Abstract: Il riciclaggio dei rifiuti non fa bene all’ambiente. Dispendio di energia, uso di composti chimici nocivi, inquinamento prodotto dal trasporto dei materiali da un luogo all’altro sono tra le principali controindicazioni, suffragate da diverse ricerche
Internazionale n.216, 23 gennaio 1998
Riciclaggio una certezza in fumo
Se volete difendere l’ambiente non riciclate questa rivista: bruciatela. Lo sostengono le più recenti ricerche scientifiche. Un’inchiesta di Fred Pearce che ha fatto discutere i lettori di New Scientist
Fred Pearce, New scientist, Gran Bretagna
Perché ricicliamo? Franck Ackrman, professore di politiche ambientali alla Tufts University di Medford, nel Massachusetts, ha usato come titolo di un suo libro proprio questa domanda. A suo avviso il riciclaggio «è uno dei somboli più accessibili e tangibili del nostro impegno a fare la cosa giusta». Negli Stati Uniti, il numero di persone che riciclano supera quello dei votanti. E’ una “religione”, scrive Ackerman, «in una società che produce moli più beni di consumo che fedi convincenti»
In Gran Bretagna, un veterano verde si spinge oltre. Richard Sandbrook, direttore dell’International Istitute for Enviromnent and Development (Ied), un gruppo di ricerca indipendente di Londra, afferma che molte opinioni sul riciclaggio sono state fondamentalmente fuorviate, perché «gli ambientalisti rifiutano a priori qualsiasi argomentazione che minaccia la loro vacca sacra». E cita un nuovo studio che ribalta le idee più diffuse sul riciclaggio della carta e degli altri rifiuti, idee ampiamente accettate sia dagli ambientalisti, sia dai governi e dalle industrie di tutto l’Occidente.
Gli autori di questo lavoro revisionista chiedono che si riesamini in modo approfondito il valore del riciclaggio della carta. Il loro messaggio è: se tenete all’ambiente, non mettete da parte questa rivista perché sia riciclata, l’opzione più verde è quella di bruciarla. La carta usata sta diventando la principale materia prima del mondo, con un giro d’affari pari al 2,5 per cento di tutta la produzione industriale. In gran parte dell’Europa occidentale, oltre la metà della carta da giornale viene riciclata.
Eresia gerarchica
In Occidente l’enorme industria dello smaltimento della carta che gestisce ogni anno circa 130 chili di carta pro capite in Europa e il doppio in Nordamerica – è attualmente oggetto di una ristrutturazione basata sulla premessa che riciclare rappresenti la scelta migliore. Mentre il riciclaggio si afferma sempre di più, economisti, analisti di politiche industriali ed ecologisti cominciano a porre difficili domande Matthew Leach, analista di politiche energetiche presso il Centre for Enviromental Technology dell’Imperial College di Londra, è uno dei principali inquisitori. Con i suoi colleghi si è impegnato per quantificare il costo ambientale complessivo delle diverse opzioni di gestione della carta.
In uno studio pubblicato dall’International Journal of Enviromental Planning and Management, Leach e I suoi colleghi concludono che il riciclaggio è, si, meglio dello smaltimento nelle discariche (l’opzione più diffusa in Gran Bretagna), ma di norma considerevolmente peggio dell’incenerimento. Inoltre, sostiene Leach, «quanto maggiore è il valore che si attribuisce all’ambiente, tanto più l’incenerimento emerge come la migliore opzione».
Sono conclusioni scioccanti per gli ambientalisti cresciuti con gi insegnamenti di Friends of the Earth e di Greenpeace, che credono in una “gerarchia dei rifiuti”, all’interno della quale l’opzione da preferire è la riduzione del consumo di una risorsa, la seconda è la riutilizzazione della risorsa e infine la terza opzione in ordine di preferenza è il riciclaggio. Dopo queste tre opzioni (buone) ce ne sono due (cattive): l’incenerimento e lo smaltimento nelle discariche.
I governi occidentali hanno adottato questo modo di pensare, incarnato, ad esempio, anche dalla direttiva sulla gestione dei rifiuti emanata dalla Commissione europea nel 1994, in cui si stabilisce che entro il 2001 la quota di carta che viene recuperata e riciclata dovrà essere pari al 50 per cento. Nello studio di Leach sono stati analizzati cinque possibili destini della carta: riciclaggio per produrre carta di qualità analoga, riciclaggio per produrre carta di minor qualità, incenerimento con generazione di energia, compostaggio, smaltimento nelle discariche con recupero del metano per generare energia.
I ricercatori hanno quindi esaminato i pro e i contro economici e ambientali di ognuno di questi metodi, includendo i benefici derivati dagli eventuali sottoprodotti, ad esempio la vendita dell’elettricità generata durante l’incenerimento ma anche i costi ambientali nascosti, le cosiddette “esternalità”, ad esempio anidride carbonica, metano, monossido di carbonio, anidride solforosa, e ossidi di azoto. Ai costi di ogni possibile metodo è stato popi aggiunto, o sottratto, il valore in termini di denaro attribuito a questi fattori. Si è partiti dall’idea che l’opzione che sarebbe risultata più economica, dopo aver tenuto conto delle esternalità ambientali, sarebbe stata la migliore scelta di smaltimento.
La peculiarità di questo studio è che alle esternalità non è stato assegnato un valore in denaro scelto da Leach e dai suoi colleghi. Sono stati invece presi in considerazione i valori attribuiti in altre ricerche effettuate da economisti ambientali e si è quindi potuto vedere, utilizzando studi caratterizzati da valori bassi e studi contraddistinti da valori elevati, come la diversità delle valutazioni influisca sulla scelta del metodo migliore.
L’analisi finale si è basata su una cinquantina di ricerche svolte da varie organizzazioni, dall’Agenzia svedese per la protezione ambientale all’Argonne National Laboratory dell’Illinois, alla Federazione europea dei trasporti. Che gli economisti dissentano fortemente sui valori in contanti da assegnare alle sostanze inquinanti non deve sorprendere. Si tratta di una scienza molto inesatta. Negli studi finora pubblicati, i costi ambientali dell’emissione di un chilogrammo di anidride carbonica oscillano tra un dollaro e oltre cinquanta dollari. In alcuni casi, il costo ambientale rappresenta quasi la metà del costo dello smaltimento della carta usata, così come viene calcolato usando il metodo di Leach.
Risultati inattesi
Dalla ricerca di Leach sono emerse conclusioni sorprendenti circa il modo migliore per smaltire la carta. Gli ambientalisti si aspettano probabilmente che i loro studi, nei quali si tende a conferire un valore elevato alle esternalità ambientali, facciano pendere la bilancia a favore del riciclaggio. Gli analisti di politiche industriali, da parte loro, che forse minimizzano il valore delle esternalità, possono presumere che ciò si traduca in un risultato contrario al riciclaggio. Niente di tutto ciò.
Secondo l’analisi di Leach, i lavori che attribuiscono alle esternalità valori bassi suggeriscono che si dovrebbe riciclare l’80 per cento della carta (la quota restante, costituita dalla carta più contaminata e di peggiore qualità – quella che è stata usata, ad esempio, per avvolgere gli alimenti -, è inutile ai fini del riciclaggio e deve essere smaltita nelle discariche). Quando si assegnano alle esternalità valori elevati, invece, la conclusione cui si arriva è che si devono incenerire i due terzi della carta usata, mentre il terzo restante, di qualità peggiore, dovrebbe essere smaltito dividendolo tra il compostaggio e le discariche. La lezione che si ricava dallo studio di Leach è che il riciclaggio della carta risulta sensato dal punto di vista economico se si minimizzano i costi ambientali, mentre, se si tiene all’ambiente, vincono gli inceneritori.
Una delle ragioni di questo sorprendente risultato, secondo Leach, va ricercata nel valore dell’energia generata dall’incenerimento. Un’altra, nel fatto che il riciclaggio richiede grandi quantità di energia e produce inquinamento, in particolare durante il trasporto ai centri di riciclaggio.
All’impianto di riciclaggio della carta da giornale di Aylesford, nel Kent arrivano ogni anno su gomma da tutta l’Inghilterra 30 mila spedizioni di carta, per un totale annuo di oltre quattro milioni di chilometri percorsi (vedi box). Secondo i calcoli di Leach, ciò significa emettere in un anno oltre 5.800 tonnellate di anidride carbonica. Bisogna, inoltre, considerare i percorsi tra le abitazioni dei consumatori e le campane di quartiere dove si raccoglie la carta da riciclare; da uno studio svolto nelle aree rurali del Norfolk è emerso che per ogni tonnellata di carta raccolta nelle apposite campane venivano percorsi in auto 270 chilometri.
Il processo stesso di riciclaggio, in se e per se, ha bisogno di energia. Lo scorso anno, ad esempio, l’impianto di Aylesford ha consumato quattromila tonnellate di olio combustibile pesante e 5.700 milioni di megajoule di gas, pur riciclando in loco energia e calore. Il processo di deinchiostrazione, in particolare, è estremamente “energivoro” e produce un residuo tossico melmoso contenente metalli pesanti in concentrazioni elevati, che deve poi essere smaltito nelle discariche.
L’incenerimento, invece, genera energia. Quasi tutti gli impianti moderno sono collegati a turbine e alimentano così la rete elettrica nazionale. Nella parte settentrionale di Londra, ad esempio, l’inceneritore di Edmonton è in grado di produrre tanta elettricità quanta ne genera una centrale da 20 megawatt. Alcuni impianti, soprattutto in scandinavia, forniscono anche calore alle abitazioni, alle fabbriche e agli uffici vicini. La carta arriva agli inceneritori, così come agli impianti di riciclaggio, per lo più su veicoli a motore; secondo Leach, tuttavia, gli inceneritori che devono smaltire gran parte dei rifiuti domestici, si trovano di norma più vicini alle fonti che li generano e il traffico risultante è dunque molto minore.
Gli alberi e l’atmosfera
Gli inceneritori, è vero, inquinano l’atmosfera. Le diossine che si creano quando bruciano alcuni composti di cloro sono il bersaglio di molte campagne degli ambientalisti. Lo scorso anno tuttavia sono state introdotte in Gran Bretagna nuove, rigorose norme sulle emissioni degli inceneritori e Leach accetta in proposito l’opinione della Royal Commission on Enviromental Pollution, secondo la quale questa normativa eliminerà l’impatto sulla salute. Anche l’anidride carbonica viene spesso considerata un dannoso sottoprodotto dell’incenerimento. Se fossero termodistrutti tutti i rifiuti urbani britannici, carta inclusa, le emissioni nazionali di questo gas a effetto serra aumenterebbero del 3 per cento circa. Ma, sostiene Leach, se si rimpiazzasse con nuovi alberi il legno dal quale è stata originariamente prodotta la carta, questi alberi assorbirebbero la medesima quantità di anidride carbonica.
In effetti, contrariamente a quanto comunemente si crede, solo l’1 per cento della carta del mondo proviene dalle foreste pluviali tropicali; circa i due terzi provengono da piantagioni, o da foreste naturali la cui gestione è caratterizzata da un pesante intervento umano, la maggior parte delle quali si trova nei paesi industrializzati. Canada, Finladia, Svezia e Stati Uniti sono i primi quattro grandi esportatori di carta e cartone. In questi paesi il manto forestale è in aumento. Si calcola che la crescita annuale delle foreste finlandesi, ad esempio, sia di 85 milioni di metri cubi; sottraendo le perdite dovute al disboscamento e a motivi naturali, restano circa 30 milioni di metri cubi. Dal punto di vista dell’anidride carbonica, di conseguenza, il ciclo di incenerimento è “neutro”.
Vantaggi verdi
Se l’incenerimento viene utilizzato per produrre energia, c’è un ulteriore vantaggio per l’ambiente, perché si riduce in proporzione l’inquinamento causato dai combustibili fossili quali carbone e gas bruciati nelle centrali elettriche tradizionali. Secondo le stime di Leach, ogni tonnellata di carta incenerita nel Regno Unito consente di risparmiare approssimativamente 300 chili di emissioni di anidride carbonica.
In direzione contraria va il fatto che si devono bruciare combustibili fossili per produrre nuova carta. Rispetto al riciclaggio della carta usata, la produzione di carta vergine ha un consumo energetico superiore del 25 per cento circa. Leach sottolinea, però, che «le moderne cartiere scandinave, dalle quali arriva la maggioranza della carta venduta in Gran Bretagna, per lo più non bruciano combustibili fossili, ma corteccia e trucioli».
Questo tipo di combustibile è fatto ricrescere localmente, così che le cartiere contribuiscono troppo al riscaldamento globale. Tenendo contro di tutto ciò, Leach afferma che «in termini di energia fossile bruciata per fornire una tonnellata di carta nel Regno Unito, il consumo ella carta vergine è pari a circa la metà di quello della carta riciclata», lasciando da parte i combustibili extra necessari nella raccolta della carta da riciclare.
I risultati di Leach trovano eco in un rapporto dell’Iied pubblicato lo scorso anno in cui viene esaminata una serie di studi economici e ambientali sul ciclo di vita della carta, e si conclude che «secondo gran parte delle ricerche disponibili, in alcune circostanze, l’incenerimento può presentare vantaggi ambientali rispetto al riciclaggio».
Il rapporto dell’Iied mette anche in guardia dai pericoli ambientali connessi alla riduzione del consumo di carta vergine. E’ vero che alcune pratiche forestali, persino nell’ambientalista Scandinavia, sono lungi dall’essere perfette. Ma, continua il rapporto dell’Iied, è probabile che un declino della domanda di legno nuovo determinerebbe un peggioramento degli standard di gestione forestale. Dopo tutto, perché preoccuparsi troppo di una foresta dalla quale forse non si ricaverà mai un profitto? In Finlandia l’industria del legname sta già lasciando lentamente morire alcune piantagioni e attribuisce la colpa di ciò alle politiche dell’Unione europea che promuovono il riciclaggio.
Perché mai, dunque, governi a ambientalisti continuano a favorire il riciclaggio? L’organizzazione Friends of the Earth ha la più lunga tradizione di sostegno al riciclaggio; balzò agli onori della cronaca per la prima volta 25 anni fa, scaricando davanti agli stabilimenti della Schweppes le loro bottiglie usa e getta, con la richiesta che fossero riciclate. All’epoca Sandbrook era uno dei tre funzionari a tempo pieno del gruppo; oggi, direttore dell’Iied, afferma: «La conclusione del nostro studio è che certe campagne verdi sono state chiaramente mal indirizzate».
Argomentazione circolare
E’ ai ferri corti con Anna Thomas, attuale coordinatrice della campagna sui rifiuti di Friends of the Earth. Rivolgendosi agli attivisti locali, Thomas respinge i risultati cui è giunto l’Iied, sostenendo che le analisi del ciclo vitale «potrebbero essere semplicistiche, o non utilizzare dati adeguati». Si sostiene il riciclaggio contro l’incenerimento, perché quest’ultimo inquina, spreca una risorsa preziosa, tende a incoraggiare la produzione di rifiuti e – argomentazione splendidamente circolare – «rappresenta un ostacolo all’incremento del riciclaggio».
I governi sembrano aver seguito quasi ciecamente la linea degli ambientalisti. «La gerarchia dei rifiuti dell’Ue non si è mai basata su alcuna analisi, è stata più che altro un articolo di fede», afferma David Pierce, consulente del governo britannico sulle questioni ambientali tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, epoca in cui sono state prese molte decisioni fondamentali, e attualmente direttore del Centre for Social and Economic Research on the Global Environment presso lo University College di Londra.
La diretta opposizione degli ambientalisti, intanto, ostacola i piani per nuovi inceneritori e i tentativi di collegare gli impianti esistenti a generatori di elettricità. Questa opposizione ha contribuito a convincere PowerGen, la seconda compagnia elettrica britannica in ordine di grandezza, a ritirare i suoi investimenti dai progetti “dai rifiuti di energia”, come ha annunciato lo scorso dicembre. «Ciò crea un vuoto di investimenti in nuovi inceneritori», ha osservato un commentatore sul giornale dell’industria di settore Waste Manager.
In particolare, Powergen ha messo in pericolo il progetto di generare elettricità da un inceneritore che dovrebbe essere costruito a Belvedere, nell’area sudorientale di Londra, e quello di convertire all’incenerimento dei rifiuti urbani la centrale di Kingsnorth, nel Kent.
Un silenzio assordante
Mentre la Gran Bretagna e gran parte dell’Occidente continuano a investire in piani di riciclaggio mal concepiti, le implicazioni dei risultati di queste recenti ricerche, che evidentemente non coinvolgono la sola industria della carta, dovrebbero essere studiate con grande attenzione.
Dagli studi sui cicli vitali di altri rifiuti effettuati dai ricercatori di Pearce emerge che le grandi distanze da percorrere per raggiungere gli impianti di riciclaggio, sommate all’energia consumata dalla selezione dei rifiuti e dalla distribuzione dei materiali recuperati, «possono rapidamente pregiudicare i vantaggi del riciclaggio» In molti casi, per i rifiuti non combustibili, la soluzione migliore potrebbe essere lo smaltimento nelle discariche.
Leach sostiene che «riutilizzare le bottiglie di vetro può consumare più energia della fabbricazione iniziale, perché le bottiglie sporche devono essere sterilizzate». Poiché il vetro è fatto di sabbia, una delle risorse più abbondanti del pianeta, un migliore utilizzo delle vecchie bottiglie potrebbe essere quella di frantumarle e combinarle ad altre sostanze per produrre materiali per l’edilizia.
Eppure, chiunque metta in dubbio il tabù del riciclaggio rischia di essere additato al pubblico ludibrio, oppure, e forse è peggio, di incontrare un silenzio assordante. Sandbrook lamenta il fatto che i gruppi ambientalisti, lo scorso anno, abbiano semplicemente ignorato il rapporto dell’Iied. Quest’estate, nel tentativo di provocare una risposta, ha sferrato un duro colpo scrivendo sull’influente pubblicazione ambientalista Green Futures: «Ci si chiede a volte se alla lobby ambientalista importino veramente i tentativi in atto di cimentarsi con la sostenibilità».
Il risultato? «Ancora silenzio», osserva Sandbrook, «veramente non so se i verdi sono d’accordo, in disaccordo, o semplicemente annoiati dal nostro studio». (S.P.)
CHI RICICLA LA CARTA
Percentuale di recupero. Fonte: Il mondo in cifre 1998, The Economist/Internazionale
Austria (1990) 78
Spagna (1993) 78
Svizzera (1993) 54
Paesi Bassi (1991) 53
Giappone (1993) 51
Australia (1991) 50
Svezia (1993) 50
Italia (1991) 47
Germania (1993) 46
Finlandia (1992) 45
Francia (1993) 42
Portogallo (1992) 41
Turchia (1992) 39
Danimarca (1992) 36
Stati Uniti (1993) 34
Canada (1992) 32
Norvegia (1993) 32
Gran Bretagna (1993) 32
Grecia (1993) 30
Islanda (1992) 30