di Livio Podrecca
(presidente Unione giuristi cattolici di Piacenza)
Se non è zuppa, è il caso di dire, è pan bagnato. Monica Cirinnà ci riprova con le sue unioni in salsa matrimoniale. Questa volta l’etichetta che prova ad affibbiare alla sua creatura è quella delle formazioni sociali. Obbedisco alla Corte Costituzionale, dice. Peccato che, nonostante i giochi di parole, la sostanza sia la medesima: il matrimonio, con rito e testimoni, impedimenti, equiparazione al coniuge, ecc., e l’adozione omosessuale.
Ma non c’è articolo 2 che tenga: non è logicamente possibile riconoscere e disciplinare le unioni civili, neppure come formazioni sociali, senza farne un matrimonio. Un para-matrimonio, se si preferisce.
Qualcosa, comunque, che replica la sostanza del matrimonio che conosciamo tutti noi, quello (l’unico), tra l’uomo e la donna, regolato all’art. 29 della Costituzione. Il diritto fondamentale, infatti, affermato dalla Corte Costituzionale, delle persone dello stesso sesso, di vivere tra loro una condizione di coppia, ma solo se ed in quanto omosessuali, non è verificabile nei presupposti e non esiste in natura. Le Corti che lo riconoscono fanno più politica che diritto.
Come si fa a stabilire se una persona è realmente omosessuale? Gli attivisti gay si arrabbiano molto se scoprono truffe. Come quella dei due giovani etero che qualche tempo fa avevano contratto matrimonio solo perché era la condizione per partecipare o avere più punti in un concorso artistico. In secondo luogo, perché un diritto fondamentale a vivere una condizione di coppia? Perché proprio una coppia, voglio dire, e non un gruppo, un trio, magari due uomini e una donna?
E’ evidente: perché la coppia richiama l’idea, l’archetipo, vorrei dire, e si riferisce al modello della coppia naturale, procreativa, i soliti e pur desueti maschio e femmina che si uniscono in matrimonio e danno origine ad una famiglia. Lì, però, l’essere due è naturalmente e spontaneamente funzionale alla procreazione e dipende da una complementarietà corporea evidente e sufficiente. Caratteristiche tutte che mancano nelle coppie omosessuali.
Parlare di coppia con riferimento a matrimonio e famiglia è giustificato ed ha un senso proprio solo per le coppie eterosessuali potenzialmente generative. La coppia dello stesso sesso che vuole il riconoscimento pubblico del legame affettivo sulla base dell’orientamento sessuale, invece, non vuole fare altro che imitare il matrimonio e la famiglia naturale, senza averne le caratteristiche.
Copiare, come in un gioco, in una finzione, una fictio iuris, che dovrebbe trasformare le relazioni parentali, a partire da quella genitoriale, svincolandole dal dato biologico, con la step-child adoption, la fecondazione eterologa e pratiche barbare come l’utero in affitto. Come possa seriamente pensarsi che una finzione, la semplice imitazione di un diritto realmente fondamentale possa a sua volta essere oggetto di un diritto fondamentale, che non ha nessun riscontro né fondamento né antropologico, né nella natura delle cose (che, anzi, stravolge), resta un mistero.
In ogni caso, se le coppie gay rivendicano il diritto fondamentale di imitare quelle etero, perché negano tale possibilità riguardo a se stesse? Se l’imitazione fosse ammissibile ed attribuisse diritti, qualcuno potrebbe a sua volta voler imitare la imitazione, cioè il matrimonio omosessuale, senza essere omosessuale. Se non potesse farlo, sarebbe evidentemente discriminato. E chi lo impedisce un omofobo.