da La Nuova Bussola quotidiana 10 dicembre 2018
Troppo comodo limitarsi a sollevare un problema di “sicurezza per i nostri ragazzi” dopo la tragedia di Corinaldo, quando ci illudiamo che la sicurezza possa colmare le nostre lacune: perché oggi ci si ammazza in sicurezza, si sballa in sicurezza, si perde il senso della vita in sicurezza. Eppure quella delle aggressioni è una costante dei dj set-trap. Genitori, sveglia: e se fosse la violenza evocata in quella musica a generare violenza? Il trapper intanto gonfia il suo portafogli poetizzando disagio, rabbia, droga, sesso. E mentre diventa ricco lascia ai suoi piccoli destinatari del consenso quella rabbia, quella droga e quel sesso che lui stesso gli ha trasmesso.
Andrea Zambrano
Minotauri che pontificano sui social cercando di sgravarsi di ogni responsabilità. Troppo facile scaricare adesso sulla banda dello spray al peperoncino. Come se il punto fosse soltanto un problema di delinquenza giovanile. Troppo facile, bisognerebbe per lo meno chiedersi perché questa banda si diverte ad andare in giro come un demone impazzito a gettare nel panico proprio in questo tipo di concerti per under 18. Quella di Corinaldo non è la prima volta: sembra essere una costante di tutti gli altri concerti di musica trap, o dei loro dj set che dir si voglia. Perchè?
Bisognerebbe chiederselo perché – ad esempio – il loro obiettivo non sono i concerti blasonati dove la security è un lavoro e la musica è professione. Forse perché anche la musica veicolata e il suo messaggio fa parte del gioco. Come se la violenza evocata da quelle canzoni generasse a sua volta violenza. Bisognerebbe chiedersi perché scelgano come vittime proprio un contesto e un pubblico fatto di 14enni che della vita ancora non sanno nulla, ma la respirano dai testi di un cantante che già idolatrano.
Il ragazzo fermato era pieno di droga? Le navette scaricavano in continuazione giovani già ubriachi? Ma di che cosa ci scandalizza? Se i testi delle canzoni di Sfera Ebbasta evocano concetti del tipo “quanto sei porca quando bevi una vodka” e sono infarciti di migliaia di riferimenti al sottobosco della droga libera vogliamo ancora raccontarci la favola che è tutto il problema di sicurezza? E’ la musica il generatore e questo aedo coi denti placcati il suo amplificatore.
Ha identificato il senso della vita in una nebulosa fatta di sesso, violenza, droga e soldi. Tanti soldi. Quelli ad esempio che si incassano stipando come sardine 1300 ragazzi contro le ovvie prescrizioni legali.
Ché da 300 a 1300 spettatori, c’è un migliaio che balla e quello è il solco che separa l’operazione commerciale dal Minotauro, appunto. Che mangiava carne umana, la quale doveva essere rigorosamente ateniese, in ragione di 7 fanciulli e 7 fanciulle. Tutti sacrificati nelle sue fauci per placare l’ira del mostro. E qui – tanto per sgravarci la coscienza – diciamo che in fondo è stata una tragedia, che è colpa del gestore del locale e che comunque la musica non c’entra niente.
C’entra invece, perché morire per andare a sentire un cantante è una disgrazia di cronaca nera, ma morire per partecipare a un rito collettivo dove il sesso e i soldi sono l’obiettivo di un’esistenza segnata dalla droga e dal fuggi fuggi dalla polizia è un abbracciare con inconsapevolezza un modello di vita che puzza di morte e non di vita. Un modello che fa dire a questi profeti che “saremo ricchi, ricchi per sempre”.
La stessa inconsapevolezza che i genitori di oggi subiscono nel provare anche solo timidamente a entrare nel recinto sgraziato di un adolescente che ascolta questa musica per moda e piano piano inizia a interiorizzarla. Ci vuole fatica e umiltà, per un padre, a mettersi attorno a un tavolo e analizzare i testi di questi sciagurati trapper e fare riflettere il proprio figlio non solo sull’immoralità di certe parole, perché di fronte a questo approccio gli adolescenti si mettono a ridere e basta, ma lo fanno perché vogliono vedere fino a quanto tu ci credi. E’ per fargli capire che quella libertà che pensano di sperimentare non è altro che un usare la loro testa per fare quanti più soldi possibile.
E’ questo il loro scopo: lo scrivono, lo cantano, lo rappano con maledettissima convinzione. E ogni padre deve capire che quando un adolescente sta ascoltando su Youtube uno di questi prodotti di periferia disordinata e senza speranza non sta soltanto concedendo al figlio la possibilità di evadere dal proprio grigiore, ma sta facendo si che suo figlio venga usato perché qualcun altro faccia i soldi col suo consenso e sulla sua pelle.
Le visualizzazioni monstre su Youtube si trasformano – e si sono trasformate prestissimo – in contratti discografici, ospitate televisive e radiofoniche. Per Sfera Ebbasta e per tutti gli altri. Quindi soldi, soldi e ancora soldi. Un indotto che va a vantaggio di tutti: discografici, radio, artisti e chiunque giri intorno al business. Soldi che si incassano a palate approfittando della capacità di adattamento dei ragazzini, i quali non stanno tanto a fare gli schizzinosi se il locale non è sufficientemente capiente per tutti o le uscite di sicurezza precarie, soldi che però fanno la fortuna di gestori, ma anche dei cantanti, non dimentichiamolo.
Comodo, troppo comodo limitarsi a sollevare un problema di “sicurezza per i nostri ragazzi”, quando ci illudiamo che la sicurezza possa colmare le nostre lacune: perché ci si ammazza in sicurezza, oggi; si sballa in sicurezza; si perde il senso della vita in sicurezza.
Il trapper intanto gonfia il suo portafogli poetizzando disagio, violenza, droga, sesso. E mentre diventa ricco lascia ai suoi piccoli destinatari del consenso quella violenza, quella droga e quel sesso che lui stesso gli ha trasmesso.
Sono gli adolescenti però, che hanno pagato il prezzo più alto, permettendo con i loro clic da camera a questi “artisti” di diventare ricchi e quindi commerciali. Tanto che ormai nel mondo dei 15enni la tendenza è quella di abbandonare il trapper diventato famoso perché ormai si è venduto al sistema. E con questa logica si va alla ricerca di qualcun altro, che non vedrà l’ora di farsi commercializzare.
E nel frattempo il minotauro azzannerà i più piccoli. Che sono stati portati anche a 12 anni all’una di notte su quel ballatoio tremolante non dalla loro voglia di vivere, né da un qualche cosa che avesse un senso, ma dall’irresponsabilità di adulti che li hanno prima usati per il loro successo e poi fintamente accontentati nella loro sete di sballo.
Siamo noi il minotauro, noi adulti, che piangiamo con ipocrita severità le inadempienze di un gestore di locale, senza accorgerci della nostra inadempienza di aver abbandonato i nostri figli a questo sacrificio scambiato per puro divertimento, permettendo che qualcuno assetato di fama e soldi iniettasse loro il suo remunerativo disprezzo per la vita. Un disprezzo che da soli non avrebbero mai coltivato.