Le espressioni che circolano non sono più quelle veteromarxiste, ma le strutture di pensiero lo sono ancora
di Sergio Morisoli
Papa Francesco il 10 novembre 2015, a Firenze, fuori da ogni sospetto di Coronavirus affermava: «Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento, quanto un cambiamento d’epoca». Nel frattempo, viviamo una brutta sensazione. Fiutiamo qualcosa di già letto, già sentito, già analizzato, già visto, qualcosa di negativo, totalitario, despotico, tirannico nelle iniziative post Coronavirus che circolano in Occidente.
Si intravvede una replica delle dinamiche iniziali proprie alle utopie liberticide e mortifere del secolo scorso. Quella del “tutti uguali” attraverso la lotta di classe, quella del “tutti perfetti” attraverso la selettività razziale, ora quella del “tutti sani” attraverso la totale sicurezza tecnologica.
Tutte le utopie partono sempre da un ideale attrattivo e condiviso; per la prima era la giustizia sociale, per la seconda era il superuomo e per la terza, ora è la salute eterna. Poi queste idee diventano desideri, diritti, sperimentazioni, leggi, stato, e alla fine regimi, imposizioni, controllo e violenza per farle rispettare. Ideali nobili ma traditi e finiti malissimo.
Il DNA di queste disgrazie è sempre lo stesso: ateismo (Dio non c’è) e materialismo storico (ce la facciamo da soli). I totalitarismi occidentali, uguali se di destra o sinistra, nascono da questa radice profetica marxista. Una volta individuato il nemico: fu il padrone, poi l’ebreo e oggi l’untore (colui che non accetterà il microchip sottocutaneo e affini); scattano, corrono. Il muro di Berlino è caduto, il comunismo si è suicidato, ma lo spettro del marxismo aleggia sull’Occidente robusto e in salute.
Non lo conosciamo, siamo ignoranti, non lo si studia più; non ne siamo più vaccinati; non crediamo a chi l’ha subito; anzi ci dicono che era ed è un eccellente progetto ma purtroppo sempre finito in mani sbagliate che l’hanno mal interpretato. Invece è e rimane una profezia di una nuova religione atea, profondamente malvagia contro l’uomo, una menzogna originale che non diventa buona nell’applicazione.
Le espressioni che circolano, che si leggono, il linguaggio e il vocabolario oggi in auge non sono più quelle veteromarxiste, ma le strutture di ragionamento, di pensiero e di mentalità che le producono e le veicolano lo sono ancora. Hanno dentro l’algoritmo del marxismo che fu. Certo, è un marxismo mutato, come fanno i virus, non più incentrato solo sull’economia come nell’900.
No, è una cultura che penetra soft da decenni in molti ambiti oltre l’economia; si fa accettare, ci attrae e ne diventiamo dipendenti. Benedetto Croce potrebbe quasi scrivere che non possiamo non dirci marxisti. Il neo-marxismo sta eliminando, come originariamente previsto, lo Stato e la politica (la sua occupazione era solo la tappa intermedia) e si propaga indisturbato attraverso le burocrazie e i tecnocrati.
I neologismi, la tecnologia, la globalizzazione, il relativismo, il nichilismo, lo scientismo, il politically correct, l’individualismo in cui siamo immersi sono la nebbia che ci nasconde questo mostro. Un mostro che ci sta abbracciando per portarci in salvo nella sua tana con parecchie soluzioni e diverse vie di fuga finte, chiamandole bene comune.
Siamo soli, smarriti, cerchiamo punti saldi, vorremmo qualche certezza. Impauriti, disarmati di: identità, cultura, amor proprio; senza mappe e senza bussola stiamo per commettere l’errore fatale: abbandonarci tra le sue braccia. La promessa è la solita: un mondo migliore (buttar giù quello attuale), persone più buone (far fuori i cattivi) e ora con l’aggiunta dell’immortalità (fregare la vita).
Grazie al Coronavirus anche il marxismo è diventato utilitarista e si è fatto speculatore: paghi due compri tre. Finché il virus totalitario non ci contagerà la memoria, usiamola; finché il virus della tirannia della maggioranza non ci intaccherà il sistema immunitario della ragione, reagiamo.
Siamo a un bivio. Il “cambiamento d’epoca” non sarà economico, politico, ideologico, scientifico; sarà molto probabilmente umanistico, cioè la scelta tra: un’accelerazione verso un umanesimo ateo (forzatamente marxista) o un rallentamento per ricuperare un umanesimo cristiano (necessariamente cattolico).
Se a J.K. Chesterton si chiedesse: cos’è che non va nel mondo? Ci risponderebbe, a oltre cento anni di distanza, ancora una volta quello che scrisse in What’s wrong with the world del 1910: «Ciò che non funziona, ciò che è sbagliato, è che non ci domandiamo che cosa sia giusto!».