di Marco Invernizzi
Soltanto due ideologie, nell’epoca moderna, sono riuscite a conquistare il consenso sufficiente per proporsi come “mondo nuovo”: il socialcomunismo, che si fonda sulla lotta fra le classi, e il nazionalsocialismo, che si basa sulla lotta fra le razze, auspicando un futuro guidato dagli ariani.
Siccome oggi si sta tornando a parlare e a scrivere, spesso a sproposito, di razzismo, torna utile leggere questo piccolo libro scritto nel 1944 dalla studiosa tedesca di origini ebraiche Hannah Arendt (1906-1975), celebre in particolare per le riflessioni sul totalitarismo.
Il testo descrive il “razzismo” prima del “razzismo di Stato” che conquista il potere in Germania nel 1933 grazie alla vittoria elettorale del partito nazionalsocialista e cerca di conquistare il mondo, avviando la Seconda guerra mondiale (1939-1945).
Nella grande confusione intellettuale che domina l’Ottocento, il «pensiero razziale» è semplicemente una delle tante opinioni correnti diffuse nell’epoca che precede, culmina e prosegue la Rivoluzione Francese (1789-1799).
In questi anni, diversi intellettuali manifestano una particolare attenzione alle differenti “razze” umane, attenzione che assume caratteristiche dialettiche che il cristianesimo aveva superato e debellato nel corso dei secoli precedenti, durante l’epoca della Cristianità. Pertanto un mondo storico implode e si formano diversi “partiti”, corrispondenti non soltanto a ideologie, ma anche a classi.
Così i nobili emigrati, costretti a lasciare la Francia, pensano e cercano di organizzarsi come “casta separata” in contrapposizione al Terzo Stato e al mito giacobino della nazione, mentre successivamente il “pensiero razziale” si sviluppa in Germania grazie «ai patrioti prussiani e al romanticismo politico» (p. 27).
La vera trasformazione del “pensiero razziale” nel razzismo moderno avviene con il francese conte Arthur de Gobineau (1816-1882), che nel 1853 pubblica il Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane, tradotto in italiano dalle edizioni di Ar (2016, 2 ed.).
De Gobineau «gradualmente, identificò il declino della propria casta con quello della Francia, quindi della civiltà occidentale e infine dell’intera umanità. In questo modo giunse a quella scoperta per cui si guadagnò l’ammirazione di scrittori e biografi posteriori, ovvero che il declino delle civiltà è dovuto alla degenerazione della razza e che questa a sua volta è causata dalla mescolanza del sangue» (p. 46).
Mezzo secolo dopo, il suo pensiero comincerà a essere utilizzato dall’ideologia che sfocerà nel razzismo.
La Arendt racconta appunto la storia di questo “pensiero razziale” che precede il razzismo e il suo testo è un piccolo ma utile contributo per comprendere meglio un tema difficile e delicato.
Ne emerge come anzitutto il razzismo sia una ideologia della modernità che si afferma con il venire meno del senso comune cristiano. In secondo luogo, che è un’ideologia che incuba a lungo, sul piano storico, prima di essere assunta dal regime nazionalsocialista tedesco per un progetto di dominio.
In terzo e ultimo luogo, che il razzismo è tanto contrario alla ragione e al bene degli uomini quanto è pericoloso per il semplicismo irrazionale che lo connota e che pare affascinare molti dentro un progetto di conquista globale.
Proprio per questo il razzismo non va confuso, irresponsabilmente, come purtroppo avviene, con atteggiamenti popolari, peraltro sguaiati e deplorevoli, ma che niente hanno a che fare con l’ideologia del razzismo. Libro adatto per chi vuole comprendere la genesi dell’ideologia razzista al di fuori degli stereotipi semplicistici molto diffusi
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Hannah Arendt Il razzismo prima del razzismo Castelvecchi, Roma – trad. it dell’edizione originale del 1944 – 2018 pag.78, € 9,50