra persone dello stesso sesso e la Chiesa si oppone. Il sociologo Roberto Volpi di recente ha documentato che anche le convivenze sono state superate, perché le coppie ormai non formano più nemmeno una coppia: vivono ognuno a casa propria e si incontrano quando lo desiderano.
Il processo ora descritto ci invita a fare alcune osservazioni.
La prima è che la secolarizzazione non si arresta. Non è possibile, in altre parole, una secolarizzazione che non si traduca in secolarismo. Dal matrimonio civile si è arrivati alla coppia senza coppia.
La seconda è che la secolarizzazione non conosce sosta perché è, in fondo, una “erosione di senso”. Il senso “religioso” è il primo livello di senso che viene eroso, ma poi seguono anche tutti gli altri. Non è possibile che la secolarizzazione religiosa non diventi anche etica e, oggi lo vediamo, antropologica. Il relativismo è l’esito fisiologico della secolarizzazione.
La terza è che una volta tolto il primo aggancio con il senso, quello dell’assolutezza religiosa, tutti gli altri un po’ alla volta vengono meno. Avevano ragione i Pontefici dell’Ottocento ad opporsi alla secolarizzazione religiosa, oppure avevano sbagliato perché non avevano capito che esiste anche una secolarizzazione “buona”? I Pontefici dell’Ottocento pensavano che una volta tolto il primo aggancio del senso, quello religioso, anche gli altri sarebbero andati perduti. Anche oggi però c’è chi la pensa così: “Chi difende Dio difende l’uomo” (Benedetto XVI).
Bisogna riconoscere che i Sommi Pontefici non hanno cessato di “trattenere” la secolarizzazione anche in tempi recenti. Però col tempo l’opposizione alla secolarizzazione si è affievolita nella Chiesa, soprattutto dopo il Concilio, e questo è un segno indubbio che la secolarizzazione è largamente penetrata anche dentro la Chiesa. Una prova è che oggi il giudizio sui Pontefici che nell’Ottocento avevano cercato di trattenere la secolarizzazione è generalmente di condanna, perché in questo modo essi si sarebbero preclusi la secolarizzazione “buona”.
L’esempio del matrimonio può essere ripetuto anche a riguardo della scuola, oppure della democrazia. Ma esigenze di tempo ci impediscono di parlarne. Possiamo solo dire che nel XIX secolo Leone XIII aveva elaborato con le sue encicliche sociali un pensiero completo e ponderoso proprio per “trattenere” la secolarizzazione. Si dimentica troppo spesso che è in quel contesto e per quello scopo che nasce la Dottrina sociale della Chiesa.
Da Maritain a Metz
Con il personalismo di Maritain la cultura cattolica aveva pensato di aver trovato la soluzione del problema della secolarizzazione. La “Nuova cristianità” di Maritain voleva mettere d’accordo secolarizzazione e fede cristiana. A distanza di tempo questo tentativo suscita perfino sarcasmo. Mentre la secolarizzazione stava secolarizzando la persona, dopo aver secolarizzato nel secolo precedente la religione, Maritain proponeva di puntare propria sulla persona per trovare una “fede secolare democratica” in cui si potessero riconoscere credenti e non credenti.
L’esempio che egli fece a riguardo della dichiarazione dei diritti umani dell’ONU appare oggi in tutta la sua puerilità, dato che proprio l’ONU è diventato il principale soggetto sovranazionale che impedisce quei diritti. Proprio l’ONU oggi combatte sistematicamente il concetto stesso di diritti naturali.
Con la distinzione tra agire “come cristiani” e “in quanto cristiani” Maritain ha contribuito all’abbandono della dimensione pubblica della fede. Oggi i cattolici che nei consessi legislativi votano a favore di leggi contrarie alla natura umana si appellano a questa distinzione e molte istituzioni che si ispirano a Maritain la teorizzano.
Il suo apporto principale alla secolarizzazione dipende però dalla sua visione della persona in rapporto al bene comune. Egli dice che il bene comune è finalizzato alla persona e che la persona ne è il criterio, mentre è la persona ad essere finalizzata al bene comune. Il bene comune, infatti, è l’ordine stabilito da Dio e, in ultima analisi, il bene comune trascendente: Dio stesso.
Avendo concentrato il bene comune sul bene della persona, Maritain ha accettato il processo di espulsione di Dio dalla vita pubblica. I diritti umani non si risolvono rimanendo nell’ambito della persona, ma del bene comune e, da ultimo, riferendosi a Dio.
Sempre per ragioni di esigenza di radicalità, Maritain non poteva che convertirsi in Johann Baptist Metz, allievo di Karl Rahner, l’autore che nel 1968 sdogana il processo di secolarizzazione nella teologia cattolica. Intendo la secolarizzazione come processo irreversibile e cristiano e che tende ad un mondo in cui Dio non si dà.
Molti si chiedono se accettando in questo modo la secolarizzazione, la fede cattolica si stia protestantizzando. Possiamo rispondere di sì. La secolarizzazione è un processo di progressiva erosione del senso. Si crede di dare alla natura una sua maggiore dignità rendendola autonoma dalla sopra natura, ma così facendo si corrode anche il senso della natura. La secolarizzazione alla fine secolarizza anche la natura, separandola dalla salvezza di Cristo. Così facendo il cattolico arriva alla stessa conclusione del protestante.
Per costui, infatti, la natura non esiste, perché è radicalmente inquinata dal male. Il cristiano sa che la politica e il potere sono malvagità e peccato. Eli non ha niente da spartire con essi. Proprio per questo vi si sottomette esteriormente perché la sua vera vita di fede è solo interiore. Lutero affidò la riforma ai principi e predicava la sottomissione politica e, molti secoli dopo di lui, Karl Barth, il più grande teologo protestante del secolo scorso, invitava a fare lo stesso.
Oggi le confessioni protestanti sono completamente prone al potere e sono suddite dello spirito del mondo. I Paesi più secolarizzati sono quelli protestanti, ove sono accettate le più strane aberrazioni della logica del mondo. Può sembrare strano che dall’invito alla sottomissione alla politica nasca il progressismo e l’avventurismo che sposa tutte le novità, anche le più abominevoli. Il fatto è che separando la natura dalla grazia, la creazione dalla salvezza, quest’ultima non richiede più di conservare un ordine naturale su cui essa possa appoggiarsi. Da qui l’indifferenza e perfino la collaborazione rispetto alla distruzione di ogni aspetto dell’ordine naturale.
La secolarizzazione impone una protestantizzazione della Chiesa cattolica, perché la induce a negare la natura dopo aver negato la dipendenza della natura dalla sopra natura. Un cattolico che vota une legge contraria al diritto naturale nega l’unità tra creazione e salvezza perché pensa che sia possibile una salvezza che salvi dall’esterno una natura corrotta. Cristo invece ha assunto in pieno la natura umana ricreandola e quindi non ci può salvare se noi neghiamo la natura umana, compresa la legge naturale che da essa promana.
Cenni conclusivi
Il processo di secolarizzazione è “demoniaco” per due motivi. Prima di tutto perché è qualcosa di inarrestabile, combatte una guerra in cui non vuole lasciare prigionieri, è vorace di ogni senso, è spietato nei metodi e nei contenuti, non conosce sosta. Oggi ci troviamo di fronte al male non come ipotesi ma come realtà, come qualcosa di giustificato, teorizzato, istituzionalizzato, imposto. L’obiettivo è mandare Dio in esilio. Il processo è demoniaco perché ha all’interno un demone insaziabile che non si quieta mai e che come una torpedine si avvinghia a tutte le cose deturpandole.
Ma il secondo motivo è più profondo ancora. La secolarizzazione è demoniaca perché manifesta oggi un’anima luciferina che rende impossibile la neutralità. Il vecchio buon ateismo oggi non esiste più. Chi vorrebbe starsene fuori dallo scontro, non credere in nessun assoluto, oggi non può più farlo perché lo scontro si è fatto assoluto. E che si sia fatto assoluto si vede da due elementi: dal tentativo della secolarizzazione di porre mano alla natura ri-creandola e dalla diffusione della secolarizzazione nella Chiesa stessa.
Ci si chiede, davanti a questo quadro, cosa fare. Credo ci siano due atteggiamenti da assumere. Il primo consiste nel continuare a “trattenere” la secolarizzazione con le nostre piccole forze e con l’aiuto di Dio. Il secondo consiste nello sperare che alla vecchia soluzione confessionale dell’uso del potere politico per “trattenere” la secolarizzazione emerga un’altra soluzione capace di restituire il primato di Dio nella costruzione della comunità umana. Nella accettazione di una secolarizzazione moderata – la cosiddetta laicità – non vedo nessuna possibilità di uscirne indenni.
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