Il cronista medievale Raul Glaber racconta che all’inizio dell’anno Mille, l’Europa andava coprendosi di un bianco manto di chiese. I campanili svettanti nei borghi e nelle città annunciavano una nuova primavera della fede. Sorgeva la grande Civiltà cristiana del Medioevo. Da allora, nel corso dei secoli, quelle chiese e quei campanili hanno segnato il paesaggio e lo spazio pubblico europeo.
Racconterebbero poi che non esiste città o paese di una certa grandezza che non abbia almeno una chiesa cristiana, e a volte anche più d’una; se non altro nell’Europa occidentale, dove la libertà di religione non è una conquista recente, e ha permesso alla Cristianità di esprimersi nei secoli, anche attraverso la costruzione di chiese.
In certi luoghi queste chiese possono anche rimanere vuote per la maggior parte dell’anno; ma sono là, spesso di una bellezza maestosa, spesso in posizione dominante nel cuore dello spazio pubblico» (Un’Europa cristiana. Un saggio esplorativo, BUR, Milano 2003, p. 42).
La croce, simbolo di identificazione della nostra civiltà, è oggi però messa in discussione dagli stessi europei. La Corte di Giustizia Strasburgo intima la rimozione dei crocifissi dagli spazi pubblici e giunte comunali, come quella di Lugo di Romagna, ne deliberano la scomparsa dalle lapidi dei cimiteri. Un progetto di legge dello stesso tenore è allo studio del governo belga per «non offendere i musulmani».
Nell’Europa, stanca e svigorita dei nostri giorni, le croci vengono rimosse, le chiese si svuotano o vengono trasformate in alberghi, mentre spuntano sempre più numerose le moschee, all’ombra dei minareti. Le moschee e i minareti non sono elementi decorativi del paesaggio, ma espressione di una fede religiosa che si dilata nel nostro continente. «I minareti sono le nostre baionette, le cupole i nostri elmi, le moschee le nostre caserme e i credenti il nostro esercito». Così si esprimeva nel 1998 l’attuale premier turco Tayyp Erdogan citando un poeta musulmano.
Non tutti gli svizzeri che hanno votato contro la costruzione di nuovi minareti in Svizzera conoscono questa citazione, ma non stupisce che essi considerino i minareti come simbolo di conquista religiosa e culturale. Il minareto (in arabo manar, il “faro”che proietta la fede) è la torre che propaga ai quattro punti cardinali la fede islamica. Accettare il minareto significa accettare ciò che dal minareto è inscindibile: la presenza del Muezzin che lancia il suo appello alla preghiera e alla conversione ad Allah.
Il diritto di propagandare la propria fede è rivendicato dai musulmani in nome della “libertà religiosa”. Ma in nome della stessa libertà di religione i seguaci dell’Islam chiedono il rispetto della loro legge religiosa, che impone pratiche come la poligamia e proibisce ogni forma di “apostasia”, ovvero interdice l’abbandono dell’islamismo per convertirsi al Cristianesimo.
Per i musulmani libertà religiosa significa dunque il diritto di convertire i cristiani all’Islam e il contemporaneo divieto di convertire i musulmani al Cristianesimo. Il termine “libertà religiosa” viene invece inteso in Occidente come “religione della libertà”, ovvero come primato assoluto della autodeterminazione dell’individuo e conseguente equivalenza di ogni religione. Ma qual è la religione oggi minacciata in Europa, quella dei musulmani o quella dei cristiani?
La Corte di Strasburgo, che ha condannato l’esposizione pubblica dei Crocifissi, si pronuncerebbe contro la proclamazione della fede maomettana dalle torri dei minareti? Il Crocifisso non può essere esposto in una scuola a maggioranza cristiana, ma nelle stesse città in cui non può essere esibito il Crocifisso possono sorgere a volontà moschee e minareti.
Qualcuno distingue tra minareti e moschee, definendo religiosamente aggressivi i primi e “pacifiche” le seconde. Si dimentica però che le moschee non sono solo luoghi di culto, ma hanno anche la funzione di propaganda della sharī’a, la legge islamica.
L’associazione dei Fratelli Musulmani, ad esempio come ricorda Magdi Allam, «promuove l’islamizzazione della società a partire dal basso, tramite il controllo delle moschee, dei centri culturali islamici, delle scuole coraniche, di enti caritatevoli e di istituti finanziari. La tattica perseguita è quella di dar vita gradualmente a uno Stato islamico in fieri all’interno dello Stato di diritto» (Kamikaze made in Europe, Mondadori, Milano 2005, p. 22).
Lo Sceicco Yusuf al Qaradawi, in una fatwa del 29 ottobre 2001, lo ha ribadito: «Da sempre la moschea ha avuto un ruolo nel jihad in nome di Allah, per combattere gli invasori, nemici di questa religione».
I Paesi islamici fanno parte di una “Conferenza Internazionale”, l’OCI, che raccoglie 57 Paesi di religione musulmana, uniti dalla consapevolezza di appartenere ad un’unica comunità di credenti, la Umma. Il fine dell’OCI è di propagare la sharī’a nel mondo e di difendere l’identità islamica dei musulmani che vivono ovunque, compresa l’Europa: quell’Europa che con la ratifica del Trattato di Lisbona espelle le radici cristiane della sua carta fondativa e apre la porta al reato di “islamofobia”.
Non ci si accusi di mancanza di carità nei confronti dell’Islam. Il rispetto per la dignità di ogni uomo, compresi i musulmani, non ci deve far dimenticare che uno solo è il vero Dio, quello che si è rivelato come uno e trino e che è morto sulla Croce per redimere i nostri peccati. Per questo il Cristianesimo, come ha spiegato Giovanni Paolo II in un discorso del 15 settembre 2002, «ha nella Croce il suo simbolo principale. Dovunque il Vangelo ha posto radici, la Croce sta ad indicare la presenza dei cristiani. Nelle chiese e nelle case, negli ospedali, nelle scuole, nei cimiteri la Croce è divenuta il segno per eccellenza di una cultura che attinge dal messaggio di Cristo verità e libertà, fiducia e speranza».
Il messaggio di Cristo continua ad accendere i cuori degli europei? Il problema di fondo non sta nell’espansione dell’Islam, ma nella perdita da parte degli europei della fiamma dell’amor di Dio, della luce della fede e della forza invincibile della speranza.