di Gerald O’Collins s.j.
Dalla sua uscita, tre anni fa, Il Codice da Vinci, giallo a sfondo religioso-esoterico di Dan Brown, ha avuto un successo clamoroso. Sul grande schermo è appena arrivata anche la sua versione cinematografica (1). È un romanzo giallo dal ritmo veloce e dall’intreccio senza spessore ma capace di avvincere il grande pubblico. Non sono certo le sue modeste qualità letterarie che gli hanno conferito notorietà, ma gli argomenti in esso trattati e, in particolare, il suo attacco al cristianesimo, sferrato in forma di fiction grazie a precise falsificazioni storiche.
Ciò che getta un’ombra scura sull’operazione commerciale e mediatica che sta dietro al successo del Codice da Vinci è proprio il fatto che essa si fondi sulla mistificazione della storia, sulla mancanza di rispetto per la fede cristiana e sullo sfruttamento del bisogno diffuso e pernicioso di evasione esoterica.
Sull’argomento sono già stati pubblicati libri, saggi, articoli e interviste a esperti. Le «falsità» del romanzo — che pare abbia venduto oltre 43 milioni di copie in tutto il mondo (delle quali tre milioni in Italia) e che l’anno scorso hanno fatto guadagnare all’autore oltre 72 milioni di dollari — sono state dunque ampiamente discusse. Qui ne parliamo in maniera succinta solamente per dare un saggio riassuntivo degli errori storici e biblici in esso contenuti affinché il nostro lettore ne comprenda la tipologia e la gravità.
Una trama misteriosa
Il mistero di un assassinio conduce il lettore, dopo aver attraversato il Louvre, in una lunga notte di omicidi e di inseguimenti di polizia. Partendo da Parigi, il lettore giunge a Londra in una umida mattinata. Proprio qui, nella Chapter House dell’abbazia di Westminster, sarà rivelata l’identità del cattivo «Maestro» che aveva architettato gli assassini. Brown, proponendo come principale prova indiziaria L’ultima cena di Leonardo Da Vinci, afferma che la figura alla destra del Cristo non è il discepolo amato, cioè Giovanni, ma Maria Maddalena, la quale aveva sposato Gesù e gli aveva generato una figlia. Proprio la Maddalena era il Sacro Graal del sangue di Cristo.
Non solo: lei, per disposizione di Gesù, doveva succedergli alla guida dei discepoli. La Chiesa ufficiale aveva soppresso la verità sulla relazione tra la Maddalena e Gesù e aveva fatto del suo meglio per ridurla al rango di prostituta. Erano insopportabili, per i discepoli, i titoli che le venivano tributati da Padri della Chiesa quali Ippolito, Gregorio Magno e Leone Magno, che chiamavano una donna «apostolo degli apostoli», «la rappresentante della Chiesa» e «la nuova Eva che non annuncia la morte ma la vita». Fin dal XII secolo una società segreta, chiamata Priorato di Sion, che pratica orge di sesso, ha salvaguardato il «vero» ed esplosivo segreto del Sacro Graal, cioè che Gesù si era sposato con la Maddalena e che la loro linea di sangue continuava fino ai nostri giorni.
In seguito alla minaccia della perdita della loro prelatura personale, dopo l’elezione di un nuovo Papa di tendenze progressiste, il vescovo che guida l’Opus Dei promette aiuto al Segretario di Stato, curiosamente chiamato nell’originale «Secretariat Vaticana», che è a capo del «Secretariat Council» (un organismo che non esiste nella Curia romana). Così un membro numerario dell’Opus Dei, un ex killer convertito, è incaricato di recuperare dai capi del Priorato di Sion il cryptex che contiene il sensazionale segreto riguardo a Gesù e a Maria Maddalena. Non dovrebbero esserci omicidi, ma il piano si ingarbuglia.
Il misterioso Maestro fornisce al numerario un’arma da fuoco e lo sollecita a uccidere quattro massimi esponenti del priorato e una suora che tenta di difendere un luogo segreto nella chiesa di Saint-Sulpice. Il romanzo si concentra sulle vicende di sei personaggi maggiori: il fanatico ma ingegnoso vescovo dell’Opus Dei; Robert Langton, un professore di Harvard; Sophie Neveu, un’attraente criptologa francese, che scopre di essere una discendente di Gesù e di Maria Maddalena; Silas, un gigantesco killer albino; sir Leigh Teabing, un ricchissimo ricercatore del Sacro Graal; e un brillante detective francese, la cui rudezza nasconde un cuore d’oro. Una storia sentimentale prende l’avvio tra Robert e Sophie. Ma prima di potersi godere un weekend assieme a Firenze, Robert torna a Parigi per localizzare il sepolcro di Maria Maddalena, che era nascosto sotto la piramide del Louvre.
Un affastellamento di errori
Benché un apocrifo del II-III secolo, trovato in Egitto, sembri in qualche modo alludere a un rapporto coniugale tra Gesù e la Maddalena, questo argomento nella storia non è mai stato usato per attaccare il cristianesimo o ridicolizzare il Gesù della fede, segno che la cosa veniva da tutti giudicata inverosimile, anche dai nemici più dissacranti. La storia del legame tra Gesù e la Maddalena a cui si riferisce Dan Brown nasce intorno al 1970 e si diffonde grazie a Holy Blood, Holy Grail (1982) di Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln.
Da costoro Brown ricava la notizia che gli antichi Merovingi sarebbero appartenenti alla linea di sangue di Gesù, fondendola con altri elementi di un romanzo di Robert Ambelain, Jésus ou Le mortel secret des templiers del 1970, che parla di una «concubina» di Gesù.
Secondo Brown, nel dipinto di Leonardo la persona alla destra di Gesù è Maria Maddalena, non san Giovanni, normalmente identificato con il discepolo prediletto. Non c’è specialista delle belle arti che sia d’accordo: la figura alla destra di Gesù è Giovanni. Per saperlo non sarebbe necessario studiare la storia dell’arte rinascimentale e le sue convenzioni: basterebbe contare.
Gesù ha invitato i 12 discepoli all’Ultima Cena e nel dipinto di Leonardo ci sono 12 persone che stanno celebrando l’Ultima Cena con Gesù. Se quella figura accanto a lui fosse Maria Maddalena, dove sarebbe finito Giovanni? Leonardo da Vinci, come tutti i grandi pittori rinascimentali, non era così ingenuo da incorrere in una svista di tale portata.
In realtà Il Codice da Vinci è un affastellamento di errori storici. La presenza di tante falsità storiche in questo giallo non è da scartare come una cosa marginale. All’inizio del libro ci sono notizie storiche che hanno la pretesa di raccontare fatti reali e di aver basato la trama su fatti veri e documenti autentici (2).
Ecco dunque di seguito alcune falsificazioni. Brown afferma che il Sacro Graal dovrebbe essere spiegato come il Sang Réal (il sangue reale). Ma questa etimologia è semplicemente falsa: San Graal o il Santo Graal vuol dire Santo Piatto, il piatto, cioè, come molti credevano, usato da Gesù nell’Ultima Cena. Il «Priorato di Sion» invece è una finzione basata su documenti forniti da un falsario francese, Pierre Plantard, morto nel 2000.
Le sue falsificazioni sono state pienamente chiarite alla fine degli anni Ottanta. Troviamo errori grossolani e più sostanziosi che riguardano l’imperatore Costantino e il Concilio di Nicea (325). Brown racconta che nel 325, sotto la pressione di Costantino, fu proclamata la divinità di Cristo da parte del Concilio di Nicea. Brown sostiene che fino a quel momento nel IV secolo Gesù era stato considerato un uomo grande e potente, un profeta, ma niente di più che un uomo.
Brown dovrebbe leggere il Vangelo di Giovanni, che include le parole con cui san Tommaso chiama Gesù «Mio Signore e mio Dio». Già alcuni decenni prima che fosse completato il Vangelo di Giovanni, le lettere di San Paolo affermano ripetutamente la fede in Cristo in quanto Signore divino. Il Concilio di Nicea nel IV secolo non inventò la fede nella divinità di Cristo, ma aggiunse un’altra modalità di confessarla, dichiarando il suo «essere di una sola sostanza con il Padre».
E poi un’altra tesi di Brown: che l’imperatore Costantino abbia spostato il giorno del culto cristiano alla domenica. La prova della sua falsità è in San Paolo e negli Atti degli Apostoli, che narrano come, già agli albori del movimento cristiano, i credenti avessero spostato il giorno del culto dal sabato al giorno successivo, la domenica appunto. Questo era il giorno in cui Gesù era risorto. Ciò che Costantino fece il 3 marzo del 321 fu di stabilire che la domenica fosse il giorno di riposo settimanale dal lavoro. Non decretò invece che fosse il giorno di culto per i cristiani: questo era già stato fatto nel secolo I.
Un’ulteriore falsità storica riguarda questo imperatore. Secondo Brown, fino al IV secolo ci sarebbero stati circa 80 vangeli, e Costantino di questi ne scelse e impose quattro, cioè i nostri Vangeli: secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Evidentemente Brown non sa che i nostri quattro Vangeli erano già riconosciuti ufficialmente a metà del secondo secolo, come si vede chiaramente negli scritti dei Padri della Chiesa Papia e sant’Ireneo di Lione.
Brown svilisce anche le radici giudaiche della cristianità. Egli tiene a garantirci che praticamente tutti gli elementi del rituale cattolico (la mitra, l’altare, la dossologia e la comunione, l’atto di nutrirsi di Dio) furono presi direttamente dalle precedenti religioni misteriche pagane. Brown dunque ignora l’uso degli altari nel culto giudaico, nel quale gran parte della ritualità cristiana ha le sue radici.
L’impiego della mitra da parte dei patriarchi e poi degli altri vescovi nella cristianità orientale ebbe la sua origine nella corona dell’imperatore. In Occidente l’uso della mitra può essere fatto risalire all’XI secolo, quando le religioni misteriche pagane erano già da tempo scomparse. La dossologia cristiana («Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo») si fonda su alcuni salmi giudaici (ad esempio, i salmi 8, 66, 150) e fu coniata da san Basilio Magno (IV secolo).
L’Eucarestia ha le sue origini nella Pasqua ebraica, celebrata da Gesù e dai suoi discepoli nella notte prima che morisse. A proposito di giudaismo, Brown introduce alcuni errori particolarmente seducenti. Egli spiega che il Santo dei Santi accoglie non solo Dio ma anche il Suo eguale femminino, la Shekinah. Il termine, che non si trova nella Bibbia ma nei successivi testi rabbinici, si riferisce alla prossimità di Dio al suo popolo e non a una qualche consorte femminile.
E infine un grosso errore biblico. Spiegando il tetragramma del nome di Dio, YHWH, Brown asserisce che esso derivi da Jehovah, un’unione fisica androgina tra il maschile Jah e il pre-ebraico nome di Eva, Havah. In realtà YHWH è scritto in ebraico senza alcuna vocale. I giudei non pronunciano il nome divino, ma Yahweh era, così pare, la vocalizzazione corretta delle quattro consonanti. Jehovah è un nome artificiale, una fusione medioevale di YHWH con le vocali della parola Adonai (Signore). Certamente non si tratta di un antico nome androgino dal quale sarebbe derivato YHWH.
Si potrebbe continuare a lungo nell’elenco degli errori storici e biblici presentati nel Codice da Vinci. Ancora tre brevi esempi. In primo luogo l’asserzione che la Chiesa cattolica avrebbe bruciato sul rogo 5 milioni di streghe. È semplicemente falsa: così la Chiesa avrebbe spopolato l’Europa! La caccia alle streghe è stato un crimine tragico, accaduto soprattutto nei paesi nel Nord a prevalenza protestante. Gli studiosi normalmente parlano di 50.000 vittime, uccise da cattolici e protestanti durante tre secoli, di cui un quinto uomini.
Infine un errore storico più «innocente»: Brown scrive di tante produzioni di Leonardo e di centinaia di commissioni ricevute dal Vaticano. Ma Leonardo lasciò poche opere compiute e trascorse ben poco tempo a Roma. Sembra che Brown confonda Leonardo con Michelangelo, il quale trascorse invece molto tempo a Roma, lasciando ampia traccia del suo talento.
* * *
Nella sua recensione del Codice da Vinci il professor Aviad Kleinberg dell’Università di Tel Aviv, dopo aver elencato molti errori storici, pone la domanda: come spiegare il successo clamoroso del libro? Brown è mediocre come scrittore. Ricorre a vecchi cliché; il suo libro è pieno di metafore banali e personaggi fumettistici.
Egli attribuisce il successo del libro di Brown alla pretesa di rivelare una cospirazione della Chiesa cattolica che fin dall’inizio avrebbe taciuto la vera storia di Gesù e Maria Maddalena. Per Kleinberg, Brown sa sfruttare la credulità di molti lettori, mettendo molte falsificazioni sulla bocca di tre personaggi intellettuali: un professore di Harvard, uno storico inglese e una criptologa francese. È dunque possibile essere attratti dall’intrigo del romanzo, ma l’importante è non dare credito ai suoi contenuti storici. Le tesi di fondo nel libro di Dan Brown non sono nuove. Sono però tesi che si vendono bene.
Se un romanzo costruito su un assemblaggio ben congegnato di fantasticherie funziona, significa che sa colpire la fantasia dei lettori più di serie e fondate analisi storiche. Non è una novità, certo, ma è una sfida seria. Il Codice da Vinci è una perfetta espressione della cultura di massa che mescola fatti e finzioni in una «realtà» sempre più «virtuale» e sempre meno «oggettiva». L’opera di Brown appare espressione letteraria dei videogiochi o di intrecci di marca fumettistica popolati da personaggi stereotipati. Questo, dunque, è forse il vero contesto letterario delle opere di Brown, che dovrebbero essere prese sul serio nella misura in cui lo sono appunto i videogiochi e i fumetti (3).
È da notare, d’altra parte, il nuovo interesse per le questioni storico-bibliche provocato proprio dalle polemiche sorte attorno al libro di Dan Brown. Questo fenomeno dunque mostra la necessità e offre l’occasione «di un’opera capillare di catechesi, e prima ancora di informazione storica, che, usufruendo anche delle attuali tecniche e metodologie di comunicazione, aiuti la gente a distinguere con chiarezza i dati certi delle origini e dello sviluppo storico del cristianesimo dalle fantasie e dalle falsificazioni» (4). In ogni caso non si deve cedere né al pessimismo né all’allarmismo, «alla fine il fascino della verità è più forte di quello dell’illusione»(5).
Note
1) Per quanto riguarda il film che il regista Ron Howard ha ricavato dal bestseller di Dan Brown non c’è molto da aggiungere a quanto è detto nelle pagine che seguono, salvo registrare la freddezza con la quale il prodotto è stato accolto al festival di Cannes, dove è stato presentato in anteprima mondiale, sia nella proiezione riservata alla stampa, sia in quella dedicata al pubblico: scarsi applausi di circostanza, molti fischi e qualche risata. Se non è facile il compito di chi vuol portare sullo schermo opere letterarie di riconosciuto spessore culturale, sintetizzare in una pellicola ad alto costo (125 milioni di dollari) della durata di 2 ore e 32 minuti un tale coecervo di assurdità si presentava fin da principio come un’impresa disperata. Vulgus vult decipi, dicevano i latini. Per questo motivo, grazie a un imponente battage pubblicitario, anche questo film, brutto e noioso, sarà visto da milioni di spettatori. È un peccato che l’industria hollywoodiana, che dovrebbe sentire la responsabilità che le deriva dall’enorme prestigio di cui gode nel mondo, sprechi energie e talenti in una operazione di plateale mistificazione, basata su un’ulteriore banalizzazione di temi alti della cultura, già banalizzata nel libro di Dan Brown.
2) Anche il libro precedente di Brown, Angeli e demoni, è infestato da molti errori, che soltanto in parte possono essere giustificati con la scusa che si trovano collocati all’interno di una fiction che non ha pretese di realismo. Ad esempio, la Fontana dei Fiumi a Piazza Navona diventa nel romanzo la Fontana d’Europa. Brown parla delle monete buttate in questa fontana, confondendola forse con la Fontana di Trevi. Secondo Brown la colomba che si trova sopra l’obelisco del Bernini è un simbolo pagano. Non lo è: simbolizza la famiglia Pamphilj e il Papa del tempo, Innocenzo X. L’ignoranza di Brown è abissale: una fontana, tre errori. Inoltre sposta la chiesa di Santa Maria della Vittoria da via XX Settembre a piazza Barberini. Insomma l’ignoranza che Brown dimostra nel Codice da Vinci non è una cosa nuova per chi ha letto i suoi libri precedenti.
3) Cfr M. FFORDE, «Nel solco del fumetto», in Oss. Rom., 10 aprile 2006.
4) C. RUINI, Prolusione alla 56a Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, 15-19 maggio 2006.
5) Ivi.