di Salvatore Scarpino
Una brutta giornata, quella di ieri per Milano, Italia. Migliaia di palestinesi hanno invaso il centro per manifestare contro l’attacco israeliano ad Hamas nella striscia di Gaza. Hanno bruciato bandiere con la stella di David, hanno bruciato vessilli con stelle e strisce dell’Amerika odiata, con la interessata collaborazione dei comunisti di Rifondazione, spazzati dalla volontà popolare, ma sostenuti da un odio tenace che li collega all’esperienza infame di una dittatura condannata dalla storia.
Ma c’è stato anche un altro oltraggio, un atto di prepotenza e di inciviltà che ci tocca direttamente, come italiani rispettosi di tutti e però consapevoli, si spera, dei nostri diritti e delle prerogative della nostra civiltà.
Una strategia precisa ha indotto i manifestanti palestinesi, più numerosi del previsto, con un rinforzo di militanti, italiani e arabi, entrati in campo all’ultimo momento, a forzare i limiti preassegnati alla manifestazione e ad irrompere sul sagrato del Duomo per una preghiera non preannunciata e tutto sommato intimidatoria.
È comprensibile che le forze dell’ordine, in un delicato contestato politico-diplomatico, non abbiano contrastato la forzatura. Una preghiera, cosa volete che sia una preghiera? Ma si dà il caso che di fronte a quell’invasione si sono serrate le porte del Duomo. Per comprensibili motivi di sicurezza. Ve l’immaginate una processione di cristiani nella spianata davanti a una delle più importanti moschee dell’Islam?
Noi non siamo fermi alle Crociate, ma certi integralisti islamici sì. Credono ancora, vogliono credere che l’Occidente sia guidato da Goffredo di Buglione e cercano la rivincita in una jihad infinita. La preghiera sul sagrato del Duomo è un gesto dimostrativo, esemplare che i siti internet dell’integralismo islamico canteranno fino al più sperduto villaggio del Pakistan, dell’Ran, dell’Irak e dell’Indonesia, ovunque vigili l’occhio di Al Qaida.
Non siamo fermi alle Crociate e non esageriamo. Ma non possiamo sorvolare sul fatto che a guidare la preghiera sul sagrato sia stato l’imam Abu Imad, il predicatore della moschea di viale Jenner, già noto alla polizia e alla magistratura. Questo religioso, si fa per dire, ha avuto, il 20 dicembre del 2007, la condanna a 3 anni e otto mesi per associazione a delinquere aggravata dalla finalità di terrorismo internazionale. È stato ritenuto colpevole di avere collaborato a organizzare attentati in Italia e all’estero attraverso la costituzione di una cellula legata al «Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento». Condanna confermata in appello nel novembre scorso.
In quale Paese viviamo? A un simile cattivo maestro è consentito muoversi, forzare i cordoni delle forze dell’ordine, predicare nel segno dell’odio in uno dei luoghi significativi della tradizione cristiana, per negarla e intimidirla. Siamo democratici, ma la scelta convinta di questo sistema non comporta essere imbelli e indifesi.
(A.C. Valdera)