di Nicolò Zanon
Qualcosa si muove nel programma sulla giustizia del PD. Il problema è che si muove in una direzione molto preoccupante. In generale, lo ha messo in luce, in un convegno della sua associazione e in una intervista comparsa sull’Occidentale, il vice presidente dell’Unione delle Camere penali Beniamino Migliucci.
Per bocca dello stesso Veltroni (rubrica “radio carcere” sul Riformista del 19 marzo, ripreso da Donatella Stasio sul Sole 24 Ore dello stesso giorno), si apprende che il PD vorrebbe “spezzare il tabù dell’obbligatorietà dell’azione penale”. Come? Generalizzando su tutto il territorio nazionale la problematica prassi – già oggi seguita in alcune Procure – dei cosiddetti “criteri di priorità”.
Applicando questa prassi, le notizie di reato non si perseguono tutte e subito (perché questo in realtà non sarebbe possibile) ma secondo criteri di priorità temporale stabiliti in anticipo dagli stessi pm. Ad esempio, prima si perseguono i delitti contro l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, e solo dopo quelli contro la pubblica amministrazione (corruzione ecc.). Oppure, se i criteri sono diversi, si rovesciano le priorità e prima si combatte la corruzione.
Si dice che sia un modo per utilizzare al meglio le risorse degli uffici di procura, al di là dell’ipocrisia cui obbliga il principio dell’obbligatorietà. Si dice anche che così si farebbe in modo trasparente ciò che altrimenti rischia di esser fatto comunque, senza che però se ne conoscano le ragioni. Ammesso che sia così, è una prassi che presenta gravi rischi.
Primo: nessuno sa bene quale sia il confine tra lo stabilire criteri di priorità nell’esercizio pur sempre obbligatorio dell’azione penale e il prevedere un vero e proprio principio di discrezionalità dell’azione penale stessa. Certo, un conto è perseguire un reato prima dell’altro, con l’idea comunque di perseguirli tutti, e un altro è decidere consapevolmente di perseguire solo alcuni reati e non altri. Ma il confine è molto labile e, alla fine, anche la scelta di “perseguire prima” rischia di condurre verso una sostanziale discrezionalità, in violazione dell’articolo 112 della nostra Costituzione.
Secondo: sia l’identificazione di criteri di priorità (anche nell’esercizio pur sempre obbligatorio dell’azione penale) che la scelta dei reati da perseguire nell’ambito di un’azione penale facoltativa, sono decisioni dense di significato politico, nel senso che dipendono da evidentissime opzioni di politica criminale e giudiziaria.
Non è pensabile che esse siano compiute liberamente da uffici di Procura, composti da magistrati politicamente irresponsabili. E non è pensabile che esse risultino diverse sul territorio nazionale, a seconda della competenza della Procura, perché ciò condurrebbe a una palese violazione del principio dell’eguale soggezione dei cittadini alla legge penale, tutelato dalla Costituzione.
Ecco allora la pensata del PD, di cui fornisce i dettagli il responsabile giustizia del partito, Tenaglia (li traggo dal Sole 24 Ore): è indispensabile che vi sia uniformità nell’azione delle procure sul territorio nazionale, per cui ci vuole la centralizzazione nella scelta dei criteri di priorità. Ci sono due possibilità, spiega Tenaglia: “o il CSM, passando per i capi delle Procure, indica al Parlamento i criteri da seguire e il Parlamento ne prende atto, oppure è quest’ultimo che fissa le priorità e il CSM le applica sul piano organizzativo. Io propendo per la prima soluzione”.
Non avete capito male, è proprio così. Il PD propende per la soluzione seguente: le procure italiane, in dialogo con il CSM, concordano quali reati vadano perseguiti per primi, e poi il Parlamento “prende atto” di questa decisione!
Conclusione: nell’Italia veltroniana le procure non verrebbero dotate dei mezzi per fare tutte le indagini necessarie in base alle notizie di reato. Al contrario: i pm delle varie procure si metterebbero d’accordo, in seno al CSM, su quali reati andrebbero perseguiti per primi. Chicca finale, il legislatore democraticamente eletto, che in base alla Costituzione dovrebbe decidere con legge le fattispecie di reato, sarebbe invece chiamato a “prendere atto” della volontà delle procure e del CSM.
Sarebbe la vera Repubblica delle procure: semplicemente inaccettabile.
(A.C. Valdera)