La Repubblica 19 dicembre 1996
Il regime di Pechino detiene il record di pene capitali: nel 1994 sono state 1411
In Cina 43 condanne eseguite in un giorno
di Renata Pisu
A PECHINO la scritta che sovrasta un massiccio edificio di mattoni circondato da filo spinato dice semplicemente: «Corte Suprema di Pechino. Progetto 86». Tutti però sanno che dentro quelle mura c’è un ampio spiazzo con una leggera salita in cima alla quale si eseguono le condanne a morte. I “morti che camminano” lì non hanno nemmeno la forza di camminare, per lo meno di affrontare quell’ultima salita: con le mani legate dietro la schiena vengono trascinati a forza, costretti a inginocchiarsi, fatti fuori con un colpo solo, sparato da una guardia carceraria, non da un plotone di esecuzione, perchè ogni boia ha la sua vittima, non è prevista nessuna messinscena, nessun macabro ultimo rituale. Il giustiziato si affloscia con la faccia sulla nuda terra, lo raccolgono con delle pale, lo caricano su di un camion, lo portano al crematorio. In genere si usa mandare ai familiari il conto, poche centinaia di lire, il costo della pallottola. «Se non pagate non vi daremo le ceneri», dicono i secondini. Giustizia è fatta.
IN QUESTO MODO in Cina è stata fatta giustizia più di mille volte negli ultimi sei mesi, soltanto l’altro ieri quarantatré volte in una sola giornata, a Guangzhou, la città più dinamica e ricca della Cina meridionale dove il capitalismo avanza a grandi passi, assieme al crimine, alla droga, alla prostituzione, alla corruzione, a tutti i mali che accompagnano uno sviluppo frenetico e selvaggio, mali che si pensa di combattere «picchiando duro».
«Picchiare duro» è infatti il nome della nuova campagna anti-crimine lanciata su vasta scala in aprile e che, come hanno detto ieri i giudici della Corte suprema, Fanno prossimo, dovrà essere intensificata. Se finora le vittime sono state più di mille, mille persone ammazzate in nome della legge con un colpo di pistola alla nuca, nel 1997 si prevede che saranno per lo meno il doppio visto che è stato ampliato il numero di delitti che comportano la pena capitale: si può finire ammazzati per mazzette, per furto con destrezza, per inadempienze amministrative, per infrazioni che in altri ordinamenti giudiziari prevedono sanzioni pecuniarie.
I giudici hanno potere discrezionale ma se il colpevole è giovane e in buono stato fisico, le probabilità che lo condannino a morte aumentano: dei suoi organi si farà infatti proficuo commercio e spesso la data di un’esecuzione viene fissata a seconda della domanda di organi, perchè anche vita e morte si adeguano oggi alle leggi del mercato che in questo caso non è «libero mercato» dato che la morte è un monopolio di Stato.
L’anno scorso un documentario della Bbc ha denunciato questa pratica che pare frutti al governo cinese miliardi e miliardi in valuta pregiata, perchè gli organi dei criminali vengono trapiantati di preferenza a cittadini stranieri che possono permettersi di sborsare circa trenta milioni per un rene, cinquanta milioni per un fegato, ottanta per un cuore: organi freschi freschi, di gente giovane e sana, a volte estirpati addirittura prima dell’esecuzione, come ha raccontato nel documentario trasmesso dalla Bbc un medico cinese rifugiato in Occidente che ha reso una agghiacciante testimonianza: una volta venne condotto in un carcere e gli ordinarono di prelevare i reni di quattro detenuti vivi che erano stati sottoposti a anestesia. Questi organi, gli dissero, servivano ad alti dirigenti del partito, una necessità impellente di vita, non c’era tempo da perdere. Il medico fece presente alle autorità carcerarie che una persona senza reni non può vivere più di ventiquattro ore, ma quelli gli risposero che non c era problema, i quattro sarebbero stati giustiziati il giorno dopo.
Uomini ancora vivi ma privati anche della speranza dell’ultimo minuto, dell’attesa della telefonata che concede la grazia o il rinvio dell’esecuzione per revisione del processo. Che senso ha rivedere gli atti processuali di uno che non ha più o reni?
C’è nel modo in cui la pena capitale viene eseguita in Cina un di più di crudeltà, che consiste nel fatto che al condannato non viene riconosciuta nessuna dignità, non è più un cittadino, non è neanche più un essere umano. Così lo si macella come si macella un maiale. Nel paese più popoloso del mondo si macella comunque di più che in qualsiasi altro paese al mondo: nel 1992 in Cina, dove vive il 22 per cento del genere umano, sono state eseguite 1079 condanne a morte, cioè il 63 per cento delle condanne eseguite in tutto il mondo. Nel 1994 le esecuzioni sono state 1411, cioè una media di quattro esecuzioni al giorno.
Ma queste sono soltanto stime, si presume che le condanne eseguite siano in realtà molte di più. E sono sicuramente destinate a crescere, come i dati ufficiali degli ultimi sei mesi dimostrano e come nessuna campagna contro la pena di morte riuscirà a impedire, perchè i governanti cinesi sono convinti di essere nel giusto. Al massimo, sotto la spinta di una campagna internazionale per il rispetto dei diritti umani, potrebbero accondiscendere a bendare gli occhi del condannato.