La leggenda dell’ «eroico» partigiano comunista e dei suoi «valorosi» compagni smentita dal libro di un sacerdote testimone dei fatti di Marzabotto
di Nicola Matteucci
E’ uscito un volume sulla Resistenza, che sarà condannato all’oblio: si tratta di Marzabotto e dintorni – 1944, di oltre settecento pagine (Bologna, Ponte Nuovo editrice). L’autore è Dario Zanini, attualmente parroco di Sasso Marconi. E’ nato a Rioveggio, nella val di Setta sotto le pendici del Monte Sole. Nel 1944 era seminarista e passò il cruciale inverno 1944 sfollato presso la sua famiglia (il padre faceva il sarto).
Inutile dire che conosceva benissimo i monti fra la val di Setta e il Reno e i contadini che li abitavano, come i coetanei della sua valle. la storia inizia con la descrizione della val di Setta prima e dopo l’8 settembre 1943. Emergono subito due personaggi: erano due giovani inseparabili un po’ scapestrati, chiamati Lupo e il Cagnone. Il primo diventò il «leggendario» comandante della brigata Stella rossa; il secondo, avendo aderito alla Repubblica di Salò, venne ucciso dai partigiani mentre tornava in corriera a Rioveggio.
E’ un fatto emblematico: la guerra civile divideva amicizie e famiglie. Giorno per giorno Dario Zanini narra i principali avvenimenti, facendo quasi sempre il nome e cognome dei protagonisti. Scontri fra tedeschi e partigiani, uccisioni di civili e di fascisti, «desaparesidos», bombardamenti alleati, ruberie e razzie dei partigiani a danno dei contadini. Particolare attenzione è dedicata all’opera dei parroci e dei sacerdoti in queste colline e in questi monti: essi rappresentarono un diverso e un nuovo protagonista di queste vicende.
La storia diventa più drammatica con lo sfondamento da parte degli alleati della Linea gotica nei primi di settembre: l’autore descrive con grande precisione questa battaglia imponente che causò gravissime perdite agli alleati come ai tedeschi. per i primi la strada era ormai in discesa, per i secondi c’era la necessità di ristabilire una nuova linea di difesa o di garantirsi le vie per una ordinata ritirata. in entrambi i casi c’era un ostacolo: il Monte Sole, presidiato da Lupo con la sua brigata Stella rossa. Iniziò così un massiccio rastrellamento alla fine di settembre: furono «i giorni dell’apocalisse».
Il racconto di Dario Zanini segue le diverse colonne tedesche che risalgono le pendici della montagna, descrive i diversi casolari distrutti con la fucilazione dei contadini e degli sfollati (ce ne dà nome e cognome in nota). La freddezza del cronista rende più agghiacciante queste pagine. I tedeschi conquistarono il Monte Sole senza incontrare resistenza armata: la brigata Stella rossa si era per sempre dissolta al vento.
Finita la guerra i comunisti costruirono subito l’icona o la leggenda di Marzabotto. Moltiplicarono il numero dei morti (per merito di Dario Zanini oggi li hanno ridotti a settecento), fecero credere che i molti preti morti (alcuni decorati con medaglia d’oro) fossero uccisi avendo in mano il mitra, mentre avevano soltanto il crocefisso e l’aspersorio: Zanini commenta ironicamente «non c’era una brigata della Curia».
Ma la menzogna più grave riguarda il Lupo, morto in combattimento, al quale venne subito data la medaglia d’oro. Il corpo venne trovato diversi anni dopo e una perizia del tribunale, voluta dalla sorella, convinta che l’avessero ucciso i comunisti, dimostrò che la causa della sua morte era stato un colpo alla nuca con una pistola non in dotazione all’esercito tedesco.
Il Lupo era stato sempre in violento contrasto con i commissari del popolo e la sorella, anch’essa partigiana, aveva assistito a questi scontri. I comunisti rapidamente la emarginarono ed essa morì, rinchiusa in casa, quasi pazza. Anche questo è un delitto su cui si è fatto silenzio.
Il racconto su Dario Zanini è quasi una cronaca di stile medievale. Molti giudicheranno questo libro revisionista, perché non è stato scritto dal punto di vista dei partigiani per contribuire a difendere l’oleografia esistente. E’ una storia vista dalla parte dei poveri, dei contadini della valle e dei monti che la circondano. L’animo con cui la racconta non è antifascista, né fascista: è quella di un cristiano. Per lui valeva soltanto il quinto comandamento, non uccidere.
L’oleografia, la leggenda è stata distrutta, ma dopo questo scabro racconto, tutto legato ai fatti e agli uomini che vi hanno partecipato, la storia di Monte Sole, perché ricondotta a una storia umana, ci appare assai più drammatica, assai più tragica di quella che ci ha tramandato l’icona ufficiale.