Prima di entrare metaforicamente nel silenzio orante del conclave e disporci ad accogliere il nuovo successore di Pietro, pubblichiamo quale atto di gratitudine verso Benedetto XVI questo piccolo riepilogo del suo pontificato, scritto da uno dei nostri collaboratori lo scorso anno in occasione del compleanno del Papa.
Quando 7 anni fa Giovanni Paolo II ci lasciava c’era un po’ un senso di smarrimento in chi come il sottoscritto non aveva visto direttamente altri papi, se non dai libri. Confesso che nei giorni precedenti il conclave – il “mio” primo conclave! – avevo un po’ il timore di vedere un “intruso” negli abiti bianchi papali che eravamo abituati ad associare soltanto al papa polacco eppure mi sforzavo di pensare che chiunque fosse stato scelto dai cardinali sarebbe stato Pietro, Colui al quale Cristo consegnava le chiavi della Chiesa. Eppure continuavo ad essere un po’ inquieto, immerso in quei sentimenti contrastanti della serie – per dirla con Guareschi – “il cervello lo sa, ma il fegato no…!”
Questi pensieri però svanirono in quel 19 aprile, per far posto alla “grande gioia” – il gaudium magnum con cui vengono annunciati i nuovi pontefici. Ricordo che ero a Pisa (dove mi trovavo per gli studi universitari) ed ero andato a messa nella chiesa di Santa Caterina che frequentavo abitualmente. A metà della celebrazione prima una campana, poi un’altra , poi un’altra ancora, poi tutta la città scampanava festosamente e anche il celebrante intuì cosa doveva essere accaduto e per la prima volta – dopo la piccola “quaresima” della sede vacante – durante il Canone menzionò “il nostro papa”, ancora ignoto, che nella Cappella Sistina aveva appena accettato l’elezione a Vicario di Cristo.
Ovviamente quella messa – che pure era una messa feriale, quindi abbastanza breve – mi sembrò lunghissima perché non vedevo l’ora di scappare ad accendere la Tv per vedere il nuovo papa. E quando fu annunciato il nome dell’eletto e si aprì la loggia centrale di San Pietro, non c’era nessun intruso, al contrario, il mondo conobbe l’ultimo dono di Giovanni Paolo II: per la prima volta in abiti bianchi, c’era quell’anziano e mite (e forse un po’ intimidito) cardinale Ratzinger, che papa Wojtyla aveva voluto a tutti i costi al suo fianco fino all’ultimo (i vaticanisti fanno a gara a contare quante volte Giovanni Paolo II gli abbia rifiutato le dimissioni, per convincerlo a restare a Roma… chissà se quel papa mistico aveva visto qualcosa…)
II – La gioia…
Per lui, che giunto a 78 anni non vedeva l’ora di tornarsene in patria a continuare i suoi studi e a vivere gli ultimi anni in serenità e pace, fu un nuovo inizio. Ma fu un nuovo inizio anche per chi, come me, già lo apprezzava come uno dei pochi punti fermi accanto a Giovanni Paolo II, perché se prima conoscevo i suoi scritti in questi sette anni abbiamo potuto conoscere anche l’anima, la mente e il cuore da cui questi erano scaturiti.
Questa mente e cuore che si possono riassumere in una frase del suo recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù, celebrata nella domenica delle Palme 2012: “La Chiesa ha la vocazione di portare al mondo la gioia, una gioia autentica e duratura, quella che gli Angeli hanno annunciato ai pastori di Betlemme nella notte della nascita di Gesù ”.
Tutto questo messaggio è incentrato sulla gioia, e qualcuno nei giorni scorsi ricordava come la parola “gioia” sia probabilmente uno dei termini più frequenti in questo pontificato (e aggiungerei anche le parole “speranza” e “bellezza”), così che la vocazione della Chiesa di portare al mondo la gioia, sia specificamente fatta propria da Benedetto XVI.
Ma il papa precisa: non una gioia qualsiasi, effimera, che oggi c’è e domani non lo sappiamo, ma “una gioia autentica e duratura”, quella degli Angeli, che a loro volta traggono la loro gioia dallo stare continuamente alla presenza di Cristo, che è “la fonte della gioia e dell’allegria” (per usare ancora le parole del Papa).
Tutto il magistero di questo papa (che non parla solo con le parole ma anche con il silenzio dei gesti, dei “santi segni” della liturgia) è un grande tentativo di aprire gli occhi e alzare lo sguardo verso quell’eterna festa che ruota intorno alla Trinità. Lo ha fatto e lo fa in tutti i modi: abbiamo visto il grande teologo, il professor Ratzinger, abbassarsi con umiltà a spiegare ai bambini con parole semplici i misteri della fede cristiana.
E lo abbiamo visto rivolgersi agli intellettuali per esortarli a non sprecare l’uso della ragione, a non restringerla nei confini limitati di ciò che vediamo e tocchiamo concretamente, ma ad “allargare la ragione” (è un altro dei suoi leitmotiv…) spiegando a loro e a noi che una ragione ridotta al solo aspetto tecnico, razionalistico, è una ragione ristretta, mortificata, incapace di cogliere la bellezza.
Fino a “richiamare” con l’esempio e con l’esortazione persino gli stessi sacerdoti a guardare in alto e a rimettere al centro Cristo (di qui la centralità della croce sull’altare nelle messe del papa) senza cedere alla tentazione di “costruire da sé” la liturgia, col rischio che le proprie invenzioni personali e trovate accattivanti, finiscano per oscurare quella festa, allo stesso tempo solenne e gioiosa, che gli angeli celebrano in cielo e che deve trasparire in ogni liturgia terrena.
III – Pastor Angelicus
Così se Giovanni Paolo II era sicuramente un papa mistico, anche Benedetto XVI può essere definito mistico, a suo modo. Nel senso che percorre e ci invita a percorrere una “piccola via” della mistica (simile a quella “piccola via” della “piccola” Santa Teresa di Lisieux), una via semplice e umile, come lui stesso si definì 7 anni fa, che consiste nel rendersi conto che la realtà è più ampia (e più bella) di come siamo abituati a vederla, e ad “uscire dalla quotidianità, dal mondo dell’utile, dell’utilitarismo” per “essere in cammino verso la trascendenza; trascendere se stesso, trascendere la quotidianità e così trovare anche una nuova libertà, un tempo di ripensamento interiore, di identificazione di se stesso, di vedere l’altro, Dio” (cfr. Viaggio a Santiago e Barcellona) – ma questo è possibile solo se ci si sforza di vivere alla Sua presenza, come gli Angeli, ma anche come i bambini e come quei monaci che “vivono incessantemente alla maniera degli angeli” e che il Papa ammira a tal punto da prendere il nome del loro fondatore, san Benedetto.
Anche per Benedetto XVI sarebbe dunque appropriato il motto, già attribuito a Pio XII, di Pastor Angelicus, il papa angelico, che vuole aiutarci a sperimentare le parole di Gesù nel Vangelo: beati i puri di cuore, perché vedranno Dio… e quel “bambino dai capelli bianchi” che 7 anni fa si affacciò per la prima volta da San Pietro, vuole aiutarci a vedere Dio, a “vivere alla Sua presenza” già in questa vita per essere irradiati e nostra volta irradiare la speranza, la bellezza e la gioia.
IV – Gandalf il Bianco
Tutto questo sembra impossibile di fronte alle amarezze e alle sofferenze che costellano la vita quotidiana, ma il Papa ci assicura che “radicati nella fede” possiamo incontrare “anche in mezzo a contrarietà e sofferenze la fonte della gioia e dell’allegria” che è Cristo [cfr. GMG Madrid 2011].
Ci assicura e anche ci rassicura di fronte alle numerose sfide del nostro tempo. Non so se il Papa abbia letto Il Signore degli Anelli, fatto sta che qualche volta si trasforma persino in Gandalf il Bianco (il colore non è casuale..): il Saggio stregone dell’opera di J.R.R. Tolkien, a un certo punto ricorda ai suoi amici timorosi dei mali che si sarebbero potuti verificare: “non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare”.
Con parole simili Benedetto XVI ricordava a Madrid, soprattutto ai giovani: “Cari amici, che nessuna avversità vi paralizzi! Non abbiate paura del futuro né della vostra debolezza. Il Signore vi ha concesso di vivere in questo momento della storia perché grazie alla vostra fede continui a risuonare il Suo nome su tutta la terra ”