Carlo Bellieni spiega le possibili relazioni con l’ambiente
di Antonio Gaspari
Professor Bellieni, è proprio vero che tutto il nostro destino è scritto nel DNA?
Bellieni: Assolutamente no. Bisogna dire che le recenti ricerche mostrano come nello sviluppo umano esista un equilibrio tra una forza centrifuga (quello che è scritto nel nostro DNA) e una forza centripeta (l’azione dell’ambiente), tanto che anche lo sviluppo del sistema nervoso del feto risente di entrambi, in particolare dell’eccesso o dell’assenza di stimoli esterni. Questo dà l’idea di una libertà di fondo nella nostra natura e di una preferenza basale verso il rapporto con “l’altro” rispetto all’ “isolamento” dall’altro.
Lei ha parlato di un ambiente molto particolare, riferendosi all’ambiente della fecondazione. Cosa intendeva?
Bellieni: Bisogna tener presente che nel momento della fecondazione, ma anche su ovulo e spermatozoo, l’ambiente ha un’importanza fondamentale. Il contatto con le cellule della tuba uterina attiva dei recettori sulla parete dell’embrione che a sua volta inizia una specie di dialogo ormonale col corpo della madre. Verranno prodotte sostanze protettive per l’embrione ed esso verrà stimolato verso particolari modifiche. Cambiare la scena in cui avviene la prima fase della nostra vita non è cosa da poco. Ad esempio recenti studi hanno mostrato come la luce o diverse concentrazioni di ossigeno possano modificare lo sviluppo dell’embrione. Questo deve farci riflettere.
In che senso?
Bellieni: Nel senso che sfiorare qualcosa che per sua natura non dovrebbe essere sfiorato è un atto da fare con la massima cura. L’epigenetica è una branca della biologia che studia proprio questo: l’importanza delle esperienze con l’ambiente per l’espressione dei geni. In poche parole, per via di proteine presenti nel nucleo o di gruppi metilici, alcuni geni vengono “silenziati” a seconda degli stimoli esterni che la cellula subisce.
Ci può fare degli esempi?
Bellieni: Randy Jirtle, genetista statunitense, scrive: “Ogni nutrimento, ogni interazione, ogni esperienza può manifestarsi attraverso cambiamenti biochimici che dettano l’espressione di geni, talora alla nascita, talora 40 anni dopo. […] Non possiamo dire se i geni o l’ambiente abbiano il maggior impatto sulla nostra salute perché sono inesorabilmente legati”. Asim Duttaroy, docente di Scienza della Nutrizione ad Oslo, riportava che lo scarso nutrimento del feto porta a modificazioni dell’espressione di alcuni geni, che porteranno a manifestare obesità, ipertensione e diabete in età adulta; e la rivista Pediatric Research spiega che l’epigenetica è alla base della miglior risposta allo stress che avrà in età adulta l’individuo che è stato oggetto di un serrato contatto con la madre da piccolo.
Ci può far un esempio di come si può modificare l’ambiente uterino?
Bellieni: Un esempio si trova nella diagnosi preimpianto. Questa è l’analisi del DNA che si esegue in una cellula sottratta ad un embrione fatto in totale di otto cellule, al fine di scartarlo se il DNA analizzato non ci soddisfa. Quest’analisi si fa per scartare gli embrioni malati e anche quelli imperfetti, in modo da aumentare le possibilità di impianto dell’embrione. Invece l‘autorevole New England Journal of Medicine ha di recente pubblicato uno studio che mostra che gli embrioni dopo questo espianto si impiantano peggio, diminuendo le possibilità di gravidanza.
Quanto dura la modificazione epigenetica?
Bellieni: Recenti studi hanno mostrato che le modifiche epigenetiche (che sono altra cosa dalle “mutazioni”) che l’ambiente determina sul DNA possono essere trasmesse di generazione in generazione. Questo secondo alcuni studiosi cozza con una visione deterministica dell’evoluzione della vita legata invece a una competizione spietata per la sopravvivenza, che invece si basa su mutazioni casuali, in cui l’ambiente avrebbe non la funzione di indurle ma di selezionarle in base alla legge del “più adatto”: sappiamo che alcune alterazioni geniche indotte dall’ambiente si trasmetteranno ai figli, non scomparendo al momento della fecondazione, come mostrano i lavori di Michael Skinner sui topi in contatto con elementi tossici in epoca prenatale e gli studi sulle donne vissute in carestia durante la seconda guerra mondiale che avrebbero fatto nascere bambini di basso peso i cui figli sarebbero stati anch’essi di basso peso pur nutriti normalmente in gravidanza.
Qual è dunque la preoccupazione principale?
Bellieni: Un mondo scientifico che cerca in tutti i modi di creare un ambiente a misura di bambino per chi è già nato, conoscendo le complicazioni per la salute che un ambiente avverso provoca, non può fornire all’embrione un ambiente non pari a quello materno nel momento del concepimento, come abbiamo già illustrato recentemente, per evitare rischi, come spiegava una recente sintesi che chiedeva di valutare “l’impatto dell’esposizione a gonadotropine, ad un alterato ambiente di impianto, condizioni di coltura in vitro, selezione dello sperma, iniezione dello sperma nell’ovulo e crioconservazione”, per spiegare la tendenza di un ristretto numero di bambini nati da fecondazione in vitro a manifestare certe malattie; ma senza ignorare, come anche riportava di recente la rivista Lancet che un rischio può dipendere già da un fattore già presente nei genitori. E i rischi ci sono, come spiega la stessa Lancet. Insomma: un principio di precauzione viene richiesto dalla scienza: che risposta riceve?
Ma se non tutto è scritto nel DNA, che valore ha riprodurre il DNA in laboratorio?
Bellieni: Certamente non quello di riprodurre una copia di una persona, quasi si volesse fare un suo “doppione”. Nessuno pensa ad un risultato simile, come mostra la presenza di gemelli con lo stesso DNA, ma con destini e gusti diversi. Ma l’influsso dell’ambiente ha un impatto così importante sull’espressione dei geni che ci si domanda se ricreare un DNA in laboratorio basti a ricreare un essere vivente: non dimentichiamo il problema dell’imprinting, ovvero della necessità che per sviluppare una persona serve sia il patrimonio genetico materno che quello paterno: un essere costruito solo raddoppiando o il primo o il secondo, non avrebbe un futuro vitale.