Dicembre 2019
Per storici come Alberto Melloni il multiforme movimento eretica censurato da san Pio X fu un’invenzione di qualche ossessionato. Un po’ come coloro che sostengono oggi che la teoria del gender non esiste…
di Mario A. lannaccone
Quante volte abbiamo sentito sostenere da giornalisti e ideologi che la teoria del gender non esiste? Che è un’invenzione? Spesso. Eppure, abbiamo prove abbondanti che esista e sia sostenuta da un apparato teorico, mediático, scientifico e persino legislativo.
Ebbene la stessa tattica, vale a dire sostenere che non esista qualcosa che esiste, viene applicata da tempo riguardo alla vicenda secolare del Modernismo, che fu definito da san Pio X la «sintesi di tutte le eresie», in quanto movimento ereticale multiforme che mirava al cuore del cattolicesimo.
Recentemente lo storico Alberto Melloni durante il convegno L’ostinazione della carità (Bologna, 23 ottobre 2019) dedicato alla figura di don Olinto Marella (1882-1969) ha affermato che una generazione di sacerdoti fu perseguitata dalla Chiesa per un abbaglio.
L’antimodernismo è «una vicenda molto singolare», ha detto, «perché è la persecuzione di una cosa che non esiste». Non basta: «Il modernismo è un’invenzione di chi lo perseguita, che vede in una serie di fermenti un grande nemico».
Fu insomma un’isterica teoria del complotto, sostiene Melloni, creata dai persecutori i quali avrebbero visto nei novatori più disparati un unico movimento, colpendo per errore – tra i più noti -Alfred Loisy, George Tyrrell, Romolo Murri, Antonio Fogazzaro o Ernesto Buonaiuti, figure che si proponevano semplicemente di svecchiare la Chiesa.
Eppure per ciascuno di questi personaggi citati da Melloni come vittime innocenti del sospetto antimodernista, si possono elencare esempi lampanti della critica radicale a cui sottoposero la fede cattolica, proponendo cambiamenti dottrinali e tesi palesemente eretiche.
Il Modernismo fu censurato come un’eresia unica nell’enciclica Pascendi Dominici Gregis (1907) promulgata da san Pio X, enciclica opportuna perché i modernisti, che avevano posizioni più o meno radicali, mostravano un atteggiamento bellicoso nella prassi, agendo anche all’interno dei seminari.
Molti di loro erano professori in contatto con giovani in formazione e giovani preti; scrivevano, dirigevano riviste e associazioni. Alcuni erano collegati al mondo teosofico, massonico, socialista o agnostico del tempo.
Fu perciò opportuno e giusto introdurre i nel 1910 anche il Giuramento antimodernista, necessario per insegnare religione e teologia. Fu un errore eliminarlo nel 1966? Probabilmente.
Le vicende di Alfred Loisy e Romolo Murri
Prendiamo Alfred Loisy (1857-1940), citato da Melloni come un innocuo prete francese. Sin dal seminario fu critico su quasi ogni aspetto della dottrina cattolica; nel momento in cui venne ordinato diacono con obbligo del celibato scrisse che con quell’ordinazione si era «consumato il grande errore della mia vita».
E allora la domanda è: perché non divenne pastore protestante? Perché si fece prete, lui ammiratore di Ernest Renan? Perché il suo desiderio, come quello di molti modernisti, non era di migliorare se stesso in funzione della dottrina ma di cambiare la dottrina in funzione di sé.
Il resto della vita di Loisy fu un tentativo di conciliare scienza, scienza storica e dogmatica nella logica dell’aggiornamento e dell’evoluzione, anche dell’evoluzione dei dogmi. E di operare non dall’esterno, ma in incognito dentro la Chiesa. Dunque, la sua condanna fu davvero un abbaglio?
Ancora più evidente è la vicenda di don Romolo Murri (1870-1944), sospeso a divinis nel 1907 e poi scomunicato per essere stato eletto nel partito della Lega democratica, poi vicino al fascismo, collaboratore di un ministero fascista dal 1941 al 1944 su interessamento del gerarca Dino Grandi.
Le sue critiche al celibato sacerdotale lo portarono a sposare la danese Ragnhild Lund, dalla quale ebbe un figlio. Anche Murri si fece prete maturando presto l’intenzione di cambiare la missione del sacerdozio, della Chiesa, di cambiare i dogmi.
Molti dei modernisti negavano la divinità e la resurrezione di Cristo, i dogmi riguardanti la Madonna, oltre a rigettare il celibato sacerdotale e molto altro.
Più che un abbaglio allora, una mistificazione oggi.
È falso che questa «grande eresia della modernità» fosse «un abbaglio», come sostiene Melloni. Chi si oppose al Modernismo tentò di arginare un potente fenomeno di gnosticismo e di protestantizzazione (non del tutto slegato dalla Massoneria) che colpì la Chiesa a fine ‘800.
Lo fece, anche, attraverso una «commissione antimodernista» che chiedeva informazioni sui simpatizzanti modernisti che insegnavano nei seminari, nelle università cattoliche, nelle scuole dei religiosi, potè fare errori e li fece – talvolta furono sospettate persone innocenti – ma, nella sua essenza, era giusta e opportuna.
Melloni, deridendolo, definisce l’antimodernista come colui che si sentiva minacciato dal «grande mostro che andava all’assalto della Chiesa». Eppure basterebbe rileggere il Programma dei modernisti, documento che uscì in risposta alla Pascendi Dominici Gregis, tra i cui estensori figurava probabilmente un modernista di punta come il sacerdote scomunicato Ernesto Buonaiuti (1881-1946), per constatare come il Modernismo scardinasse l’ecclesiologia, la dogmatica, arrivando a introdurre forme di sincretismo religioso.
Esisteva anche un fenomeno di modernismo cosiddetto sociale, forse il meno pericoloso: l’attenzione ai problemi sociali, nella Chiesa, non arrivò infatti dai modernisti ma dalla Rerum Nouarum di Leone XIII.
Chi vinse la partita?
In definitiva, chi vinse? La sicurezza di Melloni ci mostra che i modernisti a loro modo vinsero e che molte delle 65 tesi (incluse nel decreto Lamentabili, vedi box in pagina) giudicate caratteristiche di questa «sintesi delle eresie», non sono morte.
Molti personaggi vicini al modernismo soffrirono, ma i più, nel tempo, fecero carriera e s’infiltrarono, letteralmente, nelle strutture direttive della Chiesa, nei seminari, nelle università. Ciò accadde dopo l’eliminazione del giuramento antimodernista e lo smantellamento dell’apparato che intendeva reprimere l’eresia.
«Come si può credere che Piccolo mondo antico andasse a detrimento della Chiesa?», chiede a un certo punto Melloni nel corso della conferenza di Bologna, citando lo scrittore modernista Antonio Fogazzaro (1842-1911). Se si sono letti i suoi romanzi, da Malombra a II Santo, lo si può pensare, eccome.
Egli credeva alla reincarnazione e in una Chiesa apocalittica, senza struttura e dogmi. Per Melloni, Fogazzaro finì nella lista dei modernisti per errore: non costituiva un pericolo. Impossibile, però, credere che non influenzasse il pubblico visto che i suoi libri intrisi di modernismo, spiritualismo, spirito filo massonico incontrarono un enorme successo.
Messo all’Indice Fogazzaro si sottomise alla Chiesa ma solo formalmente, non nel cuore, arrivando ad affermare che per cambiare la Chiesa non bisognava combatterla apertamente, era necessario farlo segretamente, infiltrando appunto seminari, scuole, riviste e gerarchie. In fondo, è quello che da allora continua ad essere fatto…
_________________________
Tra la Pascendi e la «teologia progressista»
Il Modernismo è un complesso fenomeno di critica alla Chiesa nato nel seno della Chiesa stessa. Fu sintetizzato in 65 tesi giudicate eretiche e comprese nel decreto del Sant’Uffizio Lamentabili Sane Exitu (1907) e nell’enciclica Pascendi Dominici Gregis (1910) di papa san Pio X. Per combatterlo fu istituito il giuramento antimodernista (motu proprio Sacrorum Antistitum, 1910) richiesto a preti e insegnanti di scuole e seminari. Nonostante decenni di lotta, i modernisti rimasero in gran parte ai loro posti e influenzarono tutta la cosiddetta teologia progressista – e non solo – nell’accezione che diede al termine padre Cornelio Fabro nel suo studio L’avventura della teologia progressista (1974)