(titolo redazionale)
Articolo pubblicato su Studi cattolici dell’aprile 1998
Per meglio capire che cosa sia l’islàm alla fine del ventesimo secolo, il giornalista polacco Romanowski ha intervistato Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e professore di islamologia all’università di Beirut, il quale dal 1975 al 1986 ha insegnato presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma.
In un libro molto discusso e di notevole successo, “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, il politologo americano Huntington delinea un possibile scenario di conflitto fra mondo islamico e Occidente, segnalandone i fattori di attrito che ne sarebbero all’origine, tra i quali: l’islamizzazione della politica e della cultura nella maggior parte dei Paesi musulmani, la crescita dell’intolleranza verso le comunità non di fede maomettana, la violenza organizzata di sétte estremistiche, la pressione demografica delle popolazioni musulmane e l’emigrazione verso i Paesi occidentali. Per meglio capire che cosa sia l’islàm alla fine del ventesimo secolo, il giornalista polacco Romanowski ha intervistato Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e professore di islamologia all’università di Beirut, il quale dal 1975 al 1986 ha insegnato presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma.
P. Samir, all’inizio di questo secolo i cristiani nei Paesi musulmani del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale erano circa il 25% della popolazione; oggi questo numero è sceso al 7%. Perché i cristiani nei Paesi islamici stanno scomparendo?
I motivi della diminuzione dei cristiani nei Paesi islamici sono vari. I musulmani si moltiplicano più dei cristiani anzitutto per motivi demografici. Il primo è la poligamia, che era assai diffusa in ambiente rurale. Il secondo è quello igienico: fino a cinquant’anni fa, cioè prima della diffusione degli antibiotici, la mortalità infantile era molto più diffusa fra le popolazioni musulmane che nelle popolazioni cristiane (essendo i cristiani spesso più educati); questo handicap dei musulmani è felicemente scomparso oggigiorno. Il terzo è dato dal fatto che i cristiani hanno una concezione della famiglia che dà più importanza all’educazione della prole, e li spinge ad un autocontrollo delle nascite. Le famiglie cristiane, solitamente di più alto livello culturale, hanno mediamente 3-4 figli, contro gli 8-10 delle famiglie musulmane.
C’è poi una motivazione socio-culturale, ed è la più importante: il cristiano non gode, nel mondo musulmano, della parità con gli altri e della libertà come è intesa oggi. Vorrei spiegare questo partendo dal Corano. La posizione del cristiano nel mondo islamico è contemplata dal Corano e dalla successiva tradizione. Il cristiano è una persona che deve pagare imposte particolari, e che, essendo tollerato nella comunità musulmana, rimane sempre in una posizione di subalternità. Il Corano (sura IX, versetto 29), usa l’espressione “umiliazione” (wa-hum saghirun). L’interpretazione di questa parola dipendeva dai califfi: una volta i cristiani erano obbligati a cedere il passo ai musulmani, altra volta non era loro permesso di usare il cavallo (dovevano usare il mulo).
In ogni caso, il Corano dà la possibilità di “umiliare” i cristiani. Se un fanatico, un capo villaggio, un uomo politico, vuole colpire i cristiani, può sempre farlo. Prendiamo alcuni esempi dal’Egitto: se si costruisce una chiesa, essa non può essere più alta della moschea; i cristiani non possono utilizzare nelle chiese altoparlanti, mentre tutte le moschee li utilizzano; non si può portare la croce in luogo pubblico; ai cristiani è severamente proibito far conoscere la loro religione, mentre essi stessi sono oggetto di forte islamizzazione, ed altri divieti ancora.
Negli ultimi anni si nota una violenta campagna di persecuzione contro i cristiani nei Paesi abitati dai musulmani: i fedeli vengono uccisi e le chiese sono date alle fiamme. Che cosa sta succedendo oggi nel mondo islamico?
Per capire che cos’è l’islàm bisogna cominciare dall’inizio, cioè dal progetto di Maometto volto ad unificare tutte le tribù arabe sotto la guida di una sola persona e a creare un impero arabo nella penisola arabica. Questo progetto era l¹aspirazione della tribù dei Coreisciti, cui apparteneva Maometto. E Maometto, in modo geniale, è riuscito a realizzarlo.Maometto attua il suo progetto a Medina, dove è fuggito da La Mecca nel 622. La gente lo accoglie come una persona capace di organizzare la città per far meglio fronte a La Mecca, la città rivale.
All’inizio l’attività di Maometto ha carattere amministrativo e politico: stipula un patto con le tre ricche tribù ebraiche presenti a Medina, ma poi le espelle e comincia piccole guerre (in dieci anni condusse quaranta guerre, secondo la prima e più famosa sua biografia, quella di Ibn Hisciàm), amministra la città istituendo un sistema politico, giuridico e fiscale-amministrativo. Il suo grande progetto politico include anche la religione, la fede in un Dio unico. Sul piano religioso recupera tutto quello che può: le antiche tradizioni arabe, la tradizione di Abramo, di Ismaele, elementi di ebraismo e cristianesimo. Dal paganesimo arabo provengono i riti del pellegrinaggio a La Mecca che verranno islamizzati.
L’islàm non è dunque solo la fede in un unico Dio e la preghiera: possono pensarla così solo quanti ignorano l’islàm e proiettano su di esso la propria mentalità cristiana. L’islàm è una totalità socio-politica, culturale e religiosa. Lo stesso si può dire della moschea: non è una chiesa musulmana, non è solo un luogo di preghiera, ma anche di studio e di dibattiti politici. Purtroppo, la maggior parte dei cristiani paragona l’islàm al Cristianesimo, pensando che l’islàm sia una versione araba del Cristianesimo, leggermente diverso da esso. I cristiani lo fanno con intenzioni buone, convinti che così comportandosi siano più vicini allo spirito del Vangelo. Invece pensare in tal maniera è da ingenui. Perché la prima regola del dialogo è rispettare gli altri nelle loro diversità, e considerarli per quello che sono, senza pretendere che tutte le religioni siano simili o abbiano lo stesso scopo.
Pertanto, un musulmano va visto come membro del suo movimento socio-politico-cultural-religioso. Se qualcuno si converte all’islàm, compie non solo un gesto religioso, ma anche una scelta politica, sociale, culturale, giuridica. Per esempio, i croati sono chiamati tali secondo un criterio etnico, e i serbi pure; invece, un croato o un serbo che si è convertito all’islàm viene chiamato “musulmano”, come se perdesse la sua origine etnica. Voglio ripetere ancora che l’islàm è un progetto politico che include la religione (come, in senso contrario, il comunismo era un progetto politico che escludeva la religione). L’islàm è un sistema integrale che può facilmente scivolare verso il totalitarismo, perché lo scopo dell’uomo politico musulmano, anzi il suo dovere, è di sostenere la religione musulmana.
In tutti i Paesi del mondo dove i musulmani diventano maggioranza – Bosnia, Cecenia, regioni occidentali della Cina, certe zone delle Filippine- essi chiedono l’indipendenza politica. A loro non basta la libertà religiosa, proprio perché lo scopo ultimo dell’islàm è una società integralmente basata su determinate visioni politiche. Dietro la religione c¹è anche un progetto politico. Altri esempi. Il corso di religione per i musulmani in Germania include quasi sempre l’insegnamento della lingua e delle usanze turche, mentre in Francia, quando si insegna l’islàm, si insegnano anche la lingua araba e le usanze nord-africane. In tal maniera, i governi europei pagano professori che insegnano non solo una religione, ma anche lingue o culture che non hanno niente a che vedere con al cultura tedesca o francese.
E’ questo, per noi cristiani, il grande problema: essendo l’islàm società, cultura e religione, come vivere in un sistema musulmano che ha come fine l’islamizzazione di tutti gli aspetti della vita della società? Adduco qualche esempio. Già prima dell’alba, gli altoparlanti delle moschee svegliano tutti per la preghiera, proclamando che “la preghiera vale più del sonno”. La radio deve interrompere i programmi e i notiziari per trasmettere le preghiere musulmane.
A scuola, l’islàm è materia obbligatoria anche per i non musulmani. Anche nelle scuole private cattoliche, prima di cominciare le lezioni, si deve leggere e commentare qualche brano del Corano. La radio diffonde tutta la giornata passi coranici. La televisione è sempre più islamizzata nei programmi. I film sono spesso ispirati alla storia musulmana, e talvolta hanno finalità chiaramente apologetiche.
Anche nelle minime cose l’islàm interferisce. Per esempio, un cristiano in Egitto non può allevare un maiale, perché ciò può dare fastidio a qualche musulmano. In questo modo chi vive in Egitto deve agire da musulmano, altrimenti viene escluso dalla società. Un cristiano non si accorge nemmeno quando si comporta da musulmano. Come possiamo meravigliarci, allora, che, in questo clima di oppressione e di strangolamento, i copti egiziani diventino musulmani a migliaia ogni anno, oppure emigrino?
Cresce anche il fenomeno dei matrimoni misti. La ragazza cristiana che sposa un musulmano ha teoricamente il diritto di rimanere cristiana. In pratica diventa però impossibile, perché non erediterebbe e i figli sarebbero comunque legalmente musulmani, anche se battezzati. Se inoltre capita un divorzio, i figli sono automaticamente affidati alla “parte migliore”, come dice la legge, cioè a quella musulmana.
Al contrario, l’islàm non consente per legge l’unione tra una musulmana e un cristiano. Il motivo è politico. Il matrimonio non è un affare d’amore, è un progetto di società, di vita, serve anche ad aumentare il numero dei credenti. Capo di questa società familiare è l’uomo. Una donna musulmana non può sposare un cristiano, perché i figli sarebbero cristiani, salvo che il cristiano non si converta all’islàm. Il caso contrario è impossibile: un musulmano che si converte al cristianesimo o all’ebraismo deve essere ucciso, in quanto apostata.