La Croce quotidiano 16 luglio 2016
Di Don Sturzo è universalmente noto l’impegno politico teorico, da cui è sgorgato il vasto e variegato fiume dell’esperienza popolare. È forse meno noto che il sacerdote e statista siciliano abbia pure avuto modo di esercitare attivamente il suo genio politico: negli anni in cui fu pro-sindaco a Caltagirone numerose opere pubbliche furono realizzate, e tra queste va segnalata la rete di illuminazione elettrica. Francesco Failla lo racconta in un recente saggio per le EDB
di Giuseppe Brienza
Costruzione di edifici e scuole, sistemazione di strade e piazze pubbliche, allacciamento di rete elettrica, idrica e fognaria, lotta all’analfabetismo: queste sono solo alcune delle opere pubbliche, urbanistiche e sociali realizzate a Caltagirone da don Luigi Sturzo (1871-1959), negli anni in cui fu “pro-sindaco” di questo bellissimo e antico Comune (1906-1920). Un’idea dell’avanguardia amministrativa del sacerdote e statista siciliano è testimoniata però dalla sua ferma determinazione nel portare la luce elettrica nella cittadina, migliorandone così la qualità della vita, la sicurezza e la produttività di tutte le attività economiche.
Già nel 1906, a un solo anno dalla sua elezione, don Sturzo riuscì a rendere esecutivo un progetto che si trascinava da molto tempo, con un susseguirsi di bandi, richieste di pareri, annullamenti, ricorsi, accuse di illiceità e peculato. Nominò, infatti, commissioni con esperti di fama nazionale, partecipando personalmente alle riunioni per garantirne celerità ed efficacia. Ottenne così, nel 1907, di concludere un contratto di fornitura per la rete elettrica locale con la società milanese Lahmeyer.
Nel luogo in cui sorgeva un monastero di clarisse, in pieno centro cittadino, realizzò quindi le Officine Elettriche, la cui gestione venne concessa in appalto, trasformando i costi in investimenti, e rendendo le tariffe accessibili a tutti. Un avanzato modello di efficienza amministrativa nella Sicilia del primo ’900, afferma Francesco Failla in I lampioni di Caltagirone. Don Luigi Sturzo e la luce elettrica in Sicilia (EDB, Bologna 2016, pp. 112 – € 9), che testimonia della profonda convinzione, nell’allora pro-sindaco, che «la qualità della vita, il miglioramento dei servizi, la valorizzazione delle risorse locali che riguardavano l’artigianato ceramico, la modernizzazione e la razionalizzazione dell’agricoltura, l’alfabetizzazione delle masse, erano obiettivi da perseguire attraverso una precisa strategia fondata sulla promozione sociale e culturale prima ancora che con investimenti economici» (p. 21).
Failla, che è direttore della Biblioteca diocesana “Pio XI” di Caltagirone e vice presidente nazionale dell’Associazione dei bibliotecari ecclesiastici italiani, sintetizza nell’Introduzione (pp. 7-10) l’interessante storia contemporanea di questa particolare città che, a partire dal 1816, è inclusa nella nuova diocesi di Caltagirone, comprendente oggi 15 comuni, allora eretta con la bolla papale “Romanus pontifex” di papa Pio VII.
Nel primo capitolo intitolato “La famiglia Sturzo” (pp. 11-23), colpisce la figura del padre del sacerdote, Felice, descritto quale «uomo di convinzioni e di sentimenti profondamente cristiani, alimentati ogni giorno dalla messa e dalla meditazione dell’Imitazione di Cristo». Impegnato attivamente in varie opere cattoliche, Sturzo senior «fu accanto al figlio Luigi quando questi, nel 1897, fondò la Cassa rurale San Giacomo» (p. 12).
Failla, che in passato ha già curato ricerche e pubblicazioni sulla vita e il pensiero di don Sturzo, tra cui “Don Luigi Sturzo apostolo della carità politica” (con G. Federico e U. Pedi, Città Nuova 2012), si sofferma quindi sull’esperienza romana di Don Sturzo, che gli «dà la possibilità di entrare in contatto con Romolo Murri, Giuseppe Toniolo, Giacomo Radini Tedeschi e tanti altri sacerdoti e laici profondamente impegnati a dare un nuovo volto ai cattolici italiani desiderosi di impegnarsi attivamente nell’azione sociale, nelle lotte per i diritti dei lavoratori» (p. 18).
Nel solco delle grandi e feconde conseguenze dell’enciclica di papa Leone XIII “Rerum Novarum” (1891), che rappresentò per i cattolici dell’epoca l’autorevole fondamento all’aspirazione verso un rinnovato impegno sociale e politico, finalmente protagonista e capace d’interpretare i reali bisogni della società, Luigi Sturzo si candidò per la prima volta, all’età di 28 anni, al consiglio comunale di Caltagirone.
Il comitato elettorale che lo sostenne approvò la sua candidatura abbandonando quel principio di astensionismo nelle elezioni amministrative che aveva caratterizzato fino ad allora i credenti italiani, in quanto «ancora in vigore il “non expedit”, pronunciato dall’autorità ecclesiastica in occasione delle prime elezioni politiche del Regno d’Italia, che suggeriva di considerare come “né opportuno né sfavorevole” l’esercizio del voto» (p. 25).
Si trattava, in fondo, scrive Failla nel secondo capitolo che ricostruisce dettagliatamente le vicende delle “Elezioni del 1899” (pp. 25-36), di una reazione della Chiesa al mancato riconoscimento, da parte del neo-nato “Regno d’Italia”, di una sia pur minima porzione di sovranità territoriale allo Stato pontificio.
Nella descrizione specifica del progetto di elettrificazione di Caltagirone (v. i capp. 3, “Dal petrolio alla luce elettrica”, pp. 37-47 e 4, “Illuminare il popolo”, pp. 49-57), l’Autore evidenzia, al di là della singola e pur complessa opera pubblica, l’approccio completamente diverso dal passato che mette in campo Don Sturzo, fondato «sui concetti di responsabilità, innovazione e concretezza. Un modo nuovo di pensare e agire politicamente che sarebbe diventato modello identitario per i cattolici e allo stesso tempo criterio di azione, ben lontano dai personalismi e dall’approssimazione su cui la politica locale aveva fino ad allora pascolato» (p. 46).
Come succede spesso in Italia, però, le grandi realizzazioni sono sempre soggette a burocratizzazione, allungamenti inutili dei tempi, irrigidimenti e, infine, i puntuali tentativi o pratiche di corruzione. È quanto descritto nel cap. 5 del libro, intitolato “Lo scandalo” (pp. 59-72), che dà conto delle dimissioni, fra gli altri, proprio dell’assessore Nicolò La Rosa, delegato per la luce elettrica, a seguito delle polemiche politiche e delle campagne giornalistiche ingenerate dalla stampa.
«Era evidente che vi erano stati tentativi di corruzione e versamento di tangenti a favore di componenti della giunta – annota Failla -, la quale insisteva esageratamente per chiudere la vicenda a favore della Siemens nel più breve tempo possibile. La minoranza cattolica in consiglio sosteneva la necessità di istituire una commissione in grado di valutare nuovamente i progetti presentati; occorreva
capire soprattutto perché la stessa maggioranza si era spaccata sul progetto della Siemens che aveva inizialmente sostenuto. Per questo aveva votato contro. Il 13 giugno 1905 l’intera giunta rassegna le dimissioni e la città viene ancora una volta commissariata» (pp. 69-70).
I tentativi fatti in questo frangente da Sturzo per sostenere la “governabilità” della città si rivelarono vani, anche se la sua autorevolezza e stima nella cittadinanza non faceva che crescere. Nel dicembre 1905 si tennero le nuove consultazioni elettorali e, per i cattolici calatini, successo totale. Fu per questo che, nel febbraio del 1906, il vescovo della diocesi di Caltagirone monsignor Damaso Pio De Bono, si rivolse al cardinale Rafael Merry del Val, segretario di Stato di papa Pio X, chiedendo di concedere a don Sturzo la facoltà di assumere il governo della città di Caltagirone.
Non essendo tenuto con l’incarico di prosindaco a prestare giuramento al governo regio, usurpatore con le espropriazioni risorgimentali dei diritti della Chiesa, come invece previsto invece per i sindaci effettivi, al giovane sacerdote fu concessa la “licenza” e, in quello stesso anno, gli fu possibile essere nominato prosindaco, mantenendo l’incarico per quasi quindi anni (fino al 1920). E non solo, come osserva Failla (cfr. “Sturzo prosindaco”, pp. 73-84), da questa stagione, nel 1919, fruttificò come noto la fondazione del Partito popolare italiano e quel famoso “Appello ai liberi e forti”, manifesto dell’azione politica cristianamente ispirata che, ancora oggi, ci parla e ispira.
* * *
Don Luigi Sturzo
A cura di G.B.
Don Luigi Sturzo (1871-1959), come noto, esiliato durante il fascismo (1922-1943), una volta rientrato in patria nel 1946 dal lungo periodo all’estero, svolse un’intensa campagna personale nella costruzione della “Prima Repubblica” per il rinnovamento e la moralizzazione della vita politica, in opposizione alla nascente “partitocrazia” ed agli “intrecci” fra partiti e industrie di Stato. Il sacerdote e pensatore politico di Caltagirone condivideva con pochi illuminati pensatori, ecclesiastici e politici di allora quella concezione di “Stato di diritto” che, come scrisse, «[…] fu un enorme progresso nella struttura etica del potere pubblico, con il tentativo di ancorare l’esercizio dell’autorità sul diritto e regolarne l’arbitrio. Riuscire, in questo e in tutte le materie della moralizzazione della vita pubblica, non è facile; ma si era imboccata la via maestra» (L. Sturzo, Politica e moralità, in Civiltà Italica. Mensile di studi politici economici sociali, anno I, n. 2 – 1° settembre 1950, p. 92).
Anche in questa luce costituisce un errore considerare fatto isolato ed estemporaneo il suo tentativo di creare un fronte unitario in funzione anti-comunista tra destre e “partito cattolico” a Roma, in occasione delle elezioni amministrative del 25 maggio 1952 (fallito a causa dell’opposizione della Democrazia Cristiana).