Tempi, gennaio 31, 2014 Redazione
Madiba ha avuto il merito storico di pilotare il paese attraverso un’ardua fase di transizione, ma non tutto quel che ha fatto è encomiabile. Un libro ne mette in evidenza gli errori
Redazione
«La decolonizzazione fu solo l’inizio dei problemi dell’Africa lasciata a se stessa. Spuntarono come funghi movimenti “di liberazione” marxisti, i cui leader avevano studiato nell’Unione Sovietica, coadiuvati qua e là dalle truppe mercenarie che la Cuba castrista, sempre alla fame, metteva a disposizione di chi la manteneva. Cioè, l’Urss.
Tra dittature comuniste e colpi di stato, guerriglie senza fine e contro-golpe, esodi biblici di profughi ed efferatezze e massacri, la “democrazia” africana si venne formando sulle uniche basi possibili, quelle etniche, cosa che permane ancora oggi. Fu così che con Mandela il più prospero dei Paesi africani entrò in un tunnel di lotte e destabilizzazione da cui è faticosamente (e parzialmente) uscito solo in tempi recenti».
Così scrive Rino Cammilleri, nella Prefazione all’unico libro critico su Nelson Mandela (1918-2013) ed il “nuovo Sudafrica”, uscito dopo la morte del leader nero, il 5 dicembre scorso (cfr. R. Cammilleri, C’era una volta il Sudafrica, in Giuseppe Brienza-Omar Ebrahime-Roberto Cavallo, Mandela, l’apartheid e il nuovo Sudafrica. Ombre e luci su una storia ancora da scrivere, D’Ettoris Editori, Crotone 2014, pp. 120, € 12,90).
In effetti, la Repubblica sudafricana, annoverata fra i Brics (Paesi emergenti in sviluppo come Brasile, Russia, India e Cina), e che da sola produce circa un terzo del PIL di tutto il continente africano, nei vent’anni del post-apartheid è divenuta uno dei primi Paesi al mondo per povertà e criminalità diffusa, oltre che per numero di malati di AIDS.
Ne parla, dati UNAIDS, (l’Agenzia dell’ONU per la lotta all’AIDS) alla mano, il libro “Mandela, l’apartheid e il nuovo Sudafrica”, che sarà nelle librerie nei prossimi giorni. Infatti, in uno dei più sconvolgenti capitoli, “L’Aids ed il Nuovo Sudafrica”, si afferma: «nonostante il Sudafrica abbia avuto a disposizione nei vent’anni del post-apartheid, anche grazie a finanziamenti internazionali specificamente dedicati, risorse notevoli per combattere l’AIDS, pari talvolta a quelli di altri Paesi occidentali, esso rimane a tutt’oggi il primo al mondo per numero di malati affetti da tale terribile morbo. […] vivono infatti nel Paese di Mandela 6,1 milioni di persone affette da HIV/AIDS, su una popolazione di poco più di 51 milioni di abitanti. Ogni giorno in Sudafrica muoiono a causa dell’AIDS circa 1000 persone, per un totale di 350.000 vittime l’anno».
Le periferie delle grandi città sudafricane hanno ormai assunto le sembianze delle «favelas» del Sudamerica, nelle quali l’assoluta mancanza d’igiene falcidia ogni giorno centinaia di esseri umani. Il Sudafrica detiene poi il primo posto nella media statistica mondiale degli stupri e, scrivono gli autori del libro, non sono pochi gli aspetti che possono far parlare di un “volto oscuro” del Paese costruito e lasciato in eredità da Mandela e dal suo partito, l’African National Congress (ANC).
Si parte dalle implicazioni del leader nero con il comunismo nazionale ed internazionale (in particolare con il Lider máximo Fidel Castro), per finire con le controverse scelte della nuova Costituzione da lui promulgata come presidente della Repubblica nel 1996 (il Sudafrica è l’unico Paese africano ad avere il “matrimonio” omosessuale).
A Mandela si deve naturalmente il merito storico di aver saputo pilotare il Sudafrica attraverso un’ardua fase di transizione che avrebbe potuto essere anche peggiore di quella che si è determinata ma, tale merito, egli lo deve comunque condividere con Frederik de Klerk, il leader del “partito bianco” eletto nel 1989 sulla base di un programma di superamento della segregazione razziale che, nel febbraio 1990, liberò Mandela dal carcere mettendolo così in grado di riassumere in modo incondizionato la guida dell’ANC.
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