Intervista al prof. Corrado Gnerre, docente di Storia delle Dottrine teologiche all’UER
di Luca Marcolivio
Qual è la cultura che fa da sfondo alla nascita dell’arte presepiale?
Prof. Gnerre: Il presepe è strettamente legato alla peculiarità del cristianesimo ed, in particolare, al mistero dell’incarnazione, realtà storica umanamente inimmaginabile, attraverso la quale Dio non appare come uomo ma si fa davvero uomo. Il cristianesimo, quindi, non è affatto una religione spiritualista ma, al contrario, pone attenzione alla carnalità e alla concretezza dei segni. San Bernardo di Chiaravalle affermava che, essendo noi carnali, il Signore fa sì che il nostro essere si manifesti anche nelle cose.
Il Medioevo, epoca in cui nasce l’arte presepiale, si caratterizza per una spiccata cultura del segno e della carnalità: si pensi al culto delle reliquie. Anche nelle crociate, fenomeno storicamente assai complesso, c’è un elemento di simbologia concreta e di carnalità: l’impossibilità di accedere al Santo Sepolcro di Nostro Signore, aveva indotto i cristiani di quel tempo a battersi per il recupero di quel simbolo sacro ma, al tempo stesso tangibile e concreto.
Con riguardo al presepe è noto che la prima rappresentazione della Natività fu realizzata da San Francesco a Greccio, nel 1223. Un confratello domandò a San Francesco se fosse giusto rispettare l’astinenza dalle carni, visto che quell’anno il 25 dicembre cadeva di venerdì. La risposta del santo patrono d’Italia fu inequivocabile: “Oggi anche i muri devono mangiare carne, vanno spalmati di carne…”.
La cultura secolarizzata tende a svalutare l’arte presepiale. A cosa è dovuto ciò?
Prof. Gnerre: È un fenomeno tipico della mentalità protestante che rifiuta sia la rappresentazione simbolica del sacro che la devozione mariana. La Vergine Maria è protagonista irrinunciabile del presepe. In fin dei conti il cattolicesimo, articolandosi sul culto mariana, è in armonia con la psicologia femminile che attribuisce importanza al valore dei segni e dei simboli concreti, laddove la mentalità maschile è più portata all’astrazione
Per quale motivo, anche ai giorni nostri, è utile valorizzare il presepe?
Prof. Gnerre: In primo luogo perché l’arte presepiale è segno di un’identità culturale che va manifestata pubblicamente: il cristianesimo non è fatto per rimanere confinato nell’intimo della nostra coscienza. La mentalità secolare di oggi tende, al contrario, a cancellare la valenza pubblica dell’esperienza cristiana e a trasformare il cristianesimo in un mito.
In secondo luogo il presepe può aiutare a recuperare l’essenza stessa della teologia cattolica, ovvero la teologia dello sguardo. Guardare un oggetto significa porre la propria intelligenza a confronto con la realtà che osserviamo. Lo sguardo aiuta a conoscere la realtà senza avere la pretesa di comprenderla integralmente, conservando l’elemento dello stupore, tipico della fanciullezza.
Non a caso Gesù dice: “Se non tornerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli (Mt 18, 3)”. Guardare, quindi, non significa constatare freddamente. Tutto può essere conosciuto ma non tutto può essere compreso: gli stessi misteri della fede ci spingono a indagare sulla loro ragionevolezza ma non possiamo esigere di comprenderli fino in fondo. L’approccio alla Verità non può ridursi alla dimensione intellettuale: Dio non ci giudicherà in base alla nostra conoscenza, quanto all’apertura del nostro cuore al mistero.
La teologia dello sguardo, cui ho fatto accenno, ha ispirato i grandi dottori della Chiesa che vivevano la loro ricerca intellettuale in simbiosi con la preghiera. Penso a San Tommaso d’Aquino che studiava davanti al Santissimo Sacramento e, qualora incontrasse difficoltà di comprensione o riflessione, rivolgeva lo sguardo, verso il tabernacolo.
Come si manifesta la teologia dello sguardo nell’arte presepiale?
Prof. Gnerre: Teologicamente è più importante l’incarnazione, tuttavia con la sua nascita il Signore ha potuto rivelarsi e farsi guardare. Non è un caso che tutti i personaggi del presepe hanno lo sguardo rivolto al Bambino Gesù. Dallo sguardo scaturisce la dimensione della sequela, ovvero il legame intimo con Cristo: credere in Lui è dimensione necessaria ma non sufficiente, dobbiamo convivere con Lui. La riproduzione plastica del presepe, pertanto, non è la semplice rievocazione della Natività, ma la celebrazione della continua novità del nostro innesto in Lui (“Io sono la vite, voi i tralci”, Gv 15, 5).
Quindi ogni personaggio ha una sua dignità e una sua importanza nell’economia della rappresentazione presepiale.
Prof. Gnerre: Certamente. La composizione del presepe richiede una grandissima attenzione ai particolari. Chi lo osserva deve calarsi nella realtà concreta della Natività, immaginare l’odore della paglia, il vagito di Gesù Bambino, ecc. Il Dio cristiano, infatti, è il Dio del particolare, in quanto non ci ama astrattamente ma presi nella nostra singolarità. Dio, Signore dell’Universo, crea e ama ogni singola creatura facendone il proprio universo. Questa teologia del particolare è legata al paradosso di un Dio bambino.
In che misura il presepe può diventare uno strumento di dialogo interreligioso e di apostolato in una società multirazziale e multiculturale?
Prof. Gnerre: La società multirazziale è un dato di fatto, mentre la società multiculturale è pericolosa in quanto preludio e sintomo di relativismo. Pertanto, valorizzare l’arte presepiale può aiutare a recuperare l’affezione verso la nostra cultura e a rafforzare la nostra identità, evitando che la società multirazziale degeneri in società multiculturale.