Chiesa di massa o Chiesa minoritaria?
Intervista di Peter Seewald
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Avvenire, 11 maggio 2005
Filosofi, dov’è la verità?
In un’’intervista del 2001 il futuro Papa lanciava una sfida ai pensatori di oggi: non censurate la questione della verità
di Vittorio Possenti
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Le Figaro 17 novembre 2001.
Escludere la religione è mutilare l’essere umano
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Chiesa di massa o Chiesa minoritaria?
Intervista di Peter Seewald
Domanda. Eminenza, molti anni fa Lei si espresse in termini profetici sulla Chiesa del futuro: la Chiesa, diceva allora, «si ridurrà di dimensioni, bisognerà ricominciare da capo. Ma da questa prova uscirà una Chiesa che avrà tratto una grande forza dal processo di semplificazione che avrà attraversato, dalla rinnovata capacità di guardare dentro di sé. Perché gli abitanti di un mondo rigorosamente pianificato si sentiranno indicibilmente soli… E riscopriranno la piccola comunità dei credenti come qualcosa di completamente nuovo. Come una speranza che li riguarda,come una risposta che hanno sempre segretamente cercato». Pare proprio che abbia avuto ragione. Ma qual è la prospettiva che ci attende in Europa?
Risposta. Per incominciare: la Chiesa si ridurrà numericamente? Quando ho fatto questa affermazione, mi sono piovuti da tutte le parti rimproveri di pessimismo. E oggi tutti i divieti paiono caduti in disuso, tranne quello riguardante ciò che viene chiamato pessimismo e che spesso non è altro che sano realismo. Nel frattempo i più ammettono la diminuzione della percentuale di cristiani battezzati nell’Europa di oggi. In una città come Magdeburgo la percentuale dei cristiani è solo dell’8% della popolazione complessiva, comprendendo – si badi bene – tutte le confessioni cristiane. I dati statistici mostrano tendenze inconfutabili. In questo senso si riduce la possibilità di identificazione tra popolo e Chiesa in determinate aree culturali, ad esempio da noi. Dobbiamo semplicemente prenderne atto.
Domanda. Che cosa significa?
Risposta. La Chiesa di massa può essere qualcosa di molto bello, ma non è necessariamente l’unica modalità di essere della Chiesa. La Chiesa dei primi tre secoli era una Chiesa piccola senza per questo essere una comunità settaria. Al contrario, non era chiusa in sé stessa, ma sentiva di avere una responsabilità nei confronti dei poveri, dei malati, di tutti. Nel suo grembo trovavano posto tutti coloro che da una fede monoteista traevano alimento nella loro ricerca di una promessa. Già le sinagoghe, le comunità ebraiche presenti nelle città dell’Impero Romano avevano costituito una cerchia di simpatizzanti esterni, i cosiddetti timorati di Dio, che si erano avvicinati alla fede ebraica e che ne testimoniavano la grande apertura all’esterno. Il catecumenato della Chiesa antica aveva una funzione simile. Persone che non si sentivano ancora pronte a un’identificazione totale con la Chiesa, potevano in un certa misura avvicinarvisi per poi valutare se compiere il passo definitivo.
Questa consapevolezza di non essere un club chiuso ma di essere sempre aperti alla comunità nel suo complesso è sempre stata una componente ineliminabile nella Chiesa. E anche al processo di riduzione numerica che stiamo vivendo oggi dovremo far fronte proprio esplorando nuove forme di apertura all’esterno, nuove modalità di coinvolgimento parziale di coloro che sono al di fuori della comunità dei credenti. Non ho niente in contrario a che persone che durante l’anno non hanno mai messo piede in chiesa vadano alla Messa della notte di Natale o a San Silvestro o in occasione di altre festività perché anche questa è una forma di avvicinamento alla benedizione del sacro, alla sua luce. Ci devono quindi essere forme diverse di coinvolgimento e partecipazione, la Chiesa deve aprirsi interiormente a coloro che stanno ai margini delle sue comunità.
Domanda. Ma la Chiesa di massa non è la più alta conquista della civiltà religiosa? Non è forse la Chiesa davvero universale, accessibile a tutti, la Chiesa che con i suoi mille rami offre un tetto ad ogni uomo? La Chiesa può davvero rinunciare all’ aspirazione a essere una Chiesa di massa e quindi la Chiesa della maggioranza? Questa è una conquista che è pur sempre costata immani sforzi e sacrifici.
Risposta. Dobbiamo prendere atto dell’assottigliarsi delle nostre fila, ma dobbiamo parimenti rimanere una Chiesa aperta. La Chiesa non può essere un gruppo chiuso, autosufficiente. Dobbiamo essere missionari innanzi tutto nel senso di riproporre alla società quei valori che dovrebbero informare di sé la sua coscienza, valori che sono le fondamenta della forma statuale che la società stessa si è data, e che sono alla base della possibilità di costituire una comunità sociale davvero umana. In questo senso il dibattito su ciò che fu una volta la Chiesa di massa – e che in alcuni Paesi continuerà ad essere, e in altri ancora diventerà per la prima volta – proseguirà sicuramente. La Chiesa continuerà a esprimere il suo punto di visto nell’ambito del processo di produzione legislativa e a riproporre i grandi valori umani universali quali stelle polari nel processo di costruzione di un corpo sociale umano. Perché, se il diritto non ha più fondamenta morali condivise, decade anche in quanto diritto.
Da questo punto di vista la Chiesa ha una responsabilità universale. Responsabilità missionaria significa appunto, come dice il papa, tentare davvero una nuova evangelizzazione. Non possiamo accettare tranquillamente che il resto dell’umanità precipiti nel paganesimo di ritorno, dobbiamo trovare la strada per portare il Vangelo anche ai non credenti. Esistono già dei modelli. Il neocatecumenato possiede un proprio modello, altre comunità intraprendono altri tentativi. La Chiesa deve ricorrere a tutta la sua creatività per far sì che non si spenga la forza viva del Vangelo. Per plasmare le masse, pervaderle del suo messaggio e agire in loro come il lievito. Proprio come disse Gesù allora a una comunità molto piccola, quella degli Apostoli: siate lievito e sale della terra. La definizione di «lievito» presuppone la dimensione molto piccola da un lato, ma anche l’universalità della responsabilità.
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Avvenire, 11 maggio 2005
Filosofi, dov’è la verità?
In un’’intervista del 2001 il futuro Papa lanciava una sfida ai pensatori di oggi: non censurate la questione della verità
di Vittorio Possenti
Dopo il declino della critica, lungamente sollevata, secondo cui la religione varrebbe come oppio dei popoli, quali interrogativi e problemi verosimilmente interpellano con maggior vigore la coscienza umana e religiosa del XXI secolo?
«È difficile fare previsioni, perché potrebbero sempre entrare in scena improvvisi cambiamenti della coscienza storica. All’inizio del XX secolo chi avrebbe potuto prevedere che negli anni Venti il liberalismo sarebbe stato improvvisamente considerato una ideologia borghese ormai superata, al cui posto erano subentrati l’esistenzialismo, la filosofia dei valori e nuovi abbozzi della metafisica? All’inizio degli anni Sessanta chi avrebbe potuto prevedere che nel 1968 sarebbe sopraggiunta una svolta che a sua volta rigettava l’esistenzialismo come filosofia borghese e invece implicava di rivolgersi con passione al marxismo?
Allo stesso modo anche noi oggi non possiamo prevedere i possibili cambiamenti della coscienza collettiva. Come appare dalla situazione attuale, ci saranno da un lato una riabilitazione del mito e delle forme di religiosità di impronta mitica, in cui l’essere umano cerca l’esperienza della comunità, dell’unità di anima e corpo, dell’unitotalità e la fuoriuscita dai vincoli del mondo della tecnica come momenti di libertà, di oblio, in sintesi di felicità. A tale riguardo potrebbe ulteriormente aumentare la frattura fra il mondo del razionale e i mondi dell’esperienza irrazionale.
Ciò significherebbe poi in ambito filosofico un ulteriore allontanamento dalla metafisica e un consolidamento del dominio del positivismo come unica forma della razionalità, per cui la capacità di comprendere che cosa sia la ragione e che cosa sia razionale si riduce sempre più. Ma vedo anche possibili nuovi risvegli della fede cristiana, di una cattolicità viva, e da ciò giungeranno anche nuovi impulsi per la filosofia. Come negli anni Venti del secolo scorso la fenomenologia husserliana all’improvviso aveva aperto le porte per un rinnovamento della metafisica e il personalismo aveva mutato il quadro della filosofia, così una fede rinnovata aprirà di nuovo alla filosofia le porte delle domande primigenie dell’essere umano – domande fondamentali e mai risolte – sulla sua origine e il suo futuro, sulla vita e la morte, su Dio e l’eternità».
Il liberalismo filosofico, di cui è nota la considerevole diffusione ai vari livelli della cultura occidentale, continua a sostenere che il primo e fondamentale “bisogno umano” debba ravvisarsi nella libertà. Considerando questo assunto, si fa strada la riflessione se non siano presenti nell’uomo bisogni, domande, esigenze almeno (e forse più) fondamentali di quello vertente sulla libertà, la quale dal liberalismo filosofico è intesa solo come libertà di scelta. Non sembra questa una seria restrizione del problema?
«In effetti ci troviamo di fronte a una pericolosa unilateralizzazione delle domande fondamentali sull’esistenza umana. Il concetto stesso di libertà viene ridotto indebitamente. In generale il concetto di libertà non solo è ridotto a quello di libertà di scelta, ma è anche concepito da un punto di vista esclusivamente individualistico; per fare un esempio, nel senso in cui una volta era stato formulato dal giovane Marx: La libertà consiste “nel fare oggi questo, domani quello… proprio a seconda di come ne ho voglia”.
Ma in tal modo si dimentica che l’umanità ci è data solo nel nostro essere l’uno con l’altro e che la mia libertà può funzionare solo in unione con la libertà degli altri. Siamo collegati l’un l’altro in un sistema di prestazioni reciproche: solo così nutrimento, salute, lavoro e tempo libero possono essere assicurati. La mia libertà è sempre una libertà dipendente, una libertà con gli altri e attraverso gli altri. Senza la sinergia con le altre libertà, la mia libertà annienta se stessa. Dunque, la libertà in primo luogo deve tener conto del reciproco essere l’uno con l’altro. Non può essere arbitrarietà, ma h a bisogno dell’ordinamento delle libertà e dell’osservanza delle sue regole.
Se così è, segue subito la duplice domanda: chi stabilisce queste regole? E qual è il criterio secondo cui vengono istituite? Alla prima domanda oggi rispondiamo rinviando alla democrazia come forma regolatrice delle libertà, e ciò è giusto. Tuttavia rimane la seconda domanda, perché devono pur esserci dei criteri per il giusto ordinamento delle libertà. Ora, noi diciamo: è la maggioranza che decide. Ma ci possono anche essere maggioranze malate, e il secolo scorso lo ha dimostrato. Ci può essere una maggioranza che decide che una parte della popolazione deve essere sterminata perché ostacola il godimento della propria libertà.
Oppure che un popolo confinante deve essere combattuto perché restringe il proprio spazio vitale. Ci sono norme che nessuna maggioranza può abrogare. Così è davvero necessario porre la domanda: quali sono i beni che nessuno può distruggere senza distruggere l’essere umano e in tal modo anche la libertà? La domanda sull’incondizionatamente buono e sull’incondizionatamente malvagio non può essere elusa, se ci deve essere un ordinamento della libertà che sia degno dell’uomo».
Nonostante la fine catastrofica dell'”ateismo scientifico-dialettico” di origine marxista, permane nella cultura occidentale postmoderna una forte obiezione nei confronti del cristianesimo. Come valutare l’atteggiamento che intende prescindere sistematicamente da Dio nel campo civile, procedendo «etsi Deus non daretur»? Sarebbe questo il canone centrale di ogni autentica morale laicista?
«In effetti sembra che attualmente il pensiero continui a svilupparsi in questa direzione. Dopo che il marxismo, di fronte alla svolta del 1989, continua ancora oggi a trovarsi in una pausa di riflessione, le filosofie simili a quella del razionalismo critico di Popper corrispondono maggiormente al senso contemporaneo di ciò che si può considerare razionale. La verità in quanto tale – così si pensa – non può essere conosciuta, ma si può avanzare a poco a poco solo con i piccoli passi della verificazione e della falsificazione.
Si rafforza la tendenza a sostituire il concetto di verità con quello di consenso. Ma ciò significa che l’uomo si separa dalla verità e così anche dalla distinzione tra il bene e il male, sottomettendosi completamente al principio della maggioranza. Il cammino in questa direzione comincia già, naturalmente, nell’idealismo tedesco, quando si parte dal presupposto che l’uomo possa conoscere non la realtà in quanto tale ma solo la struttura della sua coscienza.
Nel frattempo filosofie come quelle di Singer, Rorty, Sloterdijk indicano ulteriori radicalizzazioni nella stessa direzione: l’uomo progetta e “monta” il mondo senza criteri prestabiliti e così supera necessariamente anche il concetto di dignità umana, sicché anche i diritti umani diventano problematici. In una siffatta concezione della ragione e della razionalità non rimane spazio alcuno per il concetto di Dio.
E tuttavia la dignità umana alla lunga non può essere difesa senza il concetto di Dio creatore. Essa perde così la sua logica. Naturalmente noi non possiamo e non ci è consentito di costringere alcuno a credere in Dio. Tanto più urgente è allora il compito di far di nuovo valere il concetto di Dio creatore nella sua razionalità e di tenerlo presente nel conflitto della ragione».
Osservatori di varia estrazione sostengono che è in atto un abbandono interno alla Chiesa delle “prove” della verità del cristianesimo, della sua pretesa alla verità. A suo parere, si può assegnare validità a tale diagnosi, secondo la quale la prassi attuale del cattolicesimo riterrebbe secondaria la verità dei propri contenuti?
«Probabilmente è vero che importanti settori del cattolicesimo attualmente nel dialogo con i non credenti accantonino la domanda sulla verità considerandola priva di prospettive e quindi sterile e vogliano focalizzare il dibattito sull’utilità sociale della fede. P er specifiche fasi della discussione questo può essere ammesso oppure può costituire l’unica via percorribile. Ma se complessivamente si volesse lasciar cadere la pretesa alla verità e in tal modo si intendesse declassare il cristianesimo da “verità” a (utile) abitudine (“tradizione”), questo significherebbe la rinuncia del cristianesimo a se stesso. Il cristianesimo sarebbe certo perfettamente inglobato nel sistema del mondo moderno, però avrebbe perso la sua anima.
Dunque Cristo non potrebbe più dire: “Io sono la verità”, ma sarebbe retrocesso all’ordine di grandezza di un uomo con una significativa esperienza religiosa oppure a quello di un riformatore della società che purtroppo ha fallito. Del resto la Chiesa proprio grazie all’altezza della sua pretesa rende un servizio alla società; essa non permette di rimanere ancorati alle filosofie del consenso o alle tecniche sociali; la Chiesa ci esorta sempre di nuovo a porci la domanda sulla verità, solo così la statura dell’uomo può essere preservata».
Come mantenere la pretesa cristiana alla verità, se si assume che l’idea stessa di verità non sia applicabile alla religione, la quale verterebbe solo sulla pietà e i costumi ed escluderebbe la conoscenza?
«Se la fede cristiana è solo una tradizione religiosa, anche se certamente una tradizione significativa, non è più comprensibile il motivo per cui dovrebbe essere impartita agli altri. Al contrario, la verità è per tutti una sola, e se Cristo è la verità, allora riguarda tutti; allora è una colpa occultarla agli altri. Se si definisce il cristianesimo una religione europea si dimentica che non è nato in Europa e che nei primi secoli si è diffuso in modo uniforme sia in Europa sia in Asia; la missione nestoriana aveva raggiunto l’India e la Cina; l’Armenia e la Georgia sono antiche terre cristiane.
Anche nella penisola arabica c’era una rilevante presenza di cristiani; presenza che fu notevolmente indebolita dal successo dell’islam, ma che ciò nonostante non si riuscì a far scomparire. Oggi l’opposizione più forte al cristianesimo proviene dall’Europa e dalla sua filosofia postcristiana, mentre nei paesi extraeuropei la fede trova un sostegno sempre più forte. A questo si obietta che il cristianesimo, nella manifestazione concreta che ha assunto, ha ricevuto la sua impronta soprattutto dalla filosofia greca e dai suoi sviluppi nel pensiero medievale nonché dal pensiero europeo moderno, per far derivare da ciò il diffuso postulato della deellenizzazione e del puro ritorno alla Bibbia.
In questa prospettiva si dimentica però in primo luogo che la filosofia greca nell’incontro con il messaggio cristiano ha subito un profondo processo di ri-fusione. In opposizione a ciò ci fu una reazione in campo filosofico che si contrappose a questa trasformazione cristiana e alla nuova sintesi delle culture, con l’intento di preservare l’elemento autenticamente greco. Ma qui si dimentica anche che già nell’Antico Testamento ha avuto luogo un incontro tra il pensiero greco e l’antica tradizione biblica: il processo dell’incontro fra le culture è quindi già avviato nella Bibbia stessa».
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Le Figaro 17 novembre 2001.
Escludere la religione è mutilare l’essere umano
Da venti anni, al Vaticano, è il guardiano del dogma. Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger è uno dei primi personaggi della gerarchia cattolica. Ma se è il vicino collaboratore di Giovanni Paolo II, è anche perché l’amicizia e una profonda complicità intellettuale uniscono i due uomini. Quando questo teologo prende la parola, definisce secondo verità gli orientamenti della Chiesa. In occasione della pubblicazione in francese del suo ultimo libro ha concesso al “Figaro Magazine” una intervista esclusiva
Intervista rilasciata a Jean Sévilla Figaro Magazine
oi, tempo fa, avete scritto che “la fede non è scomparsa , ma ha emigrato nell’ambito del soggettivo.” Per la Chiesa, quali sono le conseguenze del relativismo contemporaneo
Joseph Ratzinger – Dall’epoca dell’Illuminismo, la fede non è più la missione comune del mondo così com’era, invece, nel Medio Evo. La scienza ha istituito una nuova percezione della realtà: si considera come oggettivamente fondato quello che può essere dimostrato come in un laboratorio. Tutto il resto – Dio, la morale, la vita eterna – è trasferito nel nell’ambito del soggettivo. Pensare che c’è una verità accessibile a tutti nell’ambito della religione implicherebbe anche una certa intolleranza. Il relativismo diventa la virtù della democrazia.
Per la Chiesa, la fede cristiana ha, quindi, un contenuto oggettivo?
Certo, e in questo contesto intellettuale è tutta la nostra difficoltà per annunciare il Vangelo. Ma possiamo mostrare i limiti del soggettivismo: se noi accettiamo totalmente il relativismo, nella religione ma anche nelle questioni morali, ciò ha come esito la distruzione della società. Con sempre maggiore razionalismo, la ragione si distrugge da sé stessa, istituendo l’anarchia: quando ciascuno costituisce un’ isola incomunicabile, sono le regole del vivere insieme che spariscono. Se sono le maggioranze che definiscono le regole morali, una maggioranza può stabilire domani delle regole contrarie alle regole di ieri. Abbiamo avuto anche l’esperienza del totalitarismo, per il quale il potere fissava autoritariamente le regole morali. Così pure il relativismo morale sfocia nell’anarchia o nel totalitarismo.
La Chiesa si considera sempre missionaria?
Sì, direi di nuovo come missionaria. Oggi, il termine missione non è sempre ben compreso, perché si pensa alla distruzione delle culture antiche da parte degli Occidentali. La realtà storica è tuttavia differente: noi sappiamo che i missionari cristiani – in Africa, in Asia ma anche in America Latina – erano spesso i veri difensori della dignità umana. Questi missionari hanno salvato una parte delle culture antiche trascrivendo le lingue indigene, redigendo dei dizionari dei dizionari e delle grammatiche. Essi sono stati di aiuto a questa grande rivoluzione che è stato l’incontro dell’Europa e di questi popoli, integrando le tradizioni che convergevano con la fede cristiana. Certi problemi dell’Africa, attualmente, risultano dal fatto che, con il razionalismo occidentale, si sono distrutte le antiche forze morali senza offrire altre cose. Come abbiamo portato la tecnica, restano le armi, e la guerra di tutti contro tutti, In definitiva, è la missione cristiana che può difendere l’edificazione di società moderne, legate alle loro proprie radici.
La Chiesa dichiara di rifiutare l’intolleranza. Ma non è anch’essa vittima dell’intolleranza?
Certamente. Vi sono state da una parte le filosofie totalitarie, anche se il marxismo è ora in crisi. Dall’altra parte, il razionalismo agnostico non è così pacifico come sembra. Certi considerano la Chiesa come l’ultimo bastione dell’intolleranza, ma per combattere questa intolleranza diventano intolleranti. E questa intolleranza può giungere fino alla violenza.
Nelle polemiche contro la Chiesa, le questioni relative alla sessualità e al libero arbitrio morale si ripropongono molto spesso. Perché questa incomprensione tra il mondo moderno e la Chiesa?
Ci riferiamo qui alla visione individualista dell’uomo. La nostra epoca glorifica il corpo e i suoi piaceri, esalta la libertà sessuale, ma prende in considerazione ciò che si rileva dalla biologia più che dalla psicologia. Si opera una sottile separazione tra il biologico, il corporale – che sfuggirebbero dalla responsabilità spirituale perché sono dell’ordine della natura – e l’essere umano in quanto tale. A partire dal momento ove si considera la sessualità come un fenomeno puramente biologico, una morale sessuale non ha più senso.
La cultura contemporanea è quella della libertà assoluta, attraverso la quale l’uomo si deve “realizzare”. Non esiste dunque una natura umana che definisca il bene e il male. Questa visione si oppone alla tradizione della Chiesa, ma anche a tutte le concezioni per le quali è inscritta nella nostra natura una certa linea di comportamento, il senso stesso del nostro essere. La Chiesa parla di diritto naturale, di morale naturale. Viceversa, se non siamo che prodotti dell’evoluzione, noi siamo liberi di definirci.
Vi è allora, come diceva Sarte, una libertà nel senso che “io non sono definito”: nella mia situazione, io devo inventare che cos’è l’uomo. Invece, nella visione cristiana, l’esistenza dell’uomo – maschio e femmina – porta una idea del Creatore, un Creatore che ha un progetto con il mondo, che esprime delle idee incarnate nella realtà del mondo. E la relazione di fedeltà dell’uomo e della donna rivela un destinazione dell’uno e all’altro, in una profonda unità di corpo e di spirito, e dove si legano le generazioni future. L’elevazione dei riflessi fisici al rango di realtà vissute nel rispetto della persona è il cammino difficile, ma grande e bello, della morale cristiana sulla sessualità.
La carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata lo scorso anno, ha rifiutato di fare riferimento all’ “eredità religiosa” dell’Europa. Cosa ne pensa di questa interpretazione della laicità?
Dobbiamo definire bene la laicità. Per me, esiste una nozione positiva di laicità nel senso che, fenomeno nuovo nella storia, il cristianesimo ha creato la differenza riconoscendo la distinzione tra religione e Stato. Questa distinzione tra l’ambito di Dio e quello di Cesare è la sorgente del concetto di libertà che si sviluppa in Europa, in Occidente. Essa implica che la religione dona all’uomo una visione per tutta la sua vita, non solamente per la vita spirituale. Ma l’istituzione religiosa non è totalitaria: essa è limitata dallo Stato. E lo Stato non può prendere tutto in mano: è limitato dalla libertà della religione.
Lo Stato non è tutto, e la Chiesa in questo mondo non è tutto. Presa in questo senso, la laicità è profondamente cristiana. L’ostilità dei nazisti al cristianesimo, soprattutto al cattolicesimo, era fondata su questa idea che lo Stato è tutto. Ma se la laicità vuole significare che nella vita pubblica non c’è posto per Dio, questo è un grande errore. Le istituzioni politiche e le istituzioni religiose possono loro sfere proprie. Tuttavia i valori fondamentali della fede devono manifestarsi pubblicamente, non per la forza istituzionale della Chiesa ma per la forza della loro verità interiore. Se la laicità vuole escludere la religione, è una mutilazione dell’essere umano.
Il confronto tra il mondo occidentale e il mondo musulmano è uno scontro di civiltà ?
L’islam non esiste come un blocco. Non c’è un magistero dell’islam, né delle costituzioni centralizzate dell’islam. Il Corano fornisce certo un riferimento comune al mondo islamico. Ma da luogo a interpretazioni differenti, e l’islam si incarna in contesti culturali diversi, dall’Indonesia all’India, dal Medio – Oriente all’Africa. Quindi il mondo islamico non è un blocco e non cancella i caratteri nazionali: ci sono dei paesi a maggioranza islamica che sono molto tolleranti e altri che escludono più o meno il cristianesimo.
Oggi, l’islam è molto presente in Europa. E sembra che si manifesti un certo disprezzo presso coloro che sostengono che l’Occidente a perso la sua coscienza morale. Per esempio, se il matrimonio e l’omosessualità sono considerati come equivalenti, se l’ateismo si trasforma in diritto alla bestemmia, notoriamente nell’arte, questi fatti sono orribili per i musulmani. Perciò, c’è l’impressione diffusa nel mondo islamico, che il cristianesimo è morente, che l’Occidente è decadente. E il sentimento che solo l’islam porta la luce della fede e della moralità.
Una parte dei musulmani vede in questo caso una opposizione fondamentale tra il mondo occidentale, e il suo relativismo morale e religioso, e il mondo islamico. Parlare di un confronto di culture, è in certi casi vero: nel disprezzo verso l’Occidente troviamo le conseguenze del passato durante il quale l’islam ha subito il dominio dei paesi europei. Ci si può allora imbattere in un fanatismo terribile. È una delle facce dell’islam, non è tutto l’islam. Esistono anche dei musulmani che desiderano un dialogo pacifico con i cristiani. Di conseguenza, è importante giudicare i differenti aspetti di una situazione che è preoccupante per tutte le parti in questione.
L’anno scorso, il Card. Biffi, arcivescovo di Bologna, ha suscitato una polemica affermando che l’immigrazione musulmana pone delle difficoltà…
La riflessione del Cardinale Biffi era più sottile. Ha sottolineato che oggi esiste una migrazione di popoli, ma che è chiaro che ogni governo, anche il più aperto, non può accettare indefinitamente tutti gli immigrati. Bisogna dunque distinguere quelli che possono arrivare e gli altri. Secondo quale criterio? Era la domanda del Cardinale Biffi. A partire dal momento che delle scelte sono inevitabili, bisogna accettare in primo luogo – in vista della pace civile delle nostre società europee – i gruppi che sono più integrabili, i più vicini alla nostra cultura. Se si manifesta una incompatibilità di cultura, una incomprensione, è tutta la società che è frantumata. E ciò non serve a nessuno, neppure agli immigrati musulmani. Definire i criteri permette l’unità di un paese e consente la pace sociale, è l’interesse di tutti.
Il mondo moderno vive nel culto del progresso e della ragione. Dopo due guerre mondiali, i gulag, Auschwitz, il terrorismo, le nozioni di progresso e di ragione hanno un senso?
Per quanto riguarda il concetto di progresso, sono sempre stato scettico. C’è naturalmente un progresso nel numero delle nostre conoscenze, nella scienza e nella tecnica. Ma, questo progresso non conduce necessariamente a un progresso nei valori morali, né nella nostra capacità a fare buon uso del potere conferito da questa conoscenza. Al contrario: il potere può essere un fattore di distruzione. Sono sempre stato contrario allo spirito dell’utopia, al credere in una società perfetta: concepire una società una volta per tutte perfetta, è escludere la libertà di ogni giorno. Tanto è vero che la morale e la ragione sono fragili, una società può sempre autodistruggersi. Ciò che bisogna sperare è nella presenza sufficiente di forze morali capaci di resistere al male.
Vendita degli organi, manipolazione genetica, clonazione: bisogna porre dei limiti alla ricerca medica e scientifica?
Per l’uomo moderno, l’idea di mettere dei limiti alla ricerca costituisce una bestemmia. Tuttavia esiste un limite interiore ed è la dignità dell’uomo. Dei progressi pagati al prezzo della violazione della dignità umana è inaccettabile. Se la ricerca attacca l’uomo è una deviazione della scienza. Anche se si pretende che l’una o l’altra ricerca apra delle possibilità per l’avvenire, bisogna dire no quando l’uomo è in gioco. Il paragone è un po’ forte, ma ricordo che, un tempo, alcuni hanno proceduto a degli esperimenti medici con delle persone che essi dichiaravano inferiori. Dove condurrà la logica che consiste nel trattare un feto o un embrione come una cosa?
Che cosa si aspetta la Chiesa dalla gioventù?
Che la gioventù non abbia in lei i pregiudizi delle generazioni del ’68, che hanno alienato numerose persone – e anche membri della Chiesa – dalla fede. Ci aspettiamo che la gioventù riparta con una nuova vitalità, una apertura per scoprire in Cristo un Dio che è verità e amore.
Quali saranno le grandi caratteristiche del prossimo pontificato?
Non sta a me stabilire il suo programma! E poi il mondo cambia rapidamente: quello che ci appariva imperativo ieri non riveste oggi la stessa importanza. Mi sembra che i problemi più urgenti, per la Chiesa, risultino da ciò che abbiamo appena evocato. Come rispondere alla questione posta da parte di un mondo occidentale che dubita di se stesso, che non riconosce più un fondamento razionale in una fede comune, un mondo che è dunque lasciato al soggettivismo e al relativismo? E poi c’è l’islam e anche il buddismo, le due grandi sfide per il mondo occidentale: trovare il dialogo con loro, trovare la possibilità di comprendersi senza perdere la grande luce che ci venuta nella figura di Gesù Cristo.
(traduzione a cura di Don Pierre Laurent Cabantous)