11 gennaio 2016
di Massimo Introvigne
L’11 gennaio 2016 Papa Francesco ha incontrato il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per l’annuale cerimonia degli auguri. Il Papa ha messo al centro del suo discorso il problema dei rifugiati e degli immigrati, invitando i singoli Paesi e la comunità internazionale a cercare soluzioni creative per tutelare insieme la sicurezza dei propri cittadini e l’accoglienza dei migranti.
Più volte ha richiamato, insieme al dovere dell’accoglienza, l’esigenza che sia tutelata la sicurezza dei cittadini e che ai rifugiati e immigrati sia chiesto di rispettare non solo le leggi ma anche «i valori e le tradizioni» dei Paesi che li ospitano, così implicitamente correggendo dichiarazioni di prelati che, in occasione di episodi di cronaca, si limitano a chiedere accoglienza e sembrano ispirarsi a un buonismo ingenuo e di maniera.
Il Papa ha anzitutto ricordato i viaggi trascorsi nell’anno trascorso – Bosnia, Sri Lanka e Filippine, Ecuador, Bolivia e Paraguay, Cuba e Stati Uniti, Kenya, Uganda e Repubblica Centroafricana – che hanno avuto, ha detto, come «filo conduttore» la misericordia. E ha citato pure l’impegno diplomatico della Santa Sede per tutelare la libertà religiosa e promuovere la pace in molte situazioni di difficoltà e di conflitto. Francesco ha voluto anche ribadire l’impegno suo e della Chiesa per la famiglia, «minacciata dai crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita». E ha condannato ancora una volta il terrorismo. «Solo una forma ideologica e deviata di religione – ha detto – può pensare di rendere giustizia nel nome dell’Onnipotente, deliberatamente massacrando persone inermi, come è avvenuto nei sanguinari attentati terroristici dei mesi scorsi in Africa, Europa e Medio Oriente».
Ma, ha spiegato il Papa, fra tanti problemi ha deciso di concentrare il suo discorso «sulla grave emergenza migratoria che stiamo affrontando, per discernerne le cause, prospettare delle soluzioni». Oggi «centinaia di migliaia di persone» sono «in fuga da guerre orribili, da persecuzioni e violazioni dei diritti umani, o da instabilità politica o sociale, che rendono spesso impossibile la vita in patria». Molti «sono costretti a fuggire per evitare le barbarie indicibili praticate verso persone indifese, come i bambini e i disabili, o il martirio per la sola appartenenza religiosa». Tra questi «vi sono numerosi cristiani che sempre più massicciamente hanno abbandonato nel corso degli ultimi anni le proprie terre, che pure hanno abitato fin dalle origini del cristianesimo». Altri sfuggono alla fame e a una «cultura dello scarto» diventata globale, dove «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani».
I «potenti», nel frattempo, «strumentalizzano i deboli, riducendoli ad oggetti per fini egoistici o per calcoli strategici e politici». Tra questi potenti rientrano i criminali, «chi pratica la tratta o il contrabbando di esseri umani», e chi non li ostacola o anche li favorisce per oscuri disegni politici. Il Pontefice ricorda pure che ci sono «molti migranti che non lascerebbero mai il proprio Paese se non vi fossero costretti». E tanti che «farebbero volentieri ritorno nei propri Paesi, se vi trovassero idonee condizioni di sicurezza e di sussistenza», a partire da molti «cristiani del Medio Oriente desiderosi di contribuire, come cittadini a pieno titolo, al benessere spirituale e materiale delle rispettive Nazioni».
Le migrazioni sono un fenomeno antico, ma l’emergenza di oggi è per molti versi senza precedenti. L’Europa «è stata interessata da un imponente flusso di profughi – molti dei quali hanno trovato la morte nel tentativo di raggiungerla –, che non ha precedenti nella sua storia recente, nemmeno al termine della seconda guerra mondiale». La prima causa di questo fenomeno è data dalle guerre, dalla fame e dalle persecuzioni nei Paesi di partenza. Sono cause che «si potevano affrontare già da tempo. Si sarebbero così potute prevenire tante sciagure o, almeno, mitigarne le conseguenze più crudeli. Anche oggi, e prima che sia troppo tardi, molto si potrebbe fare per fermare le tragedie e costruire la pace». Si è fatto invece ben poco, qualche volta condizionando «gli aiuti a strategie e pratiche ideologicamente estranee o contrarie alle culture dei popoli cui sono indirizzate».
I vecchi sistemi di accoglienza non sembrano più una risposta adeguata di fronte a numeri cresciuti a dismisura. Senza dimenticare la frontiera tra Messico e Stati Uniti, dove il Papa si recherà nel suo prossimo viaggio, quanto all’Europa «i massicci sbarchi sulle coste del Vecchio Continente sembrano far vacillare il sistema di accoglienza, costruito faticosamente sulle ceneri del secondo conflitto mondiale». «Di fronte all’imponenza dei flussi e agli inevitabili problemi connessi, sono sorti non pochi interrogativi sulle reali possibilità di ricezione e di adattamento delle persone, sulla modifica della compagine culturale e sociale dei Paesi di accoglienza, come pure sul ridisegnarsi di alcuni equilibri geo-politici regionali. Altrettanto rilevanti sono i timori per la sicurezza, esasperati oltremodo della dilagante minaccia del terrorismo internazionale». Occorre dunque in Europa «il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti».
Molti Paesi europei hanno compito notevoli sforzi. «Una particolare riconoscenza, ha detto il Papa, desidero esprimere all’Italia, il cui impegno deciso ha salvato molte vite nel Mediterraneo e che tuttora si fa carico sul suo territorio di un ingente numero di rifugiati». Tuttavia nessun Paese può più fare da solo. «È importante che le Nazioni in prima linea nell’affrontare l’attuale emergenza non siano lasciate sole, ed è altrettanto indispensabile avviare un dialogo franco e rispettoso tra tutti i Paesi coinvolti nel problema – di provenienza, di transito o di accoglienza – affinché, con una maggiore audacia creativa, si ricerchino soluzioni nuove e sostenibili. Non si possono, infatti, pensare nell’attuale congiuntura soluzioni perseguite in modo individualistico dai singoli Stati, poiché le conseguenze delle scelte di ciascuno ricadono inevitabilmente sull’intera Comunità internazionale».
Infine, «nell’affrontare la questione migratoria non si potranno tralasciare i risvolti culturali connessi, a partire da quelli legati all’appartenenza religiosa». Questi risvolti riguardano anzitutto la prevenzione della radicalizzazione dei migranti, che da una parte è organizzata da gruppi estremisti e terroristi ma dall’altra è alimentata dal relativismo che chi viene da terre lontane incontra in Occidente. «L’estremismo e il fondamentalismo trovano un terreno fertile non solo in una strumentalizzazione della religione per fini di potere, ma anche nel vuoto di ideali e nella perdita d’identità – anche religiosa –, che drammaticamente connota il cosiddetto Occidente». La risposta al fenomeno dei rifugiati e degli immigrati dev’essere dunque anche religiosa e culturale. Può perfino essere un’occasione «per una nuova comprensione e apertura di orizzonte, sia per chi è accolto, il quale ha il dovere di rispettare i valori, le tradizioni e le leggi della comunità che lo ospita, sia per quest’ultima, chiamata a valorizzare quanto ogni immigrato può offrire a vantaggio di tutta la comunità».