di Gianandrea Gaiani
Una volta i golpe li facevano, o li tentavano, i militari. Oggi li fanno i banchieri. Nel caos che sconvolge l’Italia e l’Europa, l’unico elemento chiaro è rappresentato dal crollo della democrazia, cioè della legittimità dei governi eletti dai popoli di guidare alcuni Paesi.
Oggi sembra anche più chiaro l’obiettivo di mesi e mesi di feroci attacchi mediatici alla “casta” politica Intendiamoci. La classe politica è indifendibile e non brilla per parsimonia, capacità e competenza ma benché i suoi difetti siano noti da tempo solo recentemente attaccarla è diventato lo sport nazionale più diffuso.
Le ragioni di questo assedio alla legittimità dei (pur spesso impresentabili) rappresentanti del popolo sembrano più chiare oggi alla luce di quanto sta accadendo in Grecia e in Italia dove governi di espressione politica diversa (Centrodestra a Roma, Centrosinistra ad Atene) vengono fatti crollare e rimpiazzati dal direttorio politico-economico franco-tedesco composto da esponenti della grande finanza e della burocrazia dell’Unione Europea.
La colpa più grave della classe politica non è solo di aver consentito questa nuova forma d’invasione straniera ma, forse, di esserne in qualche modo complice. Le opposizioni e parte della stessa ex maggioranza non hanno fatto altro che ripetere che l’Europa (parola pronunciata sempre con tono solenne, come faceva Romano Prodi quando ci fece entrare nell’euro a suon di tasse) voleva le dimissioni di Silvio Berlusconi.
Nessuno che abbia avuto il coraggio di rispondere che i governi italiani vengono fatti cadere dagli elettori italiani, non dalle banche, dagli speculatori e dai burocrati di Bruxelles. Invece sono tutti in ginocchio davanti a loro, divinità supreme capaci di cooptare le massime istituzioni del Paese, leader politici e opinionisti. Nella migliore tradizione italiana, già nei secoli scorsi ci siamo divisi nel sostenere gli interessi stranieri in casa nostra fedeli al motto “Franza o Spagna purché se magna”.
Certo, non è la prima volta che la nostra sovranità appare limitata. Nell’aprile scorso Washington con il supporto del Quirinale “impose” a Berlusconi di bombardare la Libia e nel 1998 con un “golpe parlamentare” venne rovesciato il governo di Romano Prodi la cui maggioranza non avrebbe mai accettato di condurre la guerra alla Serbia comunista di Slobodan Milosevic. Il conflitto kosovaro lo combattemmo in fatti con la Nato, in silenzio, ma guidati dal governo filoamericano di Massimo D’Alema.
Ora invece ci inginocchiamo davanti ai poteri forti della finanza e dei mercati, cioè gli stessi che hanno causato la crisi finanziaria del 2008. Perché se ci sono molte riserve sulla qualità dell’attuale classe politica (non solo in Italia) le cose non vanno certo meglio per i vertici del mondo bancario. Ve la ricordate la Bce quando, nel 2008, alzò il costo del denaro nonostante gli evidenti sintomi di crisi dell’economia per rallentare un’inflazione immaginaria determinata in realtà solo dal petrolio che aveva superato i 140 dollari al barile?
Jean Claude Trichet ci ha riprovato nella primavera scorsa, ancora una volta confondendo l’inflazione con il petrolio alle stelle a causa della guerra libica. Ha alzato di nuovo il costo del denaro (e dei nostri mutui) nonostante di ripresa si parlasse solo nelle preghiere. Giusto per dare un senso di continuità alle iniziative della Bce il nuovo presidente, Mario Draghi, ha deciso di riabbassarli dello 0,25 per cento la settimana scorsa.
Chi ci impone regole, governi e programmi economici non brilla per competenza e autorevolezza. Però pretende che il governo italiano cada e si svenda tutto perché “lo vuole l’Europa, lo vogliono i mercati”. Entità sovranazionali, quasi mistiche sull’altare delle quali dovremmo sacrificare la nostra certo imperfetta democrazia? Giova ricordare che la costruzione dell’Europa non ha mai avuto molto a che fare con il consenso popolare. Nessuno ha mai chiesto agli italiani e a molti altri popoli del Vecchio continente se volessero o meno l’adesione all’Unione o all’euro. Nella storia non c’è mai stata una moneta unica diffusa in un‘area che non fosse già stata unificata o con la forza o con una federazione di Stati (gli Usa).
Senza unione politica istituire una moneta unica ha significato porre l’Europa in mano alle banche e alle maggiori potenze finanziarie continentali: Germania e Francia. La Ue non è riuscita neppure ad avere uno straccio di Costituzione poiché quella messa a punto è stara bocciata negli unici due referendum indetti in Olanda e Francia. Poco amate dagli elettori europei (che eleggono i parlamentari nazionali da inviare a Strasburgo ma non i membri della Commissione) le elefantiache e costosissime caste che guidano la Ue e la Bce detestano referendum e suffragi popolari.
Ora però non ci sono più remore neppure a compiere plateali azioni antidemocratiche. In Grecia il premier Papandreu ha “osato” proporre un referendum per chiedere ai cittadini se volevano i sacrifici per restare nell’euro o se preferivano lasciare l’allegra combriccola. È stato “fucilato” simbolicamente da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, quest’ultimo lo ha anche insultato in un fuori onda forse casuale o forse no.
Pochi giorni dopo il premier greco è stato costretto a dimettersi dalla defezione (casuale?) di quattro deputati del suo partito e a guidare il nuovo governo (ovviamente tecnico) è stato chiamato un banchiere, Lucas Demetrios Papademos, ex governatore della Banca Centrale greca ed ex numero due della Bce. Dovrà gestire un programma di austerity nel quale ai tagli sociali si affiancheranno privatizzazioni, vendita di imprese e persino di isole.
Merce in saldo con le borse (e i debiti pubblici) di oggi. Ottimi affari in vista per la grande finanza, i grandi investitori, gli speculatori e i grandi gruppi internazionali, soprattutto quelli franco-tedeschi perché le banche di Parigi e Berlino detengono buona parte del debito greco.
Nonostante l’Italia rappresenti l’ottava potenza economica mondiale non viene trattata meglio. Anche Berlusconi ha avuto i suoi “traditori” e i suoi “avvertimenti”. Come l’attacco borsistico a Mediaset (meno 12% in un sol giorno) che ha “consigliato” il premier di ritirare l’idea di posticipare le dimissioni e ad appoggiare la candidatura di Monti, nominato poche ore dopo senatore a vita dal Quirinale.
Fino a pochi anni or sono sarebbe bastato molto meno per denunciare minacce alla democrazia o ingerenze esterne nella vita politica italiana. Ma oggi no. Sia fatta la volontà dell’Europa e dei mercati finanziari e chissenefrega dei cittadini che sono poi elettori e contribuenti spennati dalle manovre del governo come da quelle degli speculatori e dei banchieri “salvatori delle patrie”.
Un accanimento contro l’Italia giustificato non certo dall’insofferenza nei confronti di Berlusconi ma dal fatto che i nostri bocconi sono ancora più appetibili di quelli ellenici. I francesi forse non sono riusciti a prendersi i nostri ricchi contratti in Libia per ottenere i quali hanno scatenato la guerra più stupida della storia ma contano ora di potersi comprare a prezzi di saldo le nostre migliori aziende.
Il governo tecnico dovrà privatizzare in tempi rapidi i beni dello Stato, cioè svendere i “gioielli di famiglia” ai nuovi lanzichenecchi e ai Brenno del XXI secolo. Che non vedono l’ora di acquistare per un tozzo di pane quote e società di Eni, Finmeccanica, banche e altri gruppi fino a oggi temibili concorrenti per quei Paesi che solo chi è in affari con loro può continuare a chiamare partner.