Abstract: il relativismo farà soccombere la nostra cultura. Non siamo più interessati al nostro retaggio storico e culturale, né alla memoria dei nostri padri. Conosciamo male la nostra storia e di conseguenza non sappiamo niente della nostra identità. In compenso, ci sono parecchie culture al mondo che hanno una forte coscienza della propria identità e si tratta di culture che escludono le altre.
Newsletter Giulio Meotti 6 Maggio 2022
“Mancano cinque minuti a mezzanotte in Europa
e il relativismo farà soccombere la nostra cultura”
20 anni fa fu ucciso Pim Fortuyn, il Pasolini olandese che ci avvertì sull’Islam. Gli diedero di “xenofobo” anche sulla stampa italiana. Ho deciso di regalare i libri che gli costarono la vita
Giulio Meotti
“Ciò che ci contraddistingue è il relativismo culturale. Non siamo più interessati al nostro retaggio storico e culturale, né alla memoria dei nostri padri. Conosciamo male la nostra storia e di conseguenza non sappiamo niente della nostra identità. In compenso, ci sono parecchie culture al mondo che hanno una forte coscienza della propria identità e si tratta di culture che escludono le altre.
La risposta giusta alla società multirazziale e multiculturale non è il relativismo culturale. Il relativismo culturale indebolisce la nostra identità e smantella i valori fondamentali della nostra società, che si ritrova a non aver nulla da ribattere a persone e culture a cui non interessa niente del relativismo culturale, al quale contrappongono la propria identità e la propria cultura come norma, spesso, assoluta.
Nella nostra cosiddetta società multiculturale, la cultura islamica (fondamentalista) e la tradizione culturale olandese entrano quotidianamente in contatto tra di loro. In questo processo, a causa del nostro disinteresse per la nostra identità e per l’essenza della nostra società, la nostra cultura rischia di soccombere. E questo noi dobbiamo fare di tutto per evitarlo”.
Così scriveva Pim Fortuyn nel suo libro più bello, Contro l’islamizzazione della nostra cultura.
Omosessuale libertario marchiato dai soloni come “xenofobo”, Fortuyn aveva avuto il coraggio di non uniformarsi al buonismo degli stolti.
Fu il primo a dire che non poteva darsi Unione Europea in assenza di un’identità.
Era il 6 maggio 2002, quando al Media Park di Hilversum, nove giorni prima delle elezioni parlamentari in cui era cresciuto fino a diventare il secondo partito più forte del paese, Fortuyn veniva assassinato da un fanatico ecologista, Volkert van der Graaf. Fortuyn, con in mano una bottiglia di champagne, stava per infilarsi nella sua Daimler, dove Kenneth e Carla, i suoi due cocker, lo stavano aspettando pazientemente, quando Van der Graaf gli sparò cinque colpi alla testa.
Al giudice che lo interrogava, il killer disse di aver visto in Fortuyn “un pericolo per i gruppi più deboli della società”, gli immigrati musulmani.
Ma il sociologo olandese, il professore sceso in politica, non venne ucciso soltanto da quel membro della Lega antivivisezione.
Fortuyn fu eliminato dopo una campagna di demonizzazione politica e di stampa senza precedenti nell’Europa occidentale. Qualcosa di simile è avvenuto in Italia con le Brigate Rosse, con i casi di Carlo Casalegno e Marco Biagi.
“E’ pericoloso”, disse di Fortuyn il ministro per l’Integrazione Roger van Boxtel. Ancora più chiaro il giornalista Matty Verkamman: “Professore, hai la mente di Hitler e lo charm di Himmler”. Jan Blokker, editorialista del giornale di sinistra Volkskrant: “Fortuyn sarà il Mussolini del XXI secolo”.
Mentre nelle chiese olandesi si leggeva il Diario di Anne Frank come monito contro Fortuyn, il ministro Marcel van Dam in televisione, puntando il dito contro Fortuyn, dice: “Sei meno di un essere umano”.
Sul quotidiano Het Parool, lo psicologo Jaap van Ginneken dice che Fortuyn vuole introdurre il “Führerprinzip” in una oasi di tolleranza come l’Olanda.
Interviene il premier Kok pochi giorni prima che lo assassinassero: “Ho notti insonni pensando al futuro dell’Olanda”.
Il verde Roel van Dujin paragona Fortuyn a Milosevic. Si sarebbe dovuto scrivere un saggio su come Fortuyn venne sacrificato da politica, giornali e mondo della cultura. Fortuyn se ne va furioso dall’Università di Rotterdam, dove insegnava dal 1991
“Siamo molto meno forti di quel che crediamo”, disse Fortuyn. A suo avviso, la minaccia principale all’Occidente proveniva dalla cultura islamica.
“L’idea che abbiamo della nostra cultura sta diventando pericolosamente relativista”, scrisse. “L’islam fondamentalista non solo rappresenta una considerevole potenza culturale, politica, economica e militare in Medio Oriente, ma sta guadagnando terreno anche in Nordafrica. I sostenitori del relativismo culturale non hanno risposte al riguardo e preferirebbero nascondere la testa nella sabbia. Non ci sono motivi di dubitare che, a lungo termine, il fondamentalismo si rafforzerà anche nella nostra parte di mondo”.
Fortuyn forse sarebbe diventato primo ministro se non fosse stato assassinato. E chissà se l’Europa oggi non sarebbe diversa. Due anni dopo venne assassinato un regista suo amico, Theo van Gogh, che chiamava Fortuyn “il pelato divino”.
La società orfana è l’opera più importante di Fortuyn, il libro che presenta in modo completo la sua visione, restituendoci un profilo ben diverso dal cliché del leader “xenofobo”, “di estrema destra” o addirittura “fascista”, affibbiato a Fortuyn dai suoi avversari, anche italiani (ricordo ancora un vergognoso titolo de La Repubblica a firma di Antonio Polito, “il gay xenofobo che odiava l’Islam”).
Lui stesso leader del movimento studentesco nei primi anni Settanta, Fortuyn denuncia la responsabilità storica che grava sui Sessantottini: non aver accettato di trasformarsi essi stessi in “padri”, adempiendo alla funzione di custodia e trasmissione dei valori occidentali.
Quali? In un capitolo Fortuyn lo spiega: “La cultura umanistica ebraico-cristiana, la nostra. Il relativismo culturale e la mancanza di identità hanno conseguenze se possibile ancora maggiori sul nostro rapporto con le altre culture nel nostro paese.
Esso ci rende del tutto indifesi all’avvicinarsi di queste e anche di fenomeni culturali deplorevoli come il fondamentalismo islamico.
Il relativismo imperante non ha alcuna risposta alla domanda essenziale su cosa sia la nostra cultura e quali norme e valori fondino tale cultura”.
Questo incontro avvenne pochi giorni prima che Fortuyn venisse ucciso. Impressionante.
Qualche anno fa venne organizzato un convegno dal titolo suggestivo: “Da Pasolini a Fortuyn. Il fascino discreto del Friuli”. Questo intellettuale olandese ateo figlio del permissivismo fu il primo ad avvertirci sul rischio che stavamo correndo. Amava le libertà che ci aveva dato la tradizione giudaico-cristiana. E amava l’Italia (aveva casa a Provesano, un paesino vicino a Pordenone, dove oggi riposa).
Per questo, per questo anniversario passato senza neanche un articolo in suo ricordo, regalo i due libri di Fortuyn macchiati del suo sangue e che vent’anni fa vennero tradotti dalla Fondazione Cattaneo.
“Un profeta non è apprezzato nel proprio paese”, disse Fortuyn prima di essere ucciso. Nei suoi libri, scritti quando tutti gli intellettuali si ubriacavano con la “fine della storia”, si può leggere, in filigrana, il tragico destino che attenderà l’Europa.