di Antonio Socci
Ma lui col marxismo che c’entra? Chissà come è nata questa bislacca diceria che il Pci sia stato un partito comunista. Anche Massimo D’Alema tempo fa ha dovuto chiarire: «Non ho mai studiato il marxismo-leninismo… e non credo neanche che esista» (l’Unità, 11aprile1998). E quando faceva l’«enfant prodige» di Enrico Berlinguer? Era un liberale. L’ha detto e ripetuto. Un liberale come Giovanni Malagodi e il barone Ricasoli. Lo stesso Gramsci, rivelò D’Alema, fu un «liberale» (Il Sole-24 Ore, 31luglio 1997).
E’ vero che nel 1985, quando il cardinal Ratzinger definì il comunismo come «la vergogna del nostro secolo», proprio D’Alema insorse, indignato. Lo raccontava Vittorio Messori, intervistatore del prelato, alla Stampa il 4 maggio 1997. Ma sarà stato un equivoco, forse Messori ricorda male. Perché a Botteghe Oscure di comunisti non ce n’erano.
Nell’estate 1999 a Newsweek proprio D’Alema spiegò che il Pci, in blocco, da tempo non era più comunista se mai lo era stato. Anzi, negli anni Settanta erano proprio gli anticomunisti a iscriversi al Pci. Ce lo ha fatto sapere, prima di Fassino, Walter Veltroni. Sulla Stampa del 16 ottobre 1999 spiegò che lui appartiene alla «generazione che aveva l’Urss come avversario» e negli anni Settanta entrò nel Pci perché «pensavo che avesse ragione Jan Palach e non i carri armati dell’invasione sovietica. Consideravo Breznev come un avversario, la sua dittatura un nemico da abbattere».
Ovvio. chi negli anni Settanta voleva abbattere i regimi dell’Est entrava nel Pci come Veltroni, andava a Berlino Est ai festival della Gioventù comunista come Veltroni ad applaudire i tetri e sanguinari burocrati di Breznev, faceva come Veltroni (e come Fassino e come D’Alema) il dirigente di quella Fgci che nel suo Statuto (confermato nel 1978) esordiva così: «Gli iscritti e i militanti della Fgci lottano per costruire una società socialista che crei le condizioni e favorisca il processo di liberazione dell’uomo verso il comunismo».
E che all’articolo 1 proclamava: «La Fgci si riconosce nella strategia del Partito Comunista Italiano, contribuisce ad arricchirla, ed educa i suoi iscritti alla conoscenza del marxismo e del leninismo, nello spinto dell’antifascismo e dell’internazionalismo proletario».
Chi davvero «aveva l’Urss come avversano» in quegli anni non andava per le piazze a chiedere firme per Solzhenicyn e raccogliere sputi e insulti dai compagni, ma faceva come Veltroni che il 24 febbraio 1974 organizzava una formidabile manifestazione anticomunista intitolata: «Togliatti con noi. Nel nome di Togliatti le lotte dei giovani per la pace, la libertà, il socialismo».
Ha fatto discutere Veltroni quando, nel luglio 1995, ormai crollato da anni il Muro, si è definito «anticomunista». Un temerario. Ma qui siamo davanti a un fenomeno ancor più clamoroso: un’intera classe dirigente che oggi rivela di essere sempre stata anticomunista. Di essere entrata nel Pci per questo. E’ straordinario. Perfino Fabio Mussi ha fatto sapere che «già ai tempi giovanili avevo ben chiaro che il regime dell’unione Sovietica era una grande truffa e mi riconoscevo in chi, da anticomunista, criticava il totalitarismo».
Insomma era un montanelliano in incognito, il Mussi. E da anticomunista faceva carriera politica nel Pci. E’ curioso come si sia potuto prendere il Pci per un partito comunista. Anche Massimo Cacciari – filosofo marxista, due volte deputato del Pci, infine sindaco del Pds – un bel giorno ha rivelato: «Mai stato comunista e neppure pidiessino» (Sette, 19maggio 1994).
Ma forse almeno Enrico Berlinguer sarà stato comunista, non è vero? Nient’affatto. Veltroni ha dissolto anche quest’ultimo equivoco. In realtà era un fanatico anticomunista: «Proprio Berlinguer e la sua politica venivano considerati avversari e nemici dal Pcus», perché «sul piano dell’ideologia, il comunismo ha in sé, con la dittatura del proletariato, la negazione della libertà» (l’Unità, 30 ottobre 1999).
Davanti a tante rivelazioni mozzafiato, riattualizzate da Fassino, ci si sente un po’ storditi. Almeno Marx sarà stato marxista! Macché. Uno apre il «Requiem per Carlo Marx» di Frank E. Manuel e scopre la battuta che l’autore del «Capitale» amava ripetere, riferita da Engels: «Tutto quello che so, è di non essere affatto marxista».
Nemmeno lui. Ma chi l’ha imposto e sostenuto il comunismo per 70 anni? E chi li ha prodotti 200 milioni di morti? E i Paesi devastati, i carri armati? Mah. In Italia di sicuro non c’è mai stato un comunista, se non il movimento berlusconiano che Veltroni, in un libro, ha definito «stalinista». Il bianco è nero, il nero è bianco, vittime e carnefici si dissolvono, il giorno è la notte e la notte è giorno. Viene in mente Arthur Koestler, «Buio a mezzogiorno», la sua micidiale descrizione della menzogna totalitaria. Ma forse questa italica è solo una burla, una barzelletta un po’ squallida.
Si capisce perché è parsa così indigeribile a sinistra la storia di Antonello Trombadori che ha sempre dichiarato lealmente di essere stato comunista e che poi è diventato sinceramente anticomunista (come racconta il recente libro curato dal figlio Duccio). La sua è la storia vera, dolorosa, di uno che si assumeva le sue responsabilità.
Niente a che vedere con chi racconta oggi, solo oggi, come Fassino e Veltroni, che i regimi comunisti gli facevano schifo già allora e si iscrisse al Pci per abbatterli. Certo, avranno capito già allora che erano orrendi, ma perché hanno continuato a ingannare milioni di poveracci, mentendo sapendo di mentire? Ce lo spieghino, per favore, invece di continuare a coglionarci.