Un’analisi sociologica di Introvigne, direttore del Cesnur
di Filippo Salatino
Quale ritiene sia l’aspetto più peculiare di questo pontificato?
“L’aspetto missionario. Lo scenario è cambiato rispetto ai pontificati di Giovanni XXIII o di Paolo VI. Allora si pensava che il treno dell’interesse per la religione e per il sacro fosse fermo, che si fosse fermato per avere trovato fra le sue ruote l’ateismo, di cui si temeva una grande espansione. Invece le ideologie sono entrate in crisi, al moderno ha fatto seguito il post-moderno, la fiducia nella scienza è stata sostituita dal reincanto del mondo. Il numero di atei e di agnostici è diminuito drasticamente e quasi ovunque.
L’impero social-comunista è crollato (con una piccola spinta da parte del Papa). La Santa Sede ha chiuso il Pontificio Consiglio per il Dialogo con i Non Credenti – per mancanza di non credenti – incorporandolo nel Pontificio Consiglio per la Cultura. Ma forse dovrebbe aprire il Pontificio Consiglio per il Dialogo con i Troppo Credenti, o con i creduloni. Infatti non c’è nulla di trionfalistico nella fine della modernità.
Il treno è ripartito, ma non si sa dove vada: gira in tondo, o peggio sembra talora avviato verso destinazioni sinistre, con scenari che ricordano il film “Cassandra Crossing”: un treno senza guidatore in viaggio verso l’ignoto. In ogni caso, non si tratta più di sforzarsi di fare ripartire il treno ma di montarci a bordo avviandosi cautamente verso la vettura del macchinista vuota cercando di prendere la guida. Fuor di metafora, è questa la nuova evangelizzazione”
Quali cambiamenti hanno rilevato le analisi sociologiche nel Cattolicesimo in seguito all’operato del Papa?
“In verità la nuova Evangelizzazione, anzitutto, è la risposta della Chiesa a un mondo profondamente cambiato, dove i “segni dei tempi” non sono più quelli della stagione di Papa Giovanni e del Concilio. Certamente quando parlava dei “segni dei tempi” Papa Giovanni non intendeva dire che tutte le future generazioni avrebbero dovuto continuare a guardare i segni dei “suoi” tempi, anche quando questi fossero completamente cambiati.
Eppure è proprio così che li intende un certo progressismo, che nel frattempo è diventato profondamente reazionario e si arrabbia perché il mondo postmoderno di Giovanni Paolo II non è più quello moderno di Paolo VI o Giovanni XXIII. Qualche volta questi sedicenti progressisti se la prendono con i sociologi quando questi ricordano loro che il numero degli atei e degli agnostici diminuisce e quello delle persone che si dicono religiose sale.
Gramsci, che dovrebbero conoscere, ricordava che prendendosela con il barometro non si cura il cattivo tempo. Io credo che questa resistenza di buona parte di una generazione di reduci dal progressismo abbia ostacolato la nuova evangelizzazione, cioè – ancora – il tentativo di trasformare l’innegabile e maggioritaria domanda di religione in domanda di cristianesimo e di cattolicesimo.
Tuttavia ci sono stati risultati interessanti in paesi come l’Italia (non a caso il luogo dove il Pontefice si è per ovvie ragioni più direttamente speso), dove il numero di cattolici praticanti (almeno una volta al mese) è lentamente risalito ed è comunque almeno 5 volte superiore a quello di un paese vicino come la Francia”
Lei ha focalizzato l’attenzione sulla crescente importanza – anche sociale e culturale ed in prospettiva forse “politica”- delle “nuove” comunità cattoliche, numericamente significative, in Africa ma non solo, è un altro effetto dell’azione dinamica del Papa?
“Per la verità io mi sono limitato a fare conoscere in Italia analisi date per scontato in altre paesi, per esempio quelle di Philip Jenkins. Oltre all’Italia i maggiori successi della nuova evangelizzazione si sono avuti in paesi in via di rapida modernizzazione (e non ancora post-modernizzazione) come la Corea, le Filippine, alcuni paesi africani e latino-americani dove – passata la sbornia della “teologia della liberazione” – nuovi movimenti cattolici hanno raccolto la sfida di un protestantesimo dinamico e attivo e stanno cominciando a riguadagnare terreno.
Questo dimostra, ancora una volta, che la domanda religiosa non viene meno con i processi di modernizzazione e che dove la Chiesa perde terreno questo si deve non a una sparizione della domanda ma a una cattiva qualità dell’offerta. Questa cattiva qualità c’è stata e c’è, ma non è obbligatoria. Il Papa ci ha mostrato che un’offerta di tutt’altra qualità è possibile e fruttuosa.
Ma la nuova evangelizzazione, come la prima, è un processo da misurare sull’arco di decenni se non di secoli. Ultimamente un solo pontificato non basta e si tratterà di vedere se la Chiesa, dopo Giovanni Paolo II, saprà consolidarne e istituzionalizzarne l’eredità in uno sforzo missionario sapiente e organizzato, o se prevarranno i teorici suicidi di quel “cattolicesimo fragile”, versione cattolica del “pensiero debole”, che hanno condotto il cattolicesimo sull’orlo della sparizione in Francia e in altri paesi”