Il Nuovo Arengario 23 Marzo 2020
di Piero Nicola
Il Piano Marshall resta nella mente, di chi ne abbia un’idea per età veneranda o per istruzione ricevuta, come un beneficio largito dall’America, che dopo la guerra avrebbe risollevato, in particolare noi italiani, dalla miseria e dal bisogno di ricostruzione.
La propaganda e la scuola hanno inculcato tale preconcetto, sicché pochi conoscono la realtà di quell’”invio di aiuti”, che fu in effetti un forzato accordo economico tra gli USA e gli Stati europei, esclusi quelli compresi nella sfera sovietica.
Tuttora, consultando Wikipedia o l’Enciclopedia Treccani, si riporta la stessa cognizione favorevole allo Zio Sam, autore del Piano per la ripresa europea (ERP), che George Marshall, Segretario di Stato del presidente Truman, annunciò ad Harvard nel 1947 e che, divenuto operativo nel 1948, ebbe efficacia sino al 1951.
La suddetta frequentatissima fonte internazionale di notizie in rete ci informa, senza entrare in particolari invece importantissimi, che per l’attuazione del Piano “nacque”, voluta dagli USA, l’OCEE (Organizzazione per la Cooperazione Economica in Europa) e entrò in funzione l’ECA (Economic Cooperation Administration), agenzia per la collocazione degli aiuti. L’ERP, si dice, fornì i finanziamenti per l’acquisto di beni, e si procurarono visite di economisti in Europa e in America con proficui scambi e aggiornamenti.
“Il Piano Marshall consentì all’economia europea di superare un momento di indubbia crisi e favorì la ripresa già nel 1948”. Tra i risultati positivi: “libera impresa”, “spirito imprenditoriale”, “ricupero dell’efficienza”, “esperienza tecnica”, “tutela della concorrenza”.
Risuona l’eco degli slogan che esaltarono e continuano ad esaltare il liberismo, necessario agli interessi americani. La Treccani non aggiunge niente di più, niente sottrae alla cristallizzazione del pregiudizio. “Strategia effettiva per promuovere la ripresa economica in Europa”.
“Risultati positivi nel rilancio dell’iniziativa imprenditoriale, consolidamento della concorrenza, apertura commerciale, promozione dell’integrazione tra economie europee”. Quando gli europei non avevano niente da imparare! Molti di loro resistettero all’accordo inizialmente proposto, e finirono con l’accettare un arrangiamento sfavorevole, essendo in pratica ricattati, in quanto le derrate e le materie prime che loro abbisognavano, avrebbero comunque dovuto acquistarle Oltre Atlantico e a prezzi maggiorati; senza contare il vincolo politico-militare nel contempo instaurato con l’occupazione degli Stati sconfitti e con le alleanze, che stavano trasformandosi per tutti nel Patto Atlantico (la NATO, 1949).
Insomma il più forte fece valere la sua supremazia, un’egemonia che dura tuttora con esiti nefasti. Passando per l’eliminazione del potere statale sull’industria (privatizzazioni), per l’invadenza delle multinazionali, per la creazione di organi di potere economico-finanziario europei sovranazionali, dipendenti dalla grande finanza extraeuropea e troppo indipendenti dagli stati, si è giunti ai patti di Maastricht e di Lisbona, all’Euro e ad altri vincoli e imposizioni di leggi umanitarie, che causano degenerazione sociale, culturale, economica.
Ma vediamo in che cosa l’ERP consistette. Anzitutto gli aiuti furono un prestito, con interessi, per l’acquisto di derrate alimentari, materie prime e macchinari americani, a condizione che le merci ottenute fossero impiegate secondo i principi dell’Accordo, cioè del capitalismo liberistico: sforzo produttivo, espansione del commercio estero, stabilità finanziaria, cooperazione economica, equi tassi di scambio, progressiva eliminazione delle barriere commerciali.
Per esempio, Monia Benini spiega che cosa avvenne. Comincia col riportare un brano del famoso discorso di Marshall: “I bisogni dell’Europa per i prossimi 3 o 4 anni (cibo, materie prime, carburanti) sono molto più grandi rispetto alla capacità di acquisto e importazione da parte di questa zona, specie dagli Stati Uniti, e serve quindi un grande sforzo affinché non ci sia un totale deterioramento economico, sociale e politico. Il rimedio sta nel rompere il circolo vizioso e nel ripristinare la fiducia degli europei nella ripresa economica futura”.
E l’autrice osserva che potrebbe essere un discorso tenuto oggi. Il Piano fornì una piccola percentuale di aiuti a fondo perduto. I prestiti, a interesse e a lungo termine, furono destinati al pagamento degli acquisti fatti negli USA. Nel 1969 l’Irlanda aveva, per questo, ancora un debito di 31 milioni di sterline. (Alcune assegnazioni, in milioni di dollari, periodo ’48-’51: GB, 3297. Francia, 2296. Germania, 1448. Italia, 1204 – totale europeo, 12.731).
Dopo la guerra le nazioni europee avevano pochissima valuta estera per le importazioni e occorreva quella pregiata. “Il piano Marshall (attivo dal 1948 al 1951) rappresentò l’unico modo per poter ottenere in prestito quanto bastava per acquistare i beni di cui c’era bisogno dagli Stati Uniti, che poterono affermare una posizione di predominio in larga parte dell’Europa”.
Il sottosegretario statunitense per gli affari economici promosse l’iniziativa dicendo: “Ammettiamolo apertamente che abbiamo bisogno di mercati, grandi mercati, nei quali vendere e comprare”; propagandò il Piano come il trionfo della “libera impresa”; agitando lo spauracchio del comunismo che minacciava l’Europa, dichiarò: “La situazione che affronteremmo in questo [nostro] paese sarebbe molto grave, dovremmo riordinare e riadattare la nostra intera economia in questo paese se perdessimo il mercato europeo”.
Il presidente Truman dispose l’istituzione dell’ECA per distribuire gli aiuti, ufficio “composto dei vertici dei maggiori interessi industrial-corporativi, che beneficiarono del Piano”. E questo “giocò un ruolo fondamentale per la fondazione della Comunità Economica Europea, la CEE”, tramite la contemporaneamente costituita OCEE (vedi sopra).
La OCEE aveva il compito di distribuire i prestiti statunitensi, mentre l’agenzia ECA provvedeva alla vendita delle merci, pagate in dollari. “Più chiaramente, nel 1950 la OCEE fornì la cornice per le negoziazioni delle condizioni per l’area di libero commercio europeo e per istituire la CEE”. Ma già nel 1951 si firmava a Parigi il trattato della CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), che entrò in vigore il 23 luglio 1952.
“Seguendo i vari passaggi di questi presunti aiuti – in realtà prestiti – del Piano Marshall, risulta ancora più evidente il peccato originale di questa Europa, nata non solo sul pilastro essenziale degli scambi economici, ma anche per soddisfare le esigenze del mercato e degli interessi delle corporations statunitensi”.
“Ancora oggi il meccanismo è lo stesso. La Grecia ce lo dimostra apertamente, con ciò che la Troika spaccia per aiuti: sono debiti pesantissimi da ripagare per finanziamenti concessi prevalentemente da grandi gruppi bancari. E per ottenere questi aiuti ha dovuto cedere di tutto, e proprio alle grandi lobby internazionali: dalla gestione del sistema idrico, all’industria mineraria, a quella petrolifera, per non parlare di porti, aeroporti, infrastrutture, persino il sistema di difesa ellenico”.
La soluzione alternativa per i paesi vincolati all’euro, dovrebbe essere quella di “creare una nuova rete di rapporti commerciali e geopolitici” con paesi al di fuori dell’area controllata dalla grande finanza situata negli USA. “E soprattutto quando sentiamo parlare di aiuti dalla Banca Centrale Europea o dal Fondo Monetario internazionale non rincorriamo le sirene che ci spingono ad impiccarci con nuovi debiti. Si abbia il coraggio di guardare cosa c’è nella pancia del Cavallo di Troia e di gridare: ‘No grazie! Non vogliamo essere aiutati!’”
Altre fonti riportano la stessa storia. “L’invio delle merci [del Piano Marshall] seguiva un complesso iter. Una volta che queste venivano assegnate, vi era l’obbligo per il paese assistito di pagarle, sebbene ne avrebbe beneficiato soltanto in un secondo tempo. C’era inoltre una sensibile disparità tra le allocations (proposta di aiuti) e quanto veniva effettivamente stanziato (shipments). Chi si rifà alla propaganda fa riferimento alle allocations. Tuttavia le shipments totali ammontavano a 10,4 miliardi di dollari nel giugno 1951, per arrivare a 11,4 miliardi di dollari nel giugno 1952, quando ci furono gli ultimi arrivi”.
“Il processo di integrazione europea, che prende avvio ufficialmente con la fondazione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), va inserito anch’esso nel contesto storico e geo-politico del dopoguerra, rivelandosi così come un tassello fondamentale di quell’operazione volta a legare in modo indissolubile gli Stati europei agli USA, attraverso rapporti di natura neo-coloniale in tutti gli ambiti: politico, economico, culturale, militare”.
“Prendiamo appunto la fondazione della CECA negli anni Cinquanta. Salutato come un accordo teso a superare divisioni e contenziosi in Europa, in realtà nacque sotto supervisione USA al fine della produzione di armamenti destinati alla NATO. Carbone ed acciaio, infatti, erano e tuttora sono materie prime indispensabili per la produzione bellica. In nome della “pace” e della “sicurezza” del Continente si operò quindi sotto traccia, in direzione di una stretta dipendenza dai centri politici statunitensi”.