Tanti destini in un solo essere
di Giuseppe Sermonti
L’uovo d’una farfalla può essere un’anfora graziosa, ornata di coste e di ciglia. Dal guscio squarciato si trascina fuori, al momento giusto, un essere del tutto diverso, il bruco. Il suo corpo vermiforme è diviso in segmenti, spesso vivacemente colorati, e trasportato da torpide zampette: la testolina che precede il goffo treno ha dure mascelle e appetito robusto.
A un dato stadio il bruco si ferma, appeso a un filo o chiuso in un bozzolo che lui stesso ha tessuto. Scompaiono i muscoli e l’apparato digerente, e il bruco si trasforma in una rigida mummia, la crisalide (o la pupa). Dopo un periodo di stasi la crisalide si gonfia, si fende e dal suo corpo lacerato fuoriesce, come sgusciando dall’ uovo, l’insetto adulto. Si asciuga, si stende, si indurisce ed eccolo divenuto una soave farfalla, pronta a levarsi in volo su ali dal disegno prezioso, dai colori vistosi, dalle macchie splendenti. Il suo capino termina ora in delicato apparato succhiatore.
Questi quattro esseri, uovo bruco crisalide farfalla, usciti l’uno dall’altro, sono ognuno un mostro rispetto all’altro, quatto inaudite apparizioni. Eppure, qui è il punto a cui volevo arrivare, essi sono geneticamente identici: gli stessi cromosomi, gli stessi geni, lo stesso DNA. Questa parabola naturale insegna una verità che è il vero scandalo della biologia. Ogni essere contiene in sé, segretamente, molto più di se stesso, il goffo bruco vorace contiene la leggiadra farfalla del vento, e quella il verme pasciuto.
La farfalla portata a vivere in un clima diverso può cambiare livrea, a riprova che il suo guardaroba è fornito di ben altro, che di quella tuta verde da lavoro che è il bruco e dell’abito di tutti i giorni. In un solo essere albergano molti destini, pronti ad affacciarsi al mondo quando invitati. Molti, ma non tutti. Le fogge che un insetto può assumere sono ben distinte e in numero limitato, ora più ora meno, in qualche caso persino una sola.
Tra il patrimonio genetico e l’aspetto del corpo, e certo anche dell’Anima (la farfalla è in greco psiche), non c’è una relazione obbligata. Coloro che pensano, sapendo tutto del DNA umano, di conoscere la storia e il destino dell’uomo, sbagliano e perdono il loro tempo e i nostri soldi. Vivere non è decrittare il cifrario del nostro DNA, è invece scegliere tra i vari destini che esso ha in serbo per noi. E se anche il destino fosse uno solo, scegliere se accettare quel destino o darsela a gambe.
Cresciute in condizioni opportune le piante di cactus si sviuppano in piante normali, con rami e foglie, e i pomodori, sottoposti alla tecnica di coltivazione giapponese kyponica possono divenire alberi con una chioma di dieci metri e portare diecimila gustosissimi frutti in appena otto mesi. Un pesciolino messicano, l’Astianatte, vive nei fiumi con occhi normali, oppure nelle caverne privo di occhi. Ma gli occhi li ha, in potenza, e, riportato nel fiume, in poche generazioni essi emergono, si aprono e vedono.
Quante capacità ci sono, in ciascuno di noi, che giacciono nascoste e inespresse, e forse per sempre addormentate perché non tirate per tempo giù dal letto? La stessa gente (gente con le stesse dotazioni genetiche) che ci ha dato l’impero d’Augusto e il Rinascimento, ci ha dato il basso impero e tangentopoli. Qualcosa di ineffabile muta I’anima dei popoli, trasforma i cactus in agili piante, pomodorini in alberi carichi di frutta, apre occhi accecati e li richiude. Se oggi siamo crisalidi mummificate appese a un filo, chissà domani, se il filo reggerà che non esca qualche psiche?
Il canto degli uccelli è un capitolo istruttivo quanto nessun altro. C’è di tutto. Ci sono uccellini, come la silvia comune, che tenuti in isolamento acustico da quando erano nell’ uovo, e persino privati dell’udito, sviluppano in maniera completamente innata il canto del maschio, e non vi aggiungono più tardi che qualche variante.
All’estremo opposto è il canarino, che non canta se non è istruito, ma è un allievo prodigio e può imparare ogni anno nuovi canti. Tuttavia anche il canarino non impara tutto e canta solo da canarino, solo i gorgheggi della sua specie, anzi solo il dialetto del gruppo d’appartenenza. Egli apprende quello che ha in potenza entro di sé, materializza una struttura sonora preesistente, che il maestro di canto non fa che estrarre dal repertorio nascosto dell’allievo, con la platonica arte della maieutica.
SI SUOLE dire, riguardo all’organismo vivente, che il tutto è più della somma delle parti. Questa tesi si chiama olismo. Addome, zampe, capo e ali non fanno una farfalla. Nella farfalla c’è qualcosa di più di una costruzione anatomica. Un mito ebraico narra che Iddio, prima di Eva, fabbricasse un’altra donna: mise insieme ossa e tessuti, organi e muscoli, coprì tutto con la pelle, aggiunse i peli nei luoghi giusti. Quando Adamo vide questa prima compagna ne provò un irresistibile disgusto, e Dio dovette portarla via, dando ragione agli olisti.
La seconda prima donna, Eva, fu creata, istantaneamente, da una costola di Adamo. E questo significò che in ogni parte del corpo c’è in potenza il tutto, come in un’olografia, o nell’angolino di un frattale. C’è di tutto, come in una costola c’ è un essere umano in potenza, e c’è più del tutto perché nel maschio c’è in potenza la donna, e certamente è vero anche il reciproco.
La visione che ho presentato è consolante, perché ci insegna quante persone potremmo essere oltre al personaggio che ci siamo dati. E anche sconsolante, perché ci ricorda quante persone, che avremmo potuto essere, non siamo stati e non ci accadrà ormai di essere.