di Stefano Magni
Il “cittadino” Paolo Bernini (deputato del Movimento 5 Stelle) ha avuto i suoi cinque minuti di notorietà definendo, in aula, l’attentato dell’11 settembre un “inside job”, un lavoro interno. Cioè programmato dalla Cia, non da Al Qaeda. Un auto-attentato.
In realtà il cittadino Bernini e il Movimento 5 Stelle sono solo gli ultimi di una lunga serie di opinionisti e politici che, all’evidenza dei fatti, preferiscono teorie del complotto, utili per spiegare ogni evento storico.
Sull’11 settembre, in particolare, Thierry Meyssan inaugurò la serie, a pochi giorni dall’attentato, pubblicando il libro “L’incredibile menzogna”. Fu il primo a parlare di “lavoro interno”, quando i cadaveri delle vittime dell’11 settembre erano ancora caldi. La sua teoria è stata cambiata, privata di dettagli indifendibili (sosteneva che un missile, non un aereo, avesse colpito il Pentagono, nonostante foto, video delle telecamere di sorveglianza e testimonianze dei cittadini di Washington dimostrassero il contrario), ma arricchita con sempre nuove teorie.
Negli ultimi anni, la teoria del complotto dell’11 settembre si concentra soprattutto su calcoli strutturali. “È impossibile – dicono i complottisti – che le Torri Gemelle abbiano subito un crollo verticale. Deve essere stata, certamente, una demolizione controllata”. Quindi qualcuno deve averla predisposta, quindi è un lavoro interno … Inutile dire che sono a disposizione, anche sul Web, fior di calcoli strutturali che dimostrano il contrario.
Poi ci sono i complottisti geopolitici, quelli che partono dal ragionamento “cui prodest”, a chi fa comodo che le Torri Gemelle siano state abbattute: ovviamente all’America (è questa la loro idea) per realizzare i suoi disegni imperiali. Anche questi geopolitici devono spiegare, però, quale interesse avessero gli Usa a combattere 13 anni di guerra nelle pietraie dell’Afghanistan, con gran dispendio di uomini e mezzi. Fatto sta che l’11 settembre è l’unico grande episodio storico di cui esiste una “versione ufficiale”. Presupponendo che esistano “altre versioni” dei fatti di uguale dignità.
È questa un’evoluzione del modo di fare storia? La storia, inevitabilmente, è sempre “revisionista”. La scoperta di nuovi documenti, fino a quel momento inediti, permette di riscriverla o correggerla. Non ci si può mai fissare su un’unica versione dei fatti, immutabile e perfetta. Il revisionismo, nel corso dei secoli o anche solo dei decenni, ha permesso di correggere la storia del Risorgimento e della Resistenza, della Rivoluzione Francese e di quella Russa, aggiungendo nuovi dettagli e aprendo finestre su nuove prospettive.
Ma non è questo il caso dell’11 settembre. La “tesi ufficiale” è storica, in quanto si basa su documenti, testimonianze e rivendicazioni di Al Qaeda, processi ai pianificatori dell’attentato, dichiarazioni esplicite, scritte e orali, dei suoi mandanti. Le tesi alternative, al contrario, non sono corroborate da prove. Sono solo teorie.
Chi dice che le Torri Gemelle siano crollate per una “demolizione controllata”, non ci ha mai fatto vedere le mine da demolizione, né ha mai raccolto testimonianze di chi avrebbe dovuto piazzarle al loro interno, né tantomeno gli ordini (scritti o orali) di avrebbe dovuto farle saltare. Con tutto il rispetto per i calcoli strutturali che gli ingegneri del complotto diffondo in rete, per una ricostruzione storica manca il tassello fondamentale: la prova documentale.
Chi fa il ragionamento “cui prodest”, non ci ha mai fatto sentire le conversazioni al Pentagono o alla Casa Bianca, in cui l’auto-attentato e la conseguente strategia egemonica sarebbero state decise. Può essere la mente più brillante della geopolitica, ma finché non avrà la prova o la testimonianza che documentino la volontà espansionista degli Usa, la sua teoria sarà sempre campata per aria.
Perché, allora, uno storico dovrebbe farsi il mazzo a cercare prove e documenti, se un opinionista che dice il contrario, senza avere prove, viene ascoltato con altrettanta attenzione? Cosa permette questa involuzione del dibattito storico? È il relativismo, bellezza.
Il relativismo parte dal presupposto che la realtà non esista. È un prodotto della nostra mente. Già il padre dell’idealismo, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, aveva aperto il vaso di Pandora con la sua equazione filosofica “il razionale è reale, il reale è razionale”. I relativisti tolgono la seconda parte dell’equazione, dunque: il razionale (prodotto della nostra mente) è reale. Dunque, perché cercare prove della realtà, se quest’ultima è prodotta da quello che pensiamo? Secondo i relativisti più recenti, che si richiamano alla tradizione del romanticismo tedesco dell’800, la realtà è linguaggio. Dunque, la realtà non è neppure ciò che pensiamo, ma ciò che esprimiamo.
Noam Chomsky, considerato dal New York Times il “più grande pensatore vivente”, ritiene che i “poteri forti”, i detentori della chiave della comunicazione di massa, manipolino i loro sottomessi, utilizzando dieci regole d’oro. La seconda è il principio del problema-soluzione-problema: si inventa a tavolino un problema, per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare.
Questo principio è il cardine di tutti i teorici della cospirazione. La ricerca della verità, attraverso l’uso di documenti e testimonianze permetterebbe a chiunque di scoprire se il problema è reale o creato a tavolino. Ma, per i relativisti contemporanei la realtà stessa è linguaggio, il linguaggio, secondo Chomsky, è dominato dai “poteri forti”, dunque quel che dovrebbe fare un intellettuale è rifiutare tutto ciò che viene comunicato attraverso i canali ufficiali?
La filosofia di Chomsky, filtrata a livello popolare, provoca questo risultato: i “ribelli” del XXI Secolo non credono che esista l’Hiv, credono che i poteri forti manipolino le coscienze con i microchip sottocutanei, diffondano agenti chimici usando aerei civili, che i terremoti siano provocati da armi segrete e sono convinti che l’11 settembre sia un “inside job”, solo per andare contro i “poteri forti” e l’“informazione ufficiale”. È il teorema del “tutto quello che sai è falso” che permette di dire qualunque cosa. Grazie a Internet, qualsiasi realtà alternativa viene diffusa, argomentata e creduta da miliardi di piccoli Chomsky da tastiera.
Perso l’ancoraggio della realtà, la nave della storia può andare a incagliarsi contro qualsiasi secca. È il relativismo, bellezza.