da Il Sabato n.36 – 9 Settembre 1989
Il più colto, il più ambiguo, Perché quando la cultura ammanta l’utopia totalitaria, non ci sono alibi. Solo aggravanti di colpa
di Vittorio Strada
Il «problema Togliatti» talora è posto in modi troppo schematico, quasi il punto centrale fosse la diretta responsabilità del leader comunista italiano in determinate azioni criminose della politica staliniana. Il fatto è che sulla corresponsabilità generale di Togliatti, come di ogni altro dirigente comunista del suo livello, con la politica staliniana nel suo complesso, e quindi anche con la sua essenziale parte propriamente delittuosa, non ci possono essere dubbi, per la responsabilità personale in casi singoli non resta che affidarsi alla documentazione finora esistente e a quella che, si spera, gli archivi sovietici un giorno forniranno.
Ben più importante delle colpe accertate e accertabili è però il giudizio politico su di lui, giudizio che non riguarda soltanto la sua persona ma investe l’intera classe dirigente comunista. Nei più recenti interventi comunisti su Togliatti alcuni momenti meritano di diventare oggetto di riflessione.
Uno consiste nella distinzione fatta tra l’elaborazione togliattiana di una «via italiana» al socialismo e la togliattiana esaltazione della superiorità del sistema sovietico rispetto alla democrazia «borghese». Quando i difensori di Togliatti, pur riconoscendo ormai l’insostenibilità e l’erroneità di questa esaltazione, cercano di contrapporla come momento negativo, secondario alla primaria positività della «via italiana», non vogliono vedere l’intima connessione tra i due momenti.
Per Togliatti non c’era alcuna contraddizione tra di essi, come non c’era per la struttura comunista da lui plasmata. Ed è proprio l’incondizionata accettazione dell’esperienza sovietica che getta una luce sinistra sulla «democraticità» di una linea politica che, in vario modo, era propria del comunismo europeo-occidentale nel dopoguerra e rispondeva in pieno alla strategia sovietica in tale settore.
Un secondo punto degno d’attenzione è la tendenza a far scivolare via dalla scena Togliatti insieme con il «comunismo reale», riconoscendo ad entrambi nello stesso tempo, una sorta di tragica grandezza, il prestigio di una generosa speranza irrealizzata e irrealizzabile . Si precisa che per «comunismo reale» si intende lo stalinismo fino alla propaggine restauratrice brezneviana, lasciando fuori il periodo leniano e, ovviamente, quello gorbacieviano, allora questa operazione, che ricalca nella sostanza l’attuale ideologia sovietica, si manifesta in tutta la sua funzione mistificatrice.
E’ evidente che se si considera il «comunismo reale» Come una sorta di lunga parentesi (più di mezzo secolo!) ora finalmente chiusa, si lasciano nell’ombra tutti i problemi connessi alla formazione e alla fondazione del comunismo, compreso quello italiano e occidentale e ci si allinea sulle nuove posizioni sovietiche, facendo balenare la promessa di chissà quale «comunismo ideale» o autentico e puro (ritorno a Lenin), che sarebbe il vero socialismo, ben diverso, s’intende, da quello «spurio» dell’avversato partito socialista.
Purtroppo, però, il «comunismo reale» non scompare così facilmente, neppure con i giochi di luce che cercano di trasfigurare in «ideale». E’ vero che il comunismo, cioè il sistema di potere che storicamente si fregia di questo nome e che trova in Marx e Lenin i suoi capisaldi teorici e politici, è oggi in crisi.
Ma questa crisi non significa di per sé superamento del comunismo, bensì significa, come la politica di Gorbacev indica, tentativo di superare la crisi, anche coi mezzi di una illusionistica dissolvenza del passato. Nell’Urss, tuttavia, la situazione è più avanzata e viva di quella stagnante del comunismo occidentale perché là c’è una società intellettuale che travalica gli angusti orizzonti di partito e preme per una sempre più libera visione delle cose. Infine il problema dell’utopia.
Se proprio di utopia si vuole parlare quale più grande utopia di Stalin? Chi più di lui è stato dominato da quella maniacale passione di semplificazione geometrica della realtà che è propria delle utolie? E chi più di lui ha posseduto gli strumenti per imporre una pseudo attuazione dello schematismo utopico del marxismo e del leninismo, fondamento di un «mondo nuovo» e di un «nuovo uomo»?
Qui il discorso di dovrebbe allargare al concetto stesso di utopia e, soprattutto, alla sua storia, poiché si deve distinguere tra l’utopia umanistica come punto di vista critico sui mali del presente e l’utopia antiumanistica come modello di edificazione firzata di un futuro spacciato per perfetto.
Quest’ultima utopia non può essere «colta», ma è sempre rozza e, soprattutto, sanguinaria e sanguinosa. E quando si ammanta di «cultura» diventa ancora più perversa perché cerca di coprire con fiori di carta una menzognera retorica le pesanti catene dell’oppressione. Non per nulla l’antiutopia, da Zamjatin a Orwell, è nata proprio contro queste tipo di utopia, attuatisi come totalitarismo nelle sue varianti di razza e di classe.
Stalin e i suoi uomini, tra cui forse il più colto fu Togliatti, nell’utopia totalitaria non trovano un’alibi o una scusante, ma una aggravante di colpa. Criticando i tentativi di avvocatesca difesa di Togliatti, non si vuole negare alla figura del leader comunista italiano una sua ambigua grandezza che lo distacca da tanti altri stalinisti minori. Togliatti da ultimo sentì che la potenza della causa che aveva servito con assoluto zelo era entrata in una fase di pericoloso declino; e contro questa situazione egli fermamente combatté, senza però compere quella parziale autoanalisi critica della storia che, sola, poteva offrire, e che effettivamente oggi offrire una certa possibilità di controllare la crisi del comunismo senza rinunciare al comunismo.
Togliatti questa autoanalisi, naturalmente, non la poteva fare perché egli era parte organica di quella storia. Ma neppure il neo-antistalinismo comunista ufficiale di oggi riesce nella sua operazione di far uscire di scena al suono di una marcia funebre sublime Togliatti e il suo passato. I problemi della storia comunista, non di un fantomatico «comunismo reale» contrapposto ad un ancora più fantomatico «comunismo ideale», ma del comunismo come storicamente è stato ed è, restano aperti di fronte al tribunale della coscienza democratica e socialista