Il giusnaturalismo di san Tommaso d’Aquino

San Tommaso d'AquinoAbstract: Se volessimo analizzare le diverse tradizioni giusnaturalistiche e cercare di capire come esse si distinguano tra loro, potremmo scrivere un saggio a parte. Pertanto, nel presente articolo, ci proponiamo solamente di accostarci a un pensatore di riferimento della tradizione classica, ossia Tommaso d’Aquino (1225-1274), che ha sviluppato un’originale e sistematica dottrina del diritto naturale. Ugo Grozio attinse dal Doctor Angelicus per la stesura del suo De jure belli ac pacis e fece lo stesso per sviluppare non solo la sua teoria del giusnaturalismo, ma anche la sua dottrina di resistenza al sovrano

Centro Studi Rosario Livatino 8 Luglio 2023

Il giusnaturalismo di Tommaso d’Aquino

Francesco M. Civili, Dottore magistrale

Quando parliamo di giusnaturalismo, intendiamo una dottrina politico-filosofica che afferma l’esistenza di una legge morale su cui il diritto positivo deve fondarsi per essere considerato legittimo. Le radici di tale dottrina risalgono addirittura ai presocratici come Eraclito [1], però viene maggiormente elaborata da Platone, da Aristotele e dagli Stoici.

Nel corso della storia, sono emerse diverse concezioni del diritto naturale, tant’è che gli studiosi propongono di distinguere ben tre tradizioni del diritto naturale. La prima è quella del cosiddetto “giusnaturalismo classico”, che include autori greci, latini e cristiani (dai Padri della Chiesa fino all’età umanistico-rinascimentale); la seconda è quella del “giusnaturalismo moderno”, che inizia con autori quali Ugo Grozio e Thomas Hobbes e termina circa agli inizi dell’Ottocento [2]; infine, potremmo definire la terza tradizione quella del “giusnaturalismo contemporaneo”: si tratta di un giusnaturalismo piuttosto singolare che vede come principale esponente il filosofo tedesco Jürgen Habermas, teorico della cosiddetta Diskursethik (o Etica del discorso).

Tutte queste tre tradizioni vengono convenzionalmente collocate in diverse fasi storiche, ma tutt’oggi sono oggetti di studio anche in termini teoretico-pratici: ad esempio, la prima tradizione interessa filosofi e giuristi di orientamento cattolico (e non solo) [3]; la seconda è oggetto di studio negli ambienti tendenzialmente di orientamento liberale [4]; infine, la terza attira studiosi appartenenti a scuole di pensiero differenti (hegelo-marxiani, cattolici etc.) [5]. Se volessimo analizzare le diverse tradizioni giusnaturalistiche e cercare di capire come esse si distinguano tra loro, potremmo scrivere un saggio a parte. Pertanto, nel presente articolo, ci proponiamo solamente di accostarci a un pensatore di riferimento della tradizione classica, ossia Tommaso d’Aquino (1225-1274), che ha sviluppato un’originale e sistematica dottrina del diritto naturale.

Prima però di addentrarci nella legge naturale di Tommaso d’Aquino, cerchiamo di indagare il contesto storico in cui l’Aquinate sviluppa queste riflessioni. Il nostro autore vive nel pieno del XIII secolo, che, per l’Europa Occidentale, costituisce un’epoca di grandi innovazioni dal punto di vista filosofico: grazie, infatti, a traduttori musulmani e cristiani (tra questi ultimi ricordiamo Guglielmo di Moerbeke), molte opere di Aristotele, che erano rimaste per lungo tempo sconosciute al mondo cristiano-latino, vengono riscoperte.

Tommaso d’Aquino mostra sin dalla giovane età un grande interesse nei confronti dello Stagirita e, in particolare, per alcuni suoi scritti filosofici come l’Etica Nicomachea. Nel 1245, a Roma, Tommaso fa la conoscenza di Giovanni Teutonico, allora capo dell’Ordine dei Domenicani, sotto la cui guida viene mandato a Parigi. Secondo studiosi come Jean-Pierre Torrell, nel primo periodo parigino (1245-48), Tommaso è molto influenzato dalla scuola francese per gli studi su Aristotele, poiché, tra il 1240 e il 1250, l’insegnamento di opere come l’Etica Nicomachea è molto fiorente presso la Sorbonne [6]. A Parigi, si svolge il capitolo generale dei Domenicani, che prende la decisione di fondare un nuovo studium generale [7] a Colonia e affida tale incarico ad Alberto Magno, già conosciuto a livello accademico per il suo impegno a far riscoprire Aristotele e i suoi commentatori musulmani all’Europa Occidentale.

Alberto porta con sé Tommaso come suo assistente e i due partono alla volta di Colonia, dove pare che assistano anche alla posa della prima pietra per la costruzione della Cattedrale. Durante gli anni nella città tedesca (1248-1252), Tommaso riceve una grande influenza da parte del suo maestro, dal quale viene incaricato di riordinare gli appunti delle lezioni sulla Gerarchia celeste, sui Nomi divini di Dionigi e sull’Etica Nicomachea.

Da queste brevi premesse biografiche, capiamo bene l’importanza che ha avuto l’Etica Nicomachea di Aristotele per Tommaso d’Aquino e, per questo, non è un caso che l’Aquinate scriva la cosiddetta Sententia libri Ethicorum durante la sua seconda reggenza a Parigi (1268-1272), analizzando l’opera dello Stagirita: si tratta, per l’appunto, «di una sentencia, cioè di una spiegazione sommaria e piuttosto dottrinale, e non di una expositio, cioè di un commento approfondito con discussione di testi» [8]. L’utilizzo della Sententia è stato esclusivamente privato, ma per noi è importante perché è da quel lavoro che Tommaso parte per scrivere la Secunda Pars della monumentale Summa Theologiae. Non è certamente una novità, poiché l’Aquinate ha fatto precedentemente lo stesso con il De anima di Aristotele: il Commento al De anima è stato scritto, infatti, in preparazione alla stesura della Prima Pars della Summa Theologiae. Tutto questo c’interessa per un semplice motivo: la Prima Secundae [9] della Summa Theologiae è la sezione in cui Tommaso espone anche la propria dottrina del diritto naturale.

Nel Libro V dell’Etica Nicomachea, Aristotele dedica poche righe al diritto naturale, distinguendo tra il “giusto naturale” e il “giusto legale” [10]. Lo Stagirita sostiene che il diritto naturale trovi la piena manifestazione nella comunità civile, poiché l’essere umano è animale sociale. Un dettaglio interessante, però, è che Aristotele considera il diritto naturale mutevole: «presso di noi [mortali] ci sono cose che, pur avendo anche la caratteristica di essere per natura, ciononostante sono del tutto mutevoli» [11].

Essendo questo passaggio di Aristotele ambiguo, esso è stato oggetto di discussione nel corso del Medioevo, tant’è che Averroè, nei suoi Commentari aristotelici, si è proposto di offrire una spiegazione alla mutevolezza del diritto naturale. Secondo il filosofo ispanico, il diritto naturale sarebbe un insieme di regole convenzionali, che però sono universali e presenti in tutte le comunità civili: in sostanza, sono le regole che stanno alla base dell’umano associarsi e sono in qualche modo “naturali” grazie alla naturale socievolezza dell’uomo. Tuttavia, queste regole si adattano al contesto storico-geografico e al costume di un popolo. Tale lettura di Averroè è giunta anche in Europa Occidentale, grazie agli averroisti cristiani, ed è stata ripresa successivamente da autori come Marsilio da Padova.

Lo stesso passaggio di Aristotele viene commentato anche da Tommaso, il quale trova un’altra soluzione rispetto a quella suggerita da Averroè, conciliando la visione dello Stagirita con la patristica. Secondo l’Aquinate, le affermazioni di Aristotele andrebbero interpretate distinguendo i precetti primari e quelli secondari della legge naturale. I primi sono da considerare immutabili e universali, mentre i secondi sono regole naturali che vengono percepite in maniera diversa a seconda del contesto culturale e geografico. I precetti primari sono i doveri conosciuti immediatamente attraverso quella che i Padri della Chiesa chiamavano synderesis, ossia il sentimento morale della coscienza umana che permette di distinguere il bene dal male, e il primo precetto primario (“si deve fare il bene ed evitare il male”) è considerato alla stregua del principio di non-contraddizione della ragione speculativa [12].

Tuttavia, nel momento stesso in cui i precetti primari si applicano alla realtà diveniente, vengono generati i precetti secondari, che sono soggetti al mutamento. Per dimostrare questa seconda specie di doveri naturali, Tommaso riprende una testimonianza raccontata nel De bello Gallico di Giulio Cesare, secondo cui i popoli germanici consideravano il reato di furto tale soltanto quando quest’ultimo era praticato all’interno della propria tribù, ma si poteva derubare membri di altri clan senza ricevere punizioni dalla propria gente [13] – una concezione del furto che non era contemplata dal diritto romano.

Nella visione di Tommaso, l’agire umano si costituisce di due principi, uno interno e l’altro esterno: il primo è la virtù, che rappresenta le eccellenze della natura umana (la sapienza, il coraggio, la temperanza etc.) ed è il fine verso cui l’uomo tende per realizzare il proprio essere, il secondo è la legge, che guida l’agire umano verso il suo fine ed è orientata al bene comune. Riguardo alle caratteristiche generali della “legge”, Tommaso scrive: «E così […] si può sintetizzare la definizione della legge, la quale non è altro che un comando della ragione ordinato al bene comune, promulgato da chi è incaricato di una collettività»[14]. Tuttavia, la legge non è una, ma ce ne sono di diverse species.

In ordine gerarchico, il primo tipo di legge è la “legge eterna” (lex aeterna) ed è quella che regge tutto l’universo creato da Dio. Tale legge non è accessibile a nessuna creatura se non a Dio che coincide con essa. Quando la legge eterna ha a che fare con le creature razionali (gli esseri umani), essa si manifesta alla loro ragione come “legge naturale” (lex naturalis): «la legge naturale non è altro che la partecipazione della legge eterna nella creatura razionale» [15]. La legge naturale è quindi la legge eterna colta dalla razionalità umana: «Gli uomini hanno dunque la possibilità di accedere alla legge di natura tramite il loro lume altrettanto naturale e possono utilizzare il ragionamento pratico […] per applicare tale legge ai casi particolari» [16].

Come già detto prima, i precetti primari della legge naturale sono considerati doveri universali e immutabili e sono le seguenti massime: “si deve fare il bene ed evitare il male”, “non si deve fare torto/male a nessuno”, “si deve anelare alla verità”, “si deve essere riconoscenti per i benefici ricevuti” o “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” [17]. Tali precetti sono il minimo indispensabile per la convivenza tra gli uomini e permangono anche nelle società umane, poiché l’essere umano è per natura animale sociale, ma, a contatto con la realtà mutevole, generano precetti naturali secondari che possono essere interpretati in maniera diversa dalle varie popolazioni – come, ad esempio, la massima di “non rubare”. È chiaro che, essendo la natura umana mutevole e corrotta dal peccato originale, non basta solo la legge naturale per una retta convivenza tra gli uomini, pertanto è necessaria un’altra legge che abbia potere coercitivo, ossia la legge positiva.

La legge positiva è definita da Tommaso d’Aquino come “legge umana” (lex humana), che ha la funzione di vietare i vizi più gravi (furto, omicidio etc.) e promuovere le virtù più importanti nella convivenza comunitaria (il bene comune, l’altruismo etc.). Si badi bene che Tommaso non intende assolutamente far coincidere la moralità umana con la legge positiva [18], come invece erroneamente tenterà di fare una certa letteratura cattolica successiva, appellandosi a lui: «parte della successiva tradizione del pensiero cattolico ha spesso tentato di far coincidere l’ambito generale della moralità con quello della legislazione positiva» [19]. Il legislatore, infatti, deve limitarsi a promuovere leggi generali, al fine di orientare la società al bene comune, e i precetti primari della legge naturale gli sono d’aiuto in questo: ad esempio, l’enunciato normativo “si deve fare il bene ed evitare il male” gli permette di discernere tra leggi giuste ed ingiuste. Quando il legislatore tradisce l’obiettivo del bene comune per interessi personali, i sudditi hanno diritto di resistenza, rifiutandosi di seguire le leggi: «se nasce un caso in cui l’osservanza di tale legge è dannosa al bene comune, allora essa non va osservata» [20]. Lo stesso vale quando la legge va contro Dio: «le leggi possono essere ingiuste perché contrarie al bene divino: come le leggi dei tiranni che portano all’idolatria o a qualsiasi altra cosa contraria alla legge divina» [21].

Tuttavia, è importante chiedersi come il diritto positivo derivi da quello naturale e l’Aquinate individua due modi nella Sententia libri Ethicorum, rifacendosi alla Retorica di Cicerone. Il primo modo avviene quando un precetto naturale secondario diventa legge positiva, «p. es., dal principio che non bisogna danneggiare ingiustamente nessuno segue la conclusione che non bisogna rubare, e anche questa norma fa parte del diritto naturale» [22]; il secondo, invece, è «quello della determinazione, […] p. es., che il ladro vada punito è un giusto naturale; ma che vada punito con questa pena oppure con quella è stabilito dalla legge [positiva]» [23].

Questa distinzione viene ribadita da Tommaso anche nella Summa Theologiae [24]. Da questi due modi, attraverso cui le norme positive derivano dalla legge naturale, emergono due diversi tipi di diritto positivo: dal primo modo, il “diritto delle genti” (o jus gentium) e, dal secondo, il “diritto civile” (o jus civile). Il diritto delle genti è riconosciuto in tutte le nazioni, «p. es., che bisogna rispettare i patti che gli ambasciatori godono di immunità anche presso i nemici e altri principi di questo genere» [25]; al contrario, il diritto civile è su misura di un determinato regno, impero o repubblica. Anche qui Tommaso non manca di descrivere queste due branche del diritto nella Summa Theologiae [26].

Infine, Tommaso individua un quarto tipo di legge, ossia la legge divina (o lex divina): si tratta della legge «promulgata positivamente da Dio e comunicata attraverso le Scritture (Antico e Nuovo Testamento)» [27]. Questo tipo di norma serve per orientare la moralità dell’uomo verso il suo fine ultimo (la beatitudo, ossia l’eterna beatitudine) e arriva lì dove la legge positiva non può arrivare, poiché la funzione di quest’ultima è solo quella di regolamentare i rapporti sociali: la legge divina, infatti, proibisce vizi e promuove virtù, di cui il diritto positivo non si occupa. Sulla linea della tradizione teologica, l’Aquinate distingue tra la “legge veterotestamentaria”, che riguarda «soprattutto il bene sensibile e terreno» [28] e si fonda «sul timore delle pene» [29], e la “legge neotestamentaria”, che è incentrata sul bene «intelligibile e celeste» [30] e trova fondamento nell’amore, «infuso nel cuore degli uomini attraverso la grazia di Cristo» [31].

Un dettaglio interessante è che, in Tommaso, la dottrina del diritto naturale non è assolutamente vincolata a una forma di governo considerata la migliore, com’è invece in Platone. Per il fondatore dell’Accademia, diritto naturale e miglior regime sono da considerare insieme: infatti, egli teorizza una città ideale guidata da “filosofi-governanti”, che conoscono il Vero, il Buono e il Bello, e, dunque, sanno ciò che è giusto per natura. In Tommaso, invece, (come per Aristotele) la questione del miglior governo non è fondamentale per il diritto naturale, tant’è che l’Aquinate non ha particolari preferenze per una determinata forma di governo.

Ciò è dimostrato dall’“incoerenza” presente nelle sue opere: quando Tommaso scrive il De regno ad regem Cypri, opera incompiuta che era indirizzata al re di Cipro Ugo III di Lusignan, egli sembra considerare la monarchia come la forma di governo migliore [32]; ma, nella Summa Theologiae, l’Aquinate mostra una preferenza per il governo misto [33]: monarchia, aristocrazia e democrazia insieme, come nel modello della Repubblica romana. Questa “contraddizione” non è casuale: per Tommaso non è importante chi sia al comando (un re, un gruppo di nobili o chicchessia), ma l’operato di chi è la guida della comunità civile, che si deve impegnare a promuovere leggi orientate al bene comune e a rispettare la lex divina.

John Locke

Ovviamente, il giusnaturalismo di Tommaso d’Aquino non è perfetto, poiché lascia aperte alcune questioni. Tuttavia, è innegabile che il contributo dell’Aquinate sia stato molto importante per gli sviluppi successivi del diritto naturale, anche durante la modernità: ad esempio, pur essendo entrambi autori protestanti, Ugo Grozio attinse dal Doctor Angelicus per la stesura del suo De jure belli ac pacis e fece lo stesso per sviluppare non solo la sua teoria del giusnaturalismo, ma anche la sua dottrina di resistenza al sovrano quando quest’ultimo viola i diritti inalienabili dell’individuo. Ancora oggi, la legge naturale di Tommaso è oggetto di studio da parte di diversi studiosi, dimostrando l’attualità del suo magistero [34].

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[1] Cfr. A. Kenny, Nuova storia della filosofia occidentale. Vol. I: Filosofia antica, a cura di G. Garelli, Einaudi, Torino 2012.

[2] Già durante il Settecento, il diritto naturale moderno comincia a mostrare le prime crisi con autori come Jean-Jacques Rousseau, il quale sviluppa una visione storico-evoluzionistica dello “stato di natura” e teorizza la dottrina della volonté générale. Tuttavia, è soprattutto agli inizi dell’Ottocento che il diritto naturale moderno viene messo fortemente in discussione, soprattutto per reazione ai “diritti dell’uomo” sostenuti dalla Rivoluzione francese: si pensi alla Scuola storica del diritto di Friedrich Carl von Savigny, che è emblema del cosiddetto giuspositivismo romantico.

[3] La letteratura a riguardo è sterminata, ma vale la pena menzionare qualche titolo. Cfr. La regola d’oro come etica universale, a cura di C. Vigna – S. Zanardo, Vita e Pensiero, Milano 2005; cfr. anche P. Pagani, Appunti per il corso di filosofia morale, Parte V: La norma dell’atto, pro manuscripto, Venezia 2011 e S. Pinckaers, Le fonti della morale cristiana. Metodo, contenuto, storia, a cura di M. C. Casezza, Ares, Milano 2018; per autori non-cattolici che si sono interessati del diritto naturale classico cfr. L. Strauss, Diritto naturale e storia, a cura di N. Pierri, il melangolo, Genova 1990.

[4] Nel panorama italiano, possiamo ricordare Norberto Bobbio, che fu di orientamento liberalsocialista e sostenne la tesi secondo cui Thomas Hobbes era il giusnaturalista par excellence. Cfr. N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Laterza, Roma-Bari 2011 e Id., Thomas Hobbes, Einaudi, Torino 2004.

[5] Cfr. L. Cortella, La filosofia contemporanea. Dal paradigma soggettivista a quello linguistico, Laterza, Roma-Bari 2020 e Id., Etica del discorso ed etica del riconoscimento, in Libertà, giustizia e bene in una società plurale, a cura di C. Vigna, Vita e Pensiero, Milano 2003, pp. 225-248; cfr. anche P. Pagani, Studi di filosofia morale, Parte V: Studi su etica e universalità, cap. III: L’etica del discorso in Habermas: un’analisi di struttura, Aracne, Roma 2008, pp. 439-514.

[6] Cfr. J.P. Torrell, Amico della verità. Vita e pensiero di Tommaso d’Aquino, a cura di G. M. Carbone, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2017, pp. 53-54.

[7] Lo studium generale per i Domenicani era un’istituzione di grado universitario, esclusiva solo per gli studenti eccellenti.

[8] Cfr. J. P. Torrell, Amico della verità. Vita e pensiero di Tommaso d’Aquino, p. 346.

[9] La Prima Secundae è la prima sezione della Secunda Pars della Summa Theologiae, così come la Secunda Secundae è la seconda sezione della Secunda Pars

[10] Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, V, 1134 b 18 – 1135 a 15, a cura di C. Natali, Laterza, Roma-Bari 1999.

[11] Cfr. Ivi, V, 1134 b 27 – 29.

[12] Cfr. «I precetti della legge naturale stanno alla ragione pratica come i primi princìpi dimostrativi stanno alla ragione speculativa: poiché gli uni e gli altri sono princìpi di per sé evidenti. […] Ora, tra le cose universalmente conosciute vi è un certo ordine. Infatti la prima cosa che si presenta alla conoscenza è l’ente, la cui nozione è inclusa in tutto ciò che viene appreso. Perciò il primo principio indimostrabile è che l’affermazione e la negazione sono incompatibili: poiché esso si fonda sulla nozione di ente e di non ente. E su questo principio si fondano tutti gli altri, come nota Aristotele. Ora, come l’ente è la cosa assolutamente prima nella conoscenza, così il bene è la prima nella conoscenza della ragione pratica, che è ordinata all’operazione: poiché ogni agente agisce per un fine, il quale ha sempre ragione di bene. Perciò il primo principio della ragione pratica si fonda sulla nozione di bene, essendo il bene ciò che tutte le cose desiderano. Si ha così il primo precetto della legge: Bisogna fare e cercare il bene e bisogna evitare il male. E su di esso sono fondati tutti gli altri precetti della legge naturale: per cui tutte le altre cose da fare o da evitare appartengono ai precetti della legge di natura in quanto la ragione pratica le conosce naturalmente come beni umani» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2, a cura dei Frati Domenicani, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2014).

[13] Cfr. «Quindi si deve concludere che la legge naturale quanto ai primi princìpi universali è identica presso tutti gli uomini, sia quanto alla sua rettitudine oggettiva che quanto alla sua conoscenza. Rispetto però a certe sue applicazioni, che sono come delle conclusioni dei princìpi universali, essa è identica presso tutti sia per la bontà delle sue norme che per la sua conoscenza nella maggior parte dei casi, tuttavia in pochi casi ci possono essere delle eccezioni, sia quanto alla bontà delle norme che quanto alla conoscenza. Possono infatti intervenire ostacoli particolari (come avviene del resto anche nel caso degli esseri generabili e corruttibili, che talvolta per ostacoli particolari non raggiungono l’effetto). E quanto alla conoscenza va notato che ci sono alcuni i quali hanno la ragione sconvolta dalle passioni, o dalle cattive consuetudini, oppure dalle cattive disposizioni naturali. Giulio Cesare, p. es., racconta che una volta presso i popoli della Germania non si considerava delittuoso il latrocinio, che pure è espressamente contrario alla legge naturale» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 4, a cura dei Frati Domenicani, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2014).

[14] Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 4, a cura dei Frati Domenicani, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2014.

[15] Cfr. Ivi, q. 91, a. 3.

[16] Cfr. P. Porro, Tommaso d’Aquino. Un profilo storico-filosofico, Carocci, Roma 2019, p. 350.

[17] Cfr. G. Samek Lodovici, Lex et amor, in Bonum in communi. Prospettive su natura umana e legge naturale, a cura di D. Simoncelli, in “Divus Thomas”, CXXII (2019), pp. 146-147.

[18] Cfr. «Ora, la legge umana viene data per la moltitudine, di cui la maggior parte è formata di uomini non perfetti nella virtù. Quindi non sono proibiti da questa legge tutti i vizi da cui i virtuosi si astengono, ma soltanto quelli più gravi, dai quali è possibile ritrarre la moltitudine; e specialmente quelli dannosi per gli altri, senza la cui proibizione l’umana società non può sussistere, quali l’omicidio, il furto e simili» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 2, a cura dei Frati Domenicani, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2014).

[19] Cfr. P. Porro, Tommaso d’Aquino. Un profilo storico-filosofico, p. 351.

[20] Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 6.

[21] Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 4.

[22] Cfr. Tommaso d’Aquino, Commento all’Etica Nicomachea di Aristotele, Liber V, Lectio XII, vol. 1, a cura di L. Perotto, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1998, p. 598.

[23] Cfr. Ibidem.

[24] Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2.

[25] Cfr. Tommaso d’Aquino, Commento all’Etica Nicomachea di Aristotele, Liber V, Lectio XII, vol. 1, a cura di L. Perotto, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1998, p. 597.

[26] Cfr. «Il diritto positivo si divide in diritto delle genti e diritto civile, seguendo i due modi caratteristici di derivazione dalla legge naturale di cui si è già parlato. Infatti al diritto delle genti appartengono le cose che derivano dalla legge naturale come conclusioni dai princìpi: p. es. la giustizia nelle compravendite e altre cose del genere, senza delle quali non è possibile la convivenza umana; e questo diritto è di legge naturale, poiché l’uomo è per natura un animale socievole, come spiega Aristotele. Le cose invece che derivano dalla legge naturale come determinazioni particolari appartengono al diritto civile, il quale viene determinato nel modo più adatto per ciascuno stato» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 4, a cura dei Frati Domenicani, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2014)

[27] Cfr. P. Porro, Tommaso d’Aquino. Un profilo storico-filosofico, p. 351.

[28] Cfr. Ivi, p. 352.

[29] Cfr. Ibidem.

[30] Cfr. Ibidem.

[31] Cfr. Ibidem.

[32] Cfr. G. Briguglia, Il pensiero politico medievale, Einaudi, Torino 2018.

[33] Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 105, a. 1.

[34] Cfr. F. Todescan, Presupposti antropologici della filosofia morale e giuridica di S. Tommaso, in: L’uomo (Atti del congresso tomistico internazionale, Roma-Napoli 17-24 aprile 1974), Edizioni Domenicane Italiane, Napoli 1974; cfr. anche D. Simoncelli, Legge naturale e bonum commune. Per una rilettura di Tommaso d’Aquino, in Bonum in communi. Prospettive su natura umana e legge naturale, a cura di D. Simoncelli, in “Divus Thomas”, CXXII (2019), pp. 22-142.

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Sul giusnaturalismo:

Agostino d’Ippona, maestro del giusnaturalismo cristiano

Il diritto naturale come arte giuridica in Juan Vallet de Goytisolo (di Jennifer Basso Ricci) libro

Benedetto XVI al Bundestag e l’ “eterno ritorno del diritto naturale”