da Tempi 3 Ottobre 2018
I giovani musulmani francesi, come rivelato da uno studio recensito su Tempi, hanno una fede forte. Bene, ma la questione investe la ragione e la libertà
Diego Fumarella – Leone Grotti
Cari amici di Tempi, ho letto con piacere e interesse l’articolo “Francesi stranieri a casa loro” sul numero di settembre. Devo dire che, pur da cristiano, mi sono identificato (quasi) totalmente con gli intervistati musulmani. Certo, non andrei mai in giro a seminare terrore tra la gente, ma per il resto l’identificazione è pressoché totale. Anche io ritengo che la fede sia di massima importanza, che o c’entra con ogni aspetto della vita quotidiana, oppure non è vera Fede.
Pure io mi sento offeso se si ridicolizza la mia fede e anche io ritengo che la redazione di Charlie Hebdo se la sia andata a cercare e, come diceva qualcuno di bianco vestito, se uno insulta la mia mamma deve aspettarsi un pugno. Anche io non mi sento un italiano di religione cristiana, ma un cristiano di nazionalità italiana. Io sono per le identità forti e secondo me l’appartenenza religiosa dovrebbe essere segnata sulla carta di identità. Sono critico nei confronti della laicità e decisamente contrario al laicismo, che vedo come uno stratagemma per propagandare surrettiziamente l’ateismo.
Diego Fumarella via email
Caro Diego, le sue osservazioni colgono uno dei punti centrali dell’intervista. Tralasciando per un attimo i risultati sulle credenze dei giovani musulmani francesi, lo studio del professor Olivier Galland certifica innanzitutto la progressiva scomparsa dei cattolici in Francia. Il direttore della ricerca del Cnrs dichiara a proposito: «I giovani che si dicono cattolici rispondono a quasi tutte le domande come gli agnostici. È difficile distinguerli. Non danno molta importanza all’educazione religiosa, vanno poco in chiesa, hanno credenze vaghe e un’adesione più che altro culturale alla religione».
Questo è uno dei risultati più notevoli, anche se quasi nessuno in Francia l’ha notato. I cattolici danno sempre meno importanza alla religione e di conseguenza sono quasi indistinguibili dagli agnostici. È una scomparsa che avviene per progressiva diluizione: se il 53% della popolazione francese si dice ancora cattolica, solo il 23% si sente «toccato» dalla vita della Chiesa in un modo o in un altro e solo il 5% va a messa, secondo uno studio realizzato da Ipsos e uscito nel 2017.
Per quanto riguarda invece quello che lei dice a proposito dei musulmani, anch’io ho pensato in parte le stesse cose (non concordo ad esempio sull’indicazione della religione sulla carta di identità, che in Pakistan viene utilizzato come strumento di discriminazione dei cristiani). La differenza sta proprio nella frase che lei cita: «Certo, non andrei mai in giro a seminare terrore tra la gente». Il problema infatti non è avere un’identità forte o un’appartenenza religiosa radicata, ma le conseguenze di questo attaccamento nei giovani musulmani.
Ha scritto nella sua approfondita analisi sul numero di Tempi di aprile il grande islamologo padre Samir Khalil Samir: «Bisogna dire chiaramente che l’islam e i suoi testi sacri comprendono sia la tolleranza sia la violenza, a seconda del periodo della vita di Maometto al quale si riferiscono. Ci sono versetti contraddittori». Purtroppo, continua, «tutti i versetti più duri e violenti hanno cancellato i versetto tolleranti. È questo principio che ha dato all’Isis e a tutti gli estremisti la giustificazione religiosa per imitare Maometto e usare la violenza per uno scopo “buono”: cioè eliminare i miscredenti e dominare i credenti, ossia ebrei e cristiani. Questo è lo scopo ultimo: convertire il mondo all’islam con ogni mezzo, anche la violenza. Anche il cristianesimo dovrebbe convertire tutto il mondo, ma il cristianesimo non professa mai l’uso della violenza, perché vuole rispettare sempre la libertà di ogni persona».
Il problema non è avere una fede forte e radicata e volere convertire tutto il mondo. In questo senso, mi lasci parlare sul filo del paradosso, penso che agli impauriti cattolici occidentali dovrebbe far riflettere l’annuncio dell’imprenditore algerino Rachid Nekkaz. Dopo che Svizzera e Danimarca hanno vietato alle donne islamiche di indossare il burqa in pubblico, lui si è offerto di pagare le multe perché continuassero a farlo a maggior gloria dell’islam.
Il punto non è, ovviamente, essere favorevoli al burqa (e non lo siamo), né sostenere gli annunci di un imprenditore che vuole (anche) farsi pubblicità. Ma quanti cattolici, oggi, sono ancora disposti a pagare di tasca loro per diffondere e sostenere le opere cattoliche, non solo quelle dei missionari?
Questa radicalità della fede, che arriva fino al portafogli, a volte porta a conseguenze negative nel mondo musulmano a causa del grande equivoco presente nei testi sacri islamici, che richiedono oltretutto solo obbedienza e mai adesione razionale e ragionevole (la grande lezione di Benedetto XVI a Ratisbona resta il nostro faro). Ma ai cattolici addormentati dell’Occidente (lo stesso non si può dire di quelli perseguitati in Asia e Medio Oriente) non farebbe male riscoprirla.