Ci si può meravigliare, venendo a conoscenza che presso alcune società il furto non considerato immorale, ma, incredibilmente, non ci si meraviglia (forse per abitudine consolidata) di considerare immorale lo spreco di denaro pubblico prelevato forzosamente dalle tasche delle imprese e dei cittadini onesti.
di Ettore Gotti Tedeschi
Così ci si può meravigliare, venendo a conoscenza che presso alcune società il furto non considerato immorale, ma, incredibilmente, non ci si meraviglia (forse per abitudine consolidata) di considerare immorale lo spreco di denaro pubblico prelevato forzosamente dalle tasche delle imprese e dei cittadini onesti.
Conseguentemente, e paradossalmente, non ci si è pertanto meravigliati più di tanto a sentire definire “morali e virtuose” le tasse, seppur chiaramente a servizio del detto sperpero, deciso da pochi eletti non a servizio dei cittadini.
Così questa distinzione tra morale è immorale ritorna ad esser attuale e a meritare una conseguente riflessione.
Il problema di fondo paradossalmente non sembra esser infatti tanto la moralità o immoralità dello spreco del denaro pubblico e del diritto di tassare di più ogni cosa senza spiegare il perché ma immaginando che a qualcosa di buono possa servire; così come (sempre paradossalmente) non lo è il problema della moralità del furto (legato a un presumibile stato di bisogno). Il problema di fondo è invece saper distinguere tra FINI e MEZZI e pertanto la moralità o immoralità conseguente degli atti.
Facciamo qualche esempio.
Per molti governanti (ohimé!), convinti che solo lo Stato sia giusto, infatti si direbbe che:
- Lo Stato assistenziale imposto forzatamente ai cittadini è un fine, non un mezzo (a sostegno del più debole).
- Imporre le “giuste e sacrosante” tasse manifestamente un fine (lo Stato è giusto) più che un mezzo (utile alla ridistribuzione ai servizi pubblici).
- L’immigrazione disordinata è un fine non un mezzo (di riequilibrio natalità ed esigenza di mano d’opera).
Come ha ben scritto il nostro rappresentante alla BCE Lorenzo Bini Smaghi (Corriere della Sera 17 ottobre): nuove tasse, privatizzazione di patrimonio pubblico, riduzione del costo del debito pubblico, maggiori entrate per più lotta all’evasione, non sono mai stati utilizzati per risanare il debito pubblico e rafforzare l’economia, ma “aumentare” le spese. Perché? Perché le spese sono un fine non un mezzo.
- Se le spese assistenziali fossero considerate un mezzo, il governante si dovrebbe domandare quanto siano utili e ben gestite. In pratica si dovrebbe domandare se servono a servire il cittadino soprattutto il più debole. La risposta evidente è no. Fanno male proprio ai più deboli perché li illudono e non li responsabilizzano e costano il doppio di quel che viene elargito.
- Se le tasse fossero considerate un mezzo, il governante si dovrebbe domandare quanto siano utili al fine (ridistribuzione redditi e servizi pubblici). La risposta è ovvia.
- Se l’immigrazione fosse un mezzo il governante si dovrebbe domandare perché ci sono i lavavetri, i criminali, i disoccupati assistiti, ma si dovrebbe domandare anche quanta immigrazione reale è necessaria per riequilibrare il sistema pensionistico e perché gli immigrati dovrebbero sostenerla.
(A.C. Valdera)