di Antonio Gaspari
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1989 si aprirono i primi varchi nel muro che divideva Berlino e che separava il mondo libero e democratico dalla dittatura comunista. A distanza di vent’anni l’ideologia socialcomunista, che pure è riuscita per oltre un secolo ad illudere e nascondere la verità a milioni di militanti, sta diminuendo la sua influenza e sembra prossima ad essere ingoiata dalla storia. Eppure, in Italia, c’è un gruppo significativamente influente, che si riconosce come quello dei «cattolici adulti», il quale sostiene il Partito Democratico, l’ultima espressione del postcomunismo.
Si tratta di un «paradosso storico, considerando che, senza il sostegno dei cosiddetti «cattolici adulti», i postcomunisti non raggiungerebbero la maggioranza relativa neanche nelle Regioni rosse, come Toscana, Emilia Romagna e Umbria, e nelle città come Bologna e Firenze. Il «paradosso storico» assume connotati incomprensibili se si pensa che, nella storia, la Chiesa cattolica è stata tra le prime a denunciare il sistema comunista, ed i cattolici, fino a prima del Concilio Vaticano II, erano tra le più solide compagini che si opponevano all’ideologia materialista del socialcomunismo.
Già nel 1846, Pio IX, nell’enciclica Qui Pluribus, denunciò i comunisti come «coloro che in vesti di agnelli ma con animo di lupi s’insinuano con mentite apparenze… distolgono gli uomini dalla osservanza di ogni religione e fanno scempio del Gregge del Signore». Il Papa Leone XIII, nell’enciclica Rerum Novarum, criticò la lotta di classe perchè «invece che risolvere le contese non fa che danneggiare gli stessi operai». Il Papa Pio XI, nell’enciclica Divini Redemptoris del 1937, condannò il comunismo bolscevico e ateo quale «minaccia tremenda per la civiltà umana» e precisò: «La dottrina del comunismo ha un falso ideale di giustizia, di eguaglianza e di fraternità», mira alla «distruzione dei valori fondamentali del matrimonio e della famiglia».
Pio XI denunciò che nei confronti dei crimini commessi dal comunismo si era manifestata la «congiura del silenzio nella stampa mondiale» e si appellò ai vescovi perchè mettessero in guardia i fedeli da non farsi ingannare. Pio XII decretò, nel 1949, la scomunica per i cattolici che sostengono e diffondono il comunismo. Giovanni XXIII, nel 1959, estese la scomunica a «quanti danno il voto ai candidati che, anche se assumono nome cristiano, nella pratica si associano ai comunisti e ne favoriscono l’azione». Condanne successive sono state esplicitate da Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Ma allora, come è possibile che siano ancora tanti i cattolici che militano e votano Partito Democratico? La svolta di una parte del mondo cattolico a favore dell’ideologia socialcomunista avvenne nel corso del Concilio Vaticano II. Il Concilio, nel suo complesso, riuscì a respingere tutti i tentativi di ridurre il primato del pontefice e stravolgere la struttura della Chiesa, ma sul comunismo mancò la chiara condanna. A questo proposito il cardinale Giacomo Biffi, eminente teologo e arcivescovo emerito di Bologna, nel libro Memorie di un italiano cardinale ha scritto: «Comunismo: il Concilio non ne parla.
Se si percorre con attenzione l’accurato indice sistematico, fa impressione imbattersi in questo categorico asserto. Il comunismo è stato senza dubbio il fenomeno storico più imponente, più duraturo, più straripante del secolo ventesimo; e il Concilio, che pure aveva proposto una Costituzione sulla Chiesa e il mondo contemporaneo, non ne parla… Il comunismo – continua il cardinale – a partire dal suo trionfo in Russia nel 1917, in mezzo secolo era già riuscito a provocare molte decine di milioni di morti, vittime del terrore di massa e della repressione più disumana; e il Concilio non ne parla.
Il comunismo (ed era la prima volta nella storia delle insipienze umane) aveva praticamente imposto alle popolazioni assoggettate l’ateismo, come una specie di filosofia ufficiale e di paradossale “religione di stato”; e il Concilio, che pur si diffondeva sul caso degli atei, non ne parla… Negli stessi anni in cui si svolgeva l’assise ecumenica – scrive ancora il cardinale Biffi – le prigioni comuniste erano ancora luoghi di indicibili sofferenze e di umiliazioni inflitte a numerosi “testimoni della fede” (vescovi, presbiteri, laici convinti credenti in Cristo); e il Concilio non ne parla».
Sulla mancata condanna del comunismo, Biffi racconta di averne parlato con il pontefice Giovanni Paolo II nel 1985, il quale condivideva le sue riflessioni, e conclude affermando che si tratta di «un silenzio su cui riflettere», ben più grave dei «supposti silenzi nei confronti delle criminose aberrazioni del nazismo, che persino alcuni cattolici (anche tra quelli attivi al Concilio) hanno poi rimproverato a Pio XII!». Sullo stesso tema, nel 2005, monsignor Walter Brandmüller, presidente del Pontificio Consiglio di Scienze Storiche, affermò che «come noi sappiamo quarant’anni dopo la sua conclusione sarebbe stata una pagina gloriosa per il Concilio se, seguendo le orme di Papa Pio XII, avesse trovato il coraggio di condannare espressamente e di nuovo il comunismo».
Già oggi possiamo constatare come la non esplicita condanna del comunismo da parte del Concilio è stata utilizzata da alcuni per diffondere una «epidemia» di cattocomunismo.