Intervento alla Scuola di Formazione all’impegno politico
– Modena –
Il 9 novembre 2013, Stefano Fontana è intervenuto alla Scuola di formazione politica di Modena (presso il Centro Giacomo Alberione) con una relazione su “Il rapporto Chiesa – mondo e la corretta laicità della politica”. Egli ha condotto una serie di riflessioni a partire da alcune esperienze concrete, dato che l’uditorio era costituito da persone disponibili ad impegnarsi in politica. Alla fine dei quattro casi esaminati, ha fatto delle riflessioni conclusive. Ne è derivata una trattazione semplice, basata sull’esperienza, ma proprio per questo forse più interessante di certe lezioni troppo cattedratiche. La lezione si è conclusa con un monologo da parte del relatore, che si è messo nei panni di un cattolico che voglia impegnarsi in politica e che ragiona tra sé e sé.
di Stefano Fontana
Vorrei impostare questa mia relazione partendo da alcune esperienze concrete per costruire su di esse un ragionamento. Fatto questo, trarrò poi delle conclusioni
Ho avuto tempo fa una discussione con il sindaco di una importante città di cui non farò il nome il quale aveva affermato che la sua giunta è laica, come previsto dalla Costituzione, e che, quindi, aperta ad assessori non solo di religione diversa ma anche di diverso orientamento morale circa i temi della vita e della famiglia. Avendo io risposto che quella giunta sarebbe stata indifferente all’etica, il sindaco se l’è presa con me.
In questo caso questo sindaco mostra di avere la seguente visione di laicità: la religione e l’etica appartengono all’ambito del legittimo pluralismo sociale, dove tutte le teologie e tutte le antropologie sono ammesse. Laicità è la tolleranza per un simile pluralismo religioso e morale. Sia la religione sia l’etica sono visioni del mondo, paradigmi esistenziali che non possono prevedere un riconoscimento pubblico, perché questo darebbe vita alla intolleranza verso le altre visioni del mondo e gli altri paradigmi.
Nella società civile, nella formazione dell’opinione pubblica oppure nel mondo dell’informazione e della cultura sono ammesse tutte le visioni del mondo, ma il campo delle istituzioni politiche – lo Stato – deve essere neutro da ogni visione del mondo. Nella pubblica piazza pluralismo, nelle istituzioni neutralità.
Questa visione di laicità come indifferenza alle visioni del mondo si scontra però inevitabilmente con degli inevitabili ostacoli.
Se una giunta comunale elimina da sé ogni visione del mondo, non solo di carattere religioso ma anche etico, come può, poi, pretendere un comportamento etico dai suoi membri, come per esempio nel campo della corruzione o dell’uso privato di risorse pubbliche? Anche queste potrebbero essere solo visioni della vita in contrasto con altre e che non meritano tutela pubblica. Se il diritto alla vita non merita tutela pubblica, perché dovrebbe meritarlo il principio di non usare i fondi pubblici per spese personali?
Di solito i sindaci parlano di bene comune, di giustizia, di equità sociale, di tolleranza, di pacifica integrazione, di emancipazione delle fasce deboli … che, come si vede, sono tutti concetti di natura etica. Di quella stessa etica di cui però la giunta si dice indifferente in virtù del principio di laicità.
Secondariamente, una giunta e un sindaco, nei loro quattro anni di mandato amministrativo, danno delle disposizioni ai loro cittadini, fissano i bandi, pongono divieti, stabiliscono prelievi fiscali, confiscano beni, stabiliscono criteri per assegnare alloggi e così via. In pratica esercitano sulla vita dei loro concittadini un potere. Ora, da cosa è legittimato questo loro potere? Tutti gli uomini sono uguali in dignità. Cosa legittima che uno comandi sugli altri? Loro risponderanno che è il loro potere è legittimato dal voto popolare. Ma il voto popolare è solo la causa strumentale del potere politico, non la causa ultima.
In certe democrazie i sindaci, ma anche i Presidenti della Repubblica, vengono eletti con la maggioranza di una minoranza di cittadini. Ma anche se fossero eletti con maggioranze bulgare, potrebbero affidare ad una semplice conta delle meni alzate il loro potere di disporre dei loro simili? Sarebbe come se la tirannia di uno solo fosse trasferita sui molti, sempre tirannia sarebbe. E’ chiaro che ci deve essere un altro fondamento del potere, anche in democrazia, e questo non può che consistere nel fare il bene della comunità.
In democrazia si assegna ai cittadini il compito di sorvegliare chi ha il potere. Chi sorveglia lo fa con il criterio della maggioranza come strumento, ma con il criterio della giustizia e del bene come fondamento ultimo. Quindi la giustizia e il bene sono fondamentali nella democrazia. Se una giunta si dice indifferente all’etica si dice indifferente alla democrazia. Una democrazia senza etica è una tirannia mascherata.
Dall’esame di questo primo caso possiamo allora trarre le seguenti conclusioni: la laicità non può essere intesa come neutralità rispetto alle visioni del mondo e la politica non può essere separata dall’etica perché in questo caso il potere mancherebbe di fondamento.
Un secondo caso da esaminare a titolo di esempio è quello recentissimo della discussione in America sulla laicità democratica dei giuramenti religiosi. Dire “God bless America” è contrario alla laicità democratica?
Qui si vede una cosa interessante: la lotta per la eliminazione dalla sfera pubblica dei riferimenti religiosi diventa una nuova crociata con tratti decisamente religiosi. Simili atteggiamenti si sono riscontrati, per esempio, in Francia, nella eliminazione dei simboli religiosi dalle scuole, dai tribunali o dagli altri luoghi pubblici. In casi simili, però, lo Stato fa propria un’altra religione, quella dell’ateismo militante.
Charles Taylor ha scritto di recente che un simile atteggiamento è sbagliato. E’ la pretesa del giacobinismo, per esempio, di cancellare tutte le feste religiose, di eliminare il calendario, di vietare il suono delle campane, caricando però tutto ciò di una nuova ritualità laica e creando una nuova religione civile con nuove feste religiose, un nuovo calendario e nuovi suoni ufficiali al posto della campane.
Sarebbe possibile – ci chiediamo – un atteggiamento moderato, che Charles Taylor chiama degli “accomodamenti ragionevoli”? L’atteggiamento giacobino, per esempio, consiste nell’eliminare la domenica come giorno di riposo in quanto ha una origine religiosa e si discriminerebbe chi è di altre religioni o chi non è di nessuna religione.
L’atteggiamento moderato, invece, manterrebbe la domenica ma concederebbe degli accomodamenti a chi è ebreo o musulmano oppure a chi condivide alcune filosofie di vita particolari. Quanto sta accadendo in America sembra rispondere di no a questa domanda: la logica di opporsi alla presenza religiosa nella vita pubblica assume a tal punto le caratteristiche di una nuova religione che non si ferma agli accomodamenti ragionevoli.
Dall’esame di questo caso deriviamo allora le seguenti conclusioni: opporsi alla presenza pubblica della religione non conosce moderazione in quanto esprime una logica interna a suo modo religiosa, proprio nell’essere antireligiosa. Davanti a Dio non si dà neutralità. Se il mondo non è costruito su Dio è costruito senza Dio, ma un mondo senza Dio non è un mondo neutro.
Si parte col dire che Dio è un’opzione tra le altre che non può pretendere riconoscimento pubblico e si passa poi a dire che Dio è dannoso per la democrazia – come fa nel suo ultimo libro Paolo Flores d’Arcais – e quindi si passa dire che la democrazia deve combattere Dio.
Esaminiamo ora un terzo caso. Un gruppo di consiglieri comunali cattolici che militano in un partito della sinistra prendono l’iniziativa di presentare in consiglio comunale una mozione che impegna la giunta a istituire il registro delle Dichiarazioni anticipate di trattamento. La motivazione addotta per questa loro iniziativa è che altrimenti l’avrebbero presentata i partiti più estremisti con esiti peggiori.
Con questo esempio ci spostiamo sulla concezione di laicità che hanno molti cattolici. L’ambito della politica è laico nel senso che è relativo e, quindi, aperto strutturalmente al compromesso di cui arbitro è la coscienza del cattolico stesso. La fede religiosa e la morale non possono essere imposte agli altri, ma semmai vissute personalmente e mai tradotte in legge, perché questo trasformerebbe la fede religiosa e l’etica in ideologia. Nell’ambito politico, l’unico principio è il rispetto della coscienza altrui, nulla deve essere imposto a chi la pensa diversamente.
Questa laicità provocherebbe la de- ideologizzazione della fede e finalmente la libererebbe da nostalgie integraliste. Fino a che la fede e la morale pretendono di parlare alle leggi e alle strutture, e non solo alle coscienze, non si sarà usciti veramente dal regime di cristianità. Questa è la visione dei cattolici democratici, che però si scontra con due conseguenze disattese.
La prima è che il criterio del primato della coscienza, dalla politica ritorna a boomerang sulla fede stessa. Se nel mondo tutto è relativo, pian piano si intende come relativa la stessa fede. La diaspora politica dei cattolici diventa pluralismo esasperato anche dentro la Chiesa, la quale viene intesa prima di tutto come un fatto sentimentale e quindi oggettivo. Così, però, il modernismo ha già vinto.
La seconda è che questo è il modo migliore per trasformare la fede in ideologia, cosa che costoro vorrebbero invece evitare. La fede, infatti, non illumina più la prassi e quindi o è storicamente inefficace o la prassi politica se ne appropria secolarizzandola. E’ il processo della secolarizzazione della fede che viene scambiato per laicità: la Chiesa come ONG è la Chiesa che per farsi accettare dal mondo veste panni mondani. Desacralizzandosi, essa accetta di venire utilizzata ideologicamente. Ci sono intere diocesi, associazioni cattoliche, caritas che sono colonizzate da partiti e da uomini politici di questo orientamento.
Dall’esame di questo caso traiamo la seguente conseguenza: la fede richiede una coerenza anche sul piano etico e politico altrimenti non regge. Nella fede “tutto si tiene”, è possibile distinguere i piani ma non separarli. La fede cattolica ha un contenuto di verità che incide anche sulla vita etica e politica. Quando invece si separano i piani, la fede stessa diventa ideologia.
Esaminiamo ora un quarto caso macroscopico che abbiamo davanti oggi in tutta la sua drammaticità.
Stiamo assistendo al processo di negazione e di distruzione della natura umana. Con l’ideologia del gender tale distruzione riguarda l’identità umana, la procreazione, la famiglia, la filiazione così come la natura ce le ha date. E’ quindi una negazione della natura. Leggi, pressioni delle agenzie internazionali, libri di testo, educazione nelle scuole: si sta riplasmando la natura umana, la si sta ricreando.
Questo ci dice una cosa fondamentale: la natura non regge senza la sopranatura. Man mano che la religione viene respinta fuori dalla politica, anche l’etica viene respinta e, infine, la natura umana stessa. Non c’è un piano di laicità fondato solo sulla legge naturale, o sulla ragione umana, che riesca a stare in piedi senza la fede religiosa. Quando finisce il matrimonio religioso nella prassi comune finisce anche il matrimonio civile. Negato Dio, la politica si spinge sempre più in fondo nella negazione dell’umano.
Queste considerazioni mettono in crisi la vecchia idea secondo cui c’è il piano laico della ragione, su cui tutti si possono incontrare in quanto esseri dotati di ragione e capaci di pervenire a delle verità etiche naturali; e poi c’è il piano della fede, proprio di chi crede. Credere non impedisce di ragionare con gli altri sul piano naturale. Così si pensa. Ma poi si constata che chi non crede non riesce nemmeno a ragionare con i credenti sul piano naturale. La ragione senza la fede si perde e non ha più fiducia in se stessa.
Quindi, senza la religione anche il piano della natura non sta in piedi e non riesce a fungere da valido terreno di laicità.
Facciamo una controprova. Gli attuali attacchi contro la natura umana sono motivati con le ragioni della laicità. Laicità è garantire spazio pubblico a tutte le visioni del mondo, anche a quella che nega il matrimonio tra un uomo e una donna, per esempio. Però poi, ammettendo il matrimonio tra due uomini o tra due donne, si perde la famiglia, la paternità e la maternità naturali, la filiazione e così il linguaggio della religione cristiana diventa incomprensibile. Si è colpita la natura umana ma in fondo si è colpita la religione. Come si vede il piano laico non è quello della natura, che poi si sviluppa o meno nella fede religiosa. La natura tira in ballo Dio, o per ammetterlo o per negarlo.
Esaminando questi quattro casi, abbiamo già visto il quadro generale in cui collocare oggi la laicità in politica. Ora non ci resta che tracciare delle brevi riflessioni conclusive, senza ripetere tuttavia le cose già viste.
Provo a mettermi nei panni di un cattolico che si impegna in politica e ragiona sulla laicità. Penso a voce alta, parlando con me stesso. Io mi impegno in politica e sono sicuro che il piano politico non può contenere tutta la ricchezza della religione cattolica. Non ci sta dentro tutta, perché il regno di Dio non è di questo mondo. In questo senso la politica non è religione e quindi è laica. Ma non perché la religione sia solo un sentimento irrazionale senza dignità politica, ma perché la verità della religione non ci sta tutta nella politica. Cristo non è un capopopolo, la Chiesa non è un partito, il Papa non è il segretario di un partito e il Vangelo non è un manifesto. Laicità vuol dire questo: la politica ha la sua autonomia e non impegna nelle sue scelte la Chiesa e la religione. Laicità è autonomia dal piano ecclesiastico.
Poi vado avanti col ragionamento e mi dico: però senza Dio non è possibile costruire niente di saldo: senza di me non potete far nulla e se il Signore non costruisce la casa invano si affannano i costruttori. Potrà mai essere che Dio sia assente là dove si decide del bene comune di un popolo? Dove un popolo si misura, nella sua cultura, con la verità? Dove vengono educati i giovani al bene, al vero e al bello? Non è che in politica si decida solo di asfaltare le strade. Nella politica si giocano anche valori assoluti: vita e morte, per esempio. Può essere che lì Dio non c’entri nulla? No, non è possibile.
La politica non è assoluta, ma nella politica sono in gioco valori assoluti, ossia i fini ultimi dell’uomo a cui la politica è ordinata. La politica non è in grado di definire i fini ultimi dell’uomo. Se li definisse la politica, saremmo perduti. Semmai essa predisporrà i mezzi per raggiungerli. Da dove prende i fini ultimi la politica? Dall’etica naturale, prima di tutto. Ma l’etica non è l’ultima istanza. Anche l’etica naturale ha bisogno di fondarsi su altro: l’etica o è assoluta o non è, ma il piano naturale non è assoluto. Quindi l’etica ha bisogno di Dio. I fini ultimi della politica, allora, derivano dalla religione. E’ per questo che la politica non può stare senza religione: essa è autonoma ma non è in grado di fondarsi da sola. Ciò che non crea se stesso nemmeno si capisce da solo. La politica senza la religione non si comprende più.
Certo che io, politico cattolico, non posso fare catechismo in consiglio comunale. Però devo evangelizzare anche la politica. Ma come? Il Concilio non dice che i laici devono fare asfaltare bene le strade, dice che i laici devono orientare a Dio le cose temporali. Questo è quindi il mio compito di politico cattolico, non di cattolico politico. Come faccio ad ordinare a Dio le cose temporali, senza con ciò eliminare l’autonomia della politica dal piano ecclesiastico, ossia la sua laicità? Dovrò tenere presenti alcuni punti.
La politica è autonomia dal piano ecclesiastico, ma non da quello morale e religioso. Il piano morale riguarda la morale naturale che si fonda sul rispetto dell’ordine del creato. Allora la prima cosa da fare per il cattolico in politica è di difendere l’ordine del creato, naturalmente sul piano politico, ossia delle leggi e dell’amministrazione della cosa pubblica. Concederò contributi economici sostanziosi alle donne single con figli? No, perché in questo modo danneggio la famiglia, come capita a Bolzano. Darò aiuti economici sostanziosi alle coppie sposate con figli. E così via. Difendendo la natura difendo la possibilità del passaggio dal creato al Creatore. Quando la natura è morta e sepolta non ci sarà più nessuno spazio per Dio nel mondo.
Il secondo punto è di tenere sempre presente che il bene comune non è solo materiale e orizzontale, ma implica il bene religioso ed è da perseguire non solo in modo che non ponga ostacoli ma che favorisca il raggiungimento del fine ultraterreno (PT 35).
Infine dovrò fare in modo di difendere sempre le mie scelte sia con argomenti di ragione che con argomenti di fede.
In conclusione: non è più valido il principio che Cristo è signore anche della storia e del cosmo? E’ ancora valido, tanto è vero che ogni celebrazione eucaristica ha sempre anche un significato pubblico e cosmico insieme. In democrazia questo non è venuto meno, solo che è un compito affidato ai cattolici e non più alle istituzioni in quanto tali. Quanto prima era garantito oggi va conquistato. Lo Stato cristiano è finito e questo ha permesso il principio della libertà di coscienza, ma nel rispetto della corretta libertà di coscienza, i cattolici devono ancora ordinare a Dio le cose temporali.