Il problema della popolazione mondiale e il ”suicidio demografico”

suicidio_demograficoCristianità n. 232-233 (1994)

di Lorenzo Cantoni

Dal 5 al 13 settembre 1994 a Il Cairo, in Egitto, si tiene la terza Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite su Popolazione e Sviluppo. La bozza del documento conclusivo, già diffusa, mostra chiaramente che si cercherà di incrementare, a livello mondiale, quella politica demografica orientata a una drastica riduzione delle nascite già da tempo adottata dall’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, e da altri organismi pubblici e privati, e realizzata – con mezzi ingenti – attraverso una massiccia diffusione di tecniche contraccettive – 249 milioni di utilizzatori nel 1987 -, dell’aborto – fra i 36 e i 53 milioni l’anno – e della sterilizzazione – 164 milioni nel 1987 – (1).

1. Perché siamo troppi, si dice 

Quanti siamo sul pianeta? È difficile dirlo. Per conoscere la popolazione di un paese bisogna fare un censimento, poi si aggiorna la cifra sulla base delle indicazioni degli uffici anagrafici e di quelli di polizia, aggiungendo i nati vivi e gli immigrati, e sottraendo i morti e gli emigrati. Ma in tutti i PVS, i paesi detti in via di sviluppo – il 77,2% della popolazione mondiale stimata -, le misurazioni della popolazione sono poco affidabili, in ragione di una scarsa organizzazione anagrafica, dell’instabilità politica, delle guerre, delle epidemie e dell’emigrazione. E così la cifra degli abitanti del nostro pianeta non è poi tanto sicura (2). In Nigeria, per esempio, si valutava una popolazione di 122 milioni di persone, ma all’ultimo censimento se ne sono trovati solo 89 milioni. Oman e Corea del Nord non hanno mai avuto un censimento…

2. Non importa quanti, comunque troppi, si dice.

Troppi per le risorse. Ma le risorse non sono qualcosa di fisso, di determinato una volta per tutte; esse sono in funzione delle conoscenze scientifiche e delle capacità tecnologiche: prima che si usassero i motori a scoppio, il petrolio era un liquido inutile, oggi no; e oggi, grazie a capacità di sfruttamento migliori, abbiamo a disposizione più petrolio di trent’anni fa. Un cospicuo aumento di popolazione ha coinciso spesso con significative evoluzioni delle tecnologie per lo sfruttamento agricolo del terreno e per la produzione di energia: la FAO, la Food and Agriculture Organization, l’organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura, calcola che la Terra è in grado di sfamare una popolazione superiore ai 20 miliardi.

La popolazione è, poi, una risorsa, la più importante: un recente studio su 86 paesi mostra una correlazione positiva fra l’incremento demografico e lo sviluppo economico diciassette anni dopo (3). Se guardiamo poi alla densità della popolazione mondiale, si può notare che i PVS hanno una densità media assai inferiore a quella dei PS, i paesi detti sviluppati, e che, se sono sovra-popolati, è solo in ragione del loro sotto-sviluppo. Il problema è allora piuttosto quello della distribuzione delle risorse: un canadese, per esempio, consuma 436 volte di più di un etiopico, l’Europa e l’America Settentrionale hanno circa il 60% del reddito mondiale, e solo il 14% della popolazione (4).

3. Troppi per mantenere l’ecosistema.

Così si è detto alla Conferenza sull’Ambiente del 1992, a Rio de Janeiro. Ma l’inquinamento è dovuto principalmente, se non esclusivamente, ai PS, che non hanno certo il problema della sovrappopolazione. Anzi.

Nei PS ogni donna ha in media 1,9 figli, quando, per garantire il rimpiazzo generazionale, ne sarebbero necessari 2,1, e l’Italia è il paese con la fecondità più bassa del mondo: 1,3 figli in media per donna. “Inverno demografico” (5) è stata chiamata questa situazione di declino della popolazione nei paesi occidentali, e si è addirittura parlato di “suicidio demografico” (6).

Un calo demografico tale che la CEE, la Comunità Economica Europea, nel 1984 votò la Risoluzione N. C 127/78, in cui – fra l’altro – afferma che “le misure per combattere questa marcata tendenza verso il declino della popolazione, che è comune a tutti gli Stati membri, potrebbero essere utilmente prese a livello comunitario ed avrebbero un’importanza sia politica che sociale” (7).

4. Ma pure nei PVS la popolazione ha un ritmo di crescita eccessivo, si ribatte.

È vero: la fecondità media dei PVS è molto superiore (3,9) a quella necessaria per il rimpiazzo generazionale, e ciò sta comportando una notevole crescita della loro popolazione totale. Hanno pure una densità piuttosto ridotta, e la fecondità è in significativa e rapida diminuzione: -2 punti fra il quinquennio 1965-70 e quello 1985-90. Questo fenomeno è conosciuto con il nome di “transizione demografica”.

L’impatto delle tecniche mediche che hanno abbattuto la mortalità infantile e aumentato la speranza di vita alla nascita ha causato – così in Europa e nell’America Settentrionale nel secolo XIX, come nei PVS nel secolo XX – un grande aumento della popolazione; ma mentre nei PS questo aumento è stato lento, e si è accompagnato a uno analogo a livello economico, nei PVS è stato improvviso, e spesso senza una sufficiente contropartita in termini di sviluppo economico, creando dunque l’allarme della popolazione.

La transizione demografica, inoltre, comporta che, con il miglioramento delle condizioni economiche, si riduca la fecondità, sia perché le persone accedono al matrimonio molto più tardi, sia perché il lavoro minorile viene vietato e il gran numero di figli non è necessario come garanzia per la vecchiaia, sia perché il costo per figlio aumenta significativamente. Il livello d’istruzione dunque, la politica del lavoro, la sicurezza politico-economica – in breve: lo sviluppo – sono all’origine di una stabilizzazione degli indici di fecondità. Una cultura edonistica e materialistica poi, sazia e disperata, è all’origine del “suicidio demografico”.

Non si tratta allora di far violenza ai paesi poveri e alle loro famiglie, imponendo politiche di riduzione della natalità che adottano metodi immorali, ma di aiutare i PVS a crescere; non di ridurre la popolazione povera, ma di distribuire le risorse in modo più equo e di promuovere uno sviluppo integrale.

Papa Giovanni Paolo II è intervenuto più volte, con fermezza, contro la bozza di documento conclusivo della Conferenza de Il Cairo, a difesa della giustizia, del diritto alla vita e della verità sulla persona umana e sulla famiglia (8).

In una lettera alla dottoressa Nafis Sadik, Segretario Generale della Conferenza, il Santo Padre, dopo aver sottolineato la complessità della situazione della popolazione mondiale, scrive “Ciò che la Chiesa chiama “paternità responsabile” non è una questione di procreazione illimitata o di mancanza di consapevolezza circa il significato di allevare figli, ma piuttosto la possibilità data alle coppie di utilizzare la loro inviolabile libertà saggiamente e responsabilmente, tenendo presenti le realtà sociali e demografiche, così come la propria situazione e i legittimi desideri alla luce di obiettivi criteri morali. Si devono evitare con decisione la propaganda e la cattiva informazione volte a persuadere le coppie a limitare la propria famiglia a uno o due figli e si devono appoggiare quelle coppie che scelgono generosamente di creare famiglie numerose. In difesa della persona umana, la Chiesa si oppone all’imposizione di limiti riguardanti il numero dei membri di una famiglia e alla promozione di metodi per la limitazione delle nascite, che pregiudicano le dimensioni aggreganti e procreative del rapporto coniugale, metodi contrari alla legge morale inscritta nel cuore umano o che costituiscono un attacco alla sacralità della vita” (9).

Note

(1) Cfr. Pontificia Accademia Scientiarum, Popolazione e risorse. Rapporto, Vita e Pensiero, Milano 1994, Tabella 5, p. 12, i cui dati sono ripresi da fonte ONU.
(2) Cfr. 1992 Britannica Book of the Year, Encyclopaedia Britannica, Chicago 1992, p. 748: “Un punto essenziale da tenere presente quando si studiano queste statistiche [sulla popolazione dei vari paesi] è che tutte, qualunque sia il grado di precisione implicato dall’esattezza dei numeri, sono stime – tutte di accuratezza variabile, e talora dubbia – anche nel caso in cui esse contengano una quantificazione assolutamente completa. Gli Stati Uniti – che hanno una lunga tradizione sia nell’operare censimenti, sia nell’uso degli strumenti più sofisticati per il trattamento dei dati – sono in grado di determinare la popolazione nazionale solo con un margine del 2,1% […]. Quando un paese come la Nigeria, il più popoloso dell’Africa, non conosce la sua popolazione effettiva se non con un margine del 20%, ed è impedito o rallentato nel misurarla da circostanze politiche, sia il valore assoluto che il margine d’errore probabilmente stanno crescendo. I curatori hanno cercato di tener conto del margine di variazione e di precisione nei dati pubblicati, ma è difficile stabilire un valore per molte cause di imprecisione, a meno che alcune nazioni o agenzie non abbiano fatto uno sforzo coscienzioso per stabilire sia l’accuratezza relativa (precisione) delle loro stime, sia la grandezza assoluta delle quantità che cercano di misurare – per esempio, il numero di persone in Cambogia che morirono per mano dei Khmer Rossi. Fu di 1.000.000 o di 2.000.000? Se si accetta una misura di 1.000.000, quale è la sua accuratezza: ± 1%, 10%, 50%?”.

(3) Cfr. Robin Barlow, Population Growth and Economic Growth: Some More Correlation, in Population and Development Rewiew, vol. 20, n. 1, marzo 1994, pp. 153-165; questo studio ha proposto per la prima volta una tale correlazione, superando quelli che cercavano rapporti fra la fecondità e il prodotto pro capite nel medesimo momento: è chiaro infatti che, essendo il prodotto pro capite dato dal PIL, il Prodotto Interno Lordo, diviso per la popolazione, a ogni aumentare della popolazione si riduce il prodotto pro capite, con un esito banale e poco indicativo dell’impatto reale della popolazione sull’economia di un paese.
(4) Cfr., per esempio, Susan George, Conscience “planétaire” et “trop nombreux” pauvres, in Le Monde diplomatique, anno 37°, n. 434, maggio 1990, pp. 18-19.
(5) Cfr. François Geinoz, François de Siebenthal, Antoine Suarez e Michel Tricot (a cura di), Europe, l’hiver démographique, L’Age d’Homme, Losanna 1989.
(6) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al VI Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, dell’11-10-1985, n. 10, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 2, pp. 910-924 (pp. 916-917).
(7) Cfr. il testo completo in Michael S. Teitelbaum e Jay M. Winter, La paura del declino demografico, trad. it., il Mulino, Bologna 1987, pp. 203-204.
(8) Per un itinerario attraverso gli interventi magisteriali recenti in tema di popolazione e politiche demografiche, cfr. Pontificio Consiglio per la Famiglia, Evoluzioni demografiche: dimensioni etiche e pastorali. Instrumentum laboris, del 25-3-1994. Cfr. anche Dossier. Il Magistero cattolico e la Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo, in Medicina e Morale (nuova serie, anno XLIV, maggio-giugno 1994, pp. 517-580), che raccoglie: Giovanni Paolo II, Messaggio alla Signora Nafis Sadik, Segretario Generale della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo 1994, del 18-3-1994; Lettera Pontificia ai Capi di Stato, del 19-3-1994; Regina Coeli, del 17-4-1994; Pontificio Consiglio per la Famiglia, doc. cit.; S. E. mons. Diarmuid Martin, Discorso alla terza sessione del Comitato Preparatorio della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo, del 5-4-1994; S. Em. card. Angelo Sodano, Discorso alla XVII Congregazione Generale dell’Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, del 21-4-1994; S. E. mons. Diarmuid Martin, Discorso alla XXII Congregazione Generale dell’Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, del 28-4-1994; Pontificia Accademia per la Vita, Dichiarazione sulle questioni della vita umana e lo sviluppo delle popolazioni; Vescovi Latino-Americani, Lettera alla Signora Nafis Sadik.
(9) Giovanni Paolo II, Messaggio alla Signora Nafis Sadik, Segretario Generale della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo 1994, cit., n. 5.