Articolo pubblicato su Il Corriere del Sud
n. 17/2001 Anno X – 16 ottobre/31 ottobre
La rappresentazione del “Meridione” come un blocco di arretratezza economica e sociale non trova fondamento sul piano storico, ma ha genesi e natura ideologica Per molti il sud diventa una terra gravemente ammalata, una società immobile e arretrata, abitata da un popolo crudele e ignorante, “otto milioni e mezzo di pecore”
di Elia Sgromo
Per anni è stata portata avanti una denigrazione sistematica della tradizione religiosa e civile italiana, e di quella meridionale in particolare.
Per anni si è sentito definire il meridionale (espressione di un retaggio italiano tradizionale) come “portatore sano” di malattie pericolose (clientelismo, mafia, familismo amorale, arretratezza economica).
“Il particolarismo, la personalizzazione delle relazioni sociali, il valore annesso alle appartenenze familiari e parentali, ai vincoli di amicizia e ai legami comunitari, alle relazioni di vicinato, di quartiere e di paese sono stati stigmatizzati come i principali fattori che avevano impedito la modernizzazione economica, civile e politica del Sud” [Mario Alcaro, Sull’identità meridionale, p. 4].
Il comune modo di sentire era visto come un’eredità culturale sconveniente; è stata diffusa l’idea che per trasformarsi in ‘bravi europei’ e ‘bravi moderni’ occorreva abbandonare le proprie tradizioni culturali e la propria identità, rinnegando così ciò che si è e ciò che si ha.
Tutte queste problematiche sono nate con l’annessione forzata (conquista militare e culturale) del 1861: data di nascita della ‘questione meridionale’ come problema identitario.
Dall’incontro-scontro tra realtà dis-omogenee deriva la lacerazione sociale e morale che è ancora in atto. Il contrasto nasceva da “una diversità etico-antropologica” (E. Galli della Loggia); era “uno scontro di civiltà” (Carlo Tullio Altan), cioè un urto fra differenti modelli culturali e forme diverse di organizzazione sociale.
La rappresentazione del ‘Meridione’ come un blocco di arretratezza economica e sociale non trova fondamento sul piano storico, ma ha genesi e natura ideologica.
I primi a diffondere giudizi falsi sugli ‘inferiori coefficienti di civiltà’ sono stati gli esuli meridionali che dopo il 1848 contribuirono a demolire il prestigio della dinastia, determinando anche una trasformazione nell’immagine del Sud con la riproposizione di secolari stereotipi sul “paradiso abitato da diavoli”.
Per molti il Sud diventa una terra gravemente ammalata, una società immobile e arretrata, abitata da un popolo crudele e ignorante, “otto milioni e mezzo di pecore” (Antonio Scialoja), un “volgo impastato di ricotta” (Luigi Settembrini). La differenza tra il Mezzogiorno e il resto del paese si veniva configurando come “polarità simbolica di barbarie e civiltà” (Giuseppe Giarrizzo).
Ma il Sud non è un’area arretrata o sottosviluppata, o un Nord mancato, ma piuttosto una società dotata di personalità storica, una ‘nazione’.
Il Sud non è una periferia dell’Europa, caratterizzata da separatezza, subalternità o arcaicità, né il luogo di coltura di un isolato universo antropologico e culturale.
Negli ultimi 150 anni il popolo meridionale ha subito un processo di alienazione della propria identità e della propria tradizione. Il Mezzogiorno è stato aggredito contemporaneamente e da più parti da fermenti di trasformazione, ma ha costituito un luogo di resistenza alla modernizzazione forzata.
Non il particolare modo di essere del popolo meridionale, ma il tentativo diffuso d’annientare la personalità e di dissolverne l’eredità ha innescato il processo di alienazione culturale, mentre il progressivo venir meno di punti di riferimento sociali e istituzionali ha aperto la strada allo sviluppo della criminalità organizzata.
A partire dalla fine degli anni 1950 con una nuova frana migratoria, dopo quella del 1870-1914, che ha prodotto la disarticolazione definitiva dell’antica organizzazione sociale e territoriale, e con l’assimilazione dei comportamenti proposti dal modello consumistico, l’identità meridionale si sta dissolvendo nel crogiolo dell’omologazione, favorita dalla scuola, dai partiti politici e dai grandi mezzi d’informazione.
Di fronte ai fallimenti della “modernità” e ai suoi “frutti avvelenati” è necessario un modo nuovo di rapportarsi ai problemi del Sud. La trama culturale del Mezzogiorno intessuta di valori, consuetudini, modi di pensare e di sentire (visione religiosa, legami familiari e comunitari, rapporti di parentela e di amicizia, senso dell’ospitalità, solidarietà come valore unificante) è irriducibile ai metri delle culture nord-europee o agli schematismi culturali delle società ‘moderne’. Bisogna riscoprire in positivo culture, valori, tradizioni, forme di socialità, stili di vita, finora intese come tare ataviche.
Bibliografia
R.N. Bellah, Le cinque religioni dell’Italia moderna, in AA.VV. Il caso italiano, Milano 1974,
Claudia Petraccone “Le due civilità. Settentrionali e meridionali nella storia d’Italia”, Laterza, 2000, Bari-Roma,
Marta Petrusewicz “Come il Meridione divenne una questione”, Rubbettino, 2000, Soveria Mannelli (Cz),
Enzo Di Mauro “La letteratura? È la sola ad ever difeso i vinti”, Corriere della Sera, pagina 35 “terza pagina, venerdì 15 settembre 2000.
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