L’arcivescovo di Kinshasa scuote il Congo parlando in occasione del 60esimo anniversario dell’indipendenza: «Abbiamo occupato i posti dei bianchi, ma non abbiamo usato il potere per servire il popolo»
Fridolin Ambongo Besungu
Riportiamo di seguito in una nostra traduzione ampi stralci dell’omelia che il cardinale congolese Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, ha pronunciato il 30 giugno in occasione del 60esimo anniversario dell’indipendenza della Repubblica democratica del Congo. Il cardinale, come si può capire da questa intervista a Tempi, si è sempre battuto per liberare il suo paese dalla cattiva politica del dittatore Joseph Kabila, che ancora riesce a governare da dietro le quinte in spregio alla Costituzione e alla volontà popolare.
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Eccellenza monsignor vicario generale, cari fratelli e sorelle nel Signore, cari compatrioti; la Repubblica democratica del Congo, celebra oggi un giorno eccezionale: il 60esimo anniversario del suo accesso alla sovranità internazionale. Noi non abbiamo il diritto di dimenticare questo giorno che è stato il compimento di tanti sacrifici e del sangue versato dai valorosi figli e figlie del Congo.
Come abbiamo ascoltato nella prima lettura, all’uscita dall’Egitto, Mosè disse agli israeliti: «Ricordatevi di questo giorno». E noi, popolo congolese, abbiamo questo importante dovere della memoria, di ricordarci questo giorno. Solo, l’evento che noi celebriamo oggi è anche, in parte, alla base delle nostre difficoltà odierne.
Contrariamente ai paesi vicini, l’indipendenza del Congo, ottenuta il 30 giugno 1960, è stata una indipendenza più sognata che ponderata: mentre altri riflettevano sul significato dell’indipendenza e preparavano le persone alle sue conseguenze; noi, in Congo, sognavamo l’indipendenza con emozione, passione, irrazionalità, tanto che quando il momento è giunto non sapevamo che cosa sarebbe accaduto il giorno successivo. Le conseguenze si vedono ancora oggi.
Per i congolesi dell’epoca sognare l’indipendenza significava sognare di occupare i posti dei bianchi, sedersi sugli scranni dei bianchi, godere dei vantaggi riservati ai bianchi e non agli indigeni dell’epoca. Per molti, significava la fine dei lavori forzati, ma al di là dei lavori forzati, l’indipendenza era vista come la fine di tutti i lavori pesanti. Quando saremo indipendenti diventeremo tutti capi. Occuperemo i posti dei bianchi.
Tutto ciò si è verificato con la zairinizzazione: i congolesi hanno occupato i posti dei bianchi. Ma dato che non capivano niente di quello che facevano i bianchi quando occupavano questo o quel posto, dato che non capivano l’esercizio dell’autorità o l’esercizio delle cariche, qualunque compito politico o incarico socioeconomico o amministrativo è stato visto come l’occasione di godere dei vantaggi dei bianchi.
Così, anche l’esercizio dell’autorità in Congo è stato compreso in questo modo. Si cercava di accedere al potere non per rendere servizio a coloro che si trovano sotto la propria responsabilità ma per avere i privilegi dei bianchi.
Ma questi, mentre erano seduti sulle loro sedie, non se la spassavano e basta. Lavoravano anche. Comprendevano il senso del loro lavoro. Noi invece abbiamo messo da parte l’idea del servizio da rendere agli altri e abbiamo posto l’accento sul piacere.
Volgendo uno sguardo rapido ai 60 anni che sono passati si vede che questo grande sogno dei congolesi si è progressivamente infranto a causa di una serie di fatti ed eventi. Noi abbiamo conosciuto la successione dei regimi autocratici che arrivavano al potere come i colonizzatori senza preoccuparsi della volontà del popolo e questo succede ancora oggi: con la forza, la guerra, il sotterfugio, la frode si installa un sistema egoistico nella gestione della cosa pubblica invece di promuovere il benessere comune del popolo congolese, al quale si ritiene di non dover rendere conto perché i governi non arrivano al potere grazie al popolo.
Non ci si è mai sentiti in debito verso il popolo.
A questo si aggiunge la cultura di impunità per i potenti. Si condannano i piccoli che rubano una gallina, una capra, che picchiano qualcuno. Ma per i potenti l’impunità è totale. Fortunatamente qualcosa inizia a muoversi. Vediamo però con quale tenacia la maggioranza parlamentare attuale cerca di mettere le mani sulla Ceni (commissione elettorale nazionale indipendente) e sulla magistratura.
Queste sono pratiche intollerabili. Perché noi sappiamo che da queste due istituzioni dipende l’indipendenza del popolo. E i loro principi sono consacrati nello Stato di diritto. Quando si parla di Stato di diritto si intendono questi principi: indipendenza dell’organismo che organizza le elezioni e indipendenza della giustizia, della magistratura. Se mancano questi due elementi, il popolo non conta più niente.
Come accettare che 60 anni dopo l’indipendenza il popolo congolese continua a impoverirsi fino al punto di essere oggi tra i popoli più miseri della Terra? (…) Noi dobbiamo riconoscere, cari fratelli e sorelle, che dopo 60 anni di indipendenza abbiamo vergognosamente fallito. Noi non siamo stati capaci di fare del Congo un paese più bello di prima. Noi non abbiamo aiutato il nostro popolo a raddrizzare la schiena che era già ricurva. In sintesi, abbiamo tutti fallito.
Che cosa dobbiamo fare allora? Il Vangelo di oggi ci invita alla responsabilità. Perché ciascuno di noi dovrà rendere conto davanti a Dio di quello che avrà fatto dei suoi talenti e di questo bel paese dalle potenzialità immense: che cosa avete fatto del vostro paese? È la domanda che ci verrà fatta dal Tribunale Supremo. Che cosa avete fatto di tutte queste ricchezze, di tutte queste potenzialità che vi ho donato generosamente?
Non è la classe politica che aiuterà il paese a uscire dai suoi problemi. Noi dobbiamo uscire dalla mentalità che si sente spesso: che il presidente o il governo deve fare questo o quello. Questi sono comportamenti irresponsabili. È il popolo stesso che deve agire. Noi sappiamo bene che la coalizione al potere, che ormai lo è solo di nome, ha calpestato la volontà del popolo per arrivare dove si trova oggi.
La coalizione lo sa e i suoi membri ora lo dicono. (…) I partiti della coalizione hanno sviluppato un rapporto pericoloso di rivalità che rischia di trascinare tutto il paese nel caos definitivo. (…) Il popolo è abbandonato. In definitiva, la coalizione al potere ha perso la sua ragion d’essere e dovrebbe sparire da sola. È responsabilità dei coalizzati, del presidente e del presidente uscente, di far cadere questa coalizione che condiziona lo sviluppo del nostro paese. È da tanto che sono al governo e dai nostri governanti non possiamo sperare ormai che arrivi niente di buono. È inaccettabile.
Noi denunciamo le velleità attuali, soprattutto della maggioranza parlamentare che vuole rubare le speranze della popolazione in un potere giudiziario davvero indipendente e al servizio del paese, e non degli individui, e in una Ceni al di sopra di ogni sospetto. Su questi due punti la posizione della Chiesa è chiara. (…)
Il popolo non vuole neanche le tre leggi Minaku-Sakata (che di fatto sottomettono il potere giudiziario a quello esecutivo, ndr). Noi non lo accettiamo. Ecco perché in occasione della celebrazione dell’indipendenza del nostro paese, lancio un appello a tutto il popolo, al nostro popolo, alla società civile, alla Chiesa cattolica e a quella protestante ad alzarsi, a rialzare la testa per fare da diga davanti a queste velleità che hanno come unico obiettivo quello di proteggere gli interessi di parte di coloro che non vogliono una giustizia giusta.
I giorni futuri saranno difficili. E ci tengo in questa occasione a chiedere al popolo di tenersi pronto. Quando verrà il momento, quando faranno passare queste leggi, dovranno trovarci sulla loro strada. Non possiamo continuare, dopo 60 anni di indipendenza, a governare senza rispettare il popolo, la Chiesa cattolica e quella protestante.
Che per l’intercessione dei nostri amati martiri, Isidore Bakanja e Marie-Clémentine Anuarite, Dio liberi il Congo da tutti coloro che lo calpestano e lo conduca alla piena sovranità.