Il termine sussidiarietà deriva dal latino subsidium e nella terminologia militare romana stava ad indicare le truppe di riserva che rimanevano dietro al fronte, pronte a intervenire in aiuto alle coorti che combattevano nella prima acies.
In relazione alla sua applicazione sociale, i primi cenni di una riflessione su un principio analogo sono già presenti nel pensiero aristotelico e vengono poi ripresi e rielaborati da San Tommaso come elemento di una netta concezione del bene comune, come risultato di una pluralità di apporti in un contesto comunitario, solidaristico e non conflittuale, all’interno del quale alla personalità umana è offerta la possibilità di svilupparsi.
In prima luce nella costruzione del bene comune era quindi posto il soggetto umano, considerato però bisognoso di un subsidium: le formazioni sociali, i gruppi e in subordine il pubblico potere, che risulta così al contempo utile e limitato.
Sempre sulla scorta detta tradizione comunitaristica medioevale, il principio di sussidiarietà verrà ripreso nella concezione malthusiana del contratto sociale come strumento per trasferire ai governanti non un potere illimitato, ma solo la quantità di potere strettamente necessaria al soddisfacimento dei bisogni dei consociati. Questa tradizione di pensiero non ha, tuttavia, costituito la corrente principale della filosofia politica europea. Essa è rimasta una corrente sotterranea, soccombente rispetto alla vittoria incondizionata della corrente principale, accentratrice e assolutista, fondata sulla esaltazione della sovranità statuale.
Sussidiarietà e dottrina sociale
È solo nella dottrina sociale della Chiesa che la tematica della sussidiarietà trova la sua esplicita formulazione e la sua fortuna. Il principio di sussidiarietà è stato per la prima volta proposto dall’enciclica Quadragesimo anno del 15 maggio 1931, con una formulazione ancor oggi considerata come classica e che merita quindi di essere testualmente citata.
Dopo aver constatato come “per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni“, l’enciclica afferma con forza che, anche in questa nuova situazione, deve “restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale” secondo il quale “siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare“. Ne deriverebbe, infatti, “un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società” poiché “oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium afferre) le assemblee del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle“.
Di conseguenza, a giudizio del Pontefice, “è necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento” per poter “eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei sola spettano (…) di direzione, cioè di vigilanza, di incitamento, di repressione a seconda dei casi e delle necessità“. Gli uomini di governo sono quindi esortati a persuadersi che “quanto più perfettamente sarà mantenuto l’ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva (servato hoc ‘subsidiari’ officii principio) della attività sociale, tanto più forte riuscirà l’autorità e la potenza e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso“.
È stato così formulato un principio generale sull’ordinamento della vita sociale: “ciò che gli uomini possono fare da sé con le proprie forze non può essere loro tolto e rimesso alla società” e ciò che vale per il singolo rispetto alla società, vale parimenti per le società minori e di ordine inferiore nei confronti delle maggiori e più alte. Principio di ordine interno, quindi, nell’ambito di qualsiasi società nei confronti dei suoi componenti, ma anche principio di ordine esterno, nei confronti delle varie società tra di loro. Come la società non deve sostituirsi ai singoli in ciò che questi possono fare da sé, così le società maggiori non devono assumere compiti che possono essere svolti dalle società minori.
Sussidiarietà e ordine economico.
Questo insegnamento di Papa Pio XI è stato in seguito confermato dai suoi successori e, in particolare, deve essere ricordata l’enciclica Mater et Magistra, dove si precisa che “il mondo economico è creazione dell’iniziativa personale dei cittadini, operanti individualmente o variamente associati per il perseguimento di interessi comuni. Però in esso, per le ragioni già addotte dai nostri predecessori devono altresì essere presenti i poteri pubblici allo scopo di promuovere, nei debiti modi, lo sviluppo produttivo in funzione del progresso sociale a beneficio di tutti i cittadini. La loro azione, che ha carattere di orientamento, di stimolo, di coordinamento, di supplenza e di integrazione deve ispirarsi al principio di sussidiarietà“. Le successive riproposizioni del principio avvengono senza significativi apporti alla sua formulazione teorica.
Sussidiarietà e dignità umana.
Con Giovanni Paolo II il principio di sussidiarietà è diventato un motivo ricorrente sia nel suo magistero scritto ed orale, sia nei documenti della Santa Sede, con enunciazioni che, pur mantenendosi nel solco delle precedenti pronunce, non sono prive di novità. In particolare, il principio viene posto in piena luce dall’istruzione della Congregazione per la dottrina della fede Libertatis conscientia, dove esso viene definito, insieme al principio di solidarietà, come “intimamente legato” alla stessa “dignità dell’uomo” e criterio fondamentale “per valutare le situazioni, le strutture e i sistemi sociali“. Ne segue che “né lo Stato, né alcuna società devono mai sostituirsi all’iniziativa e alla responsabilità delle persone e delle comunità intermedie in quei settori in cui esse possono agire, né distruggere lo spazio necessario alla loro libertà“.
Sussidiarietà e Libertà.
Il principio di sussidiarietà viene anche recepito nel Catechismo della Chiesa Cattolica che ne tratta nel capitolo dedicato alla comunità umana dove, dopo aver avvertito che “un intervento troppo spinto dello Stato può minare la libertà e l’iniziativa personali“, si enuncia il principio di sussidiarietà nella stessa formulazione adottata dalla Centesimus annus, sottolineando che esso, opponendosi “a tutte le forme di collettivismo“, “precisa i limiti dell’intervento dello Stato, mira ad armonizzare i rapporti tra gli individui e le società, tende a instaurare un autentico ordine internazionale“. Vi si afferma, in sintesi, che, secondo tale principio, “né lo Stato né alcuna società più grande devono sostituirsi all’iniziativa e alla responsabilità delle persone e dei corpi intermedi“.
Sussidiarietà e crisi dello Stato sociale.
La rinnovata e decisa insistenza della Santa Sede sull’importanza del principio di sussidiarietà nella vita sociale non è rimasta senza eco negli insegnamenti della Cei (Conferenza episcopale italiana) che, di fatto, se ne è ampiamente occupata nei suoi più recenti documenti con numerosi e specifici riferimenti alla situazione del Paese. Conviene ricordare a questo riguardo la nota pastorale della Commissione ecclesiale Giustizia e Pace, Stato sociale ed educazione alla socialità dell’11 maggio 1995, dove non si esita a denunciare che “la crisi dello Stato sociale trova una delle sue cause culturali e strutturali proprio nell’abbandono o nell’oblio del principio di sussidiarietà“, mentre “il rinnovato slancio da dare a uno Stato sociale può e deve trovare il necessario impulso nella libera e piena applicazione di tale principio“.