Si tratta della richiesta del riconoscimento legale, per le convivenze omosessuali, di tutti o di alcuni degli effetti civili che il diritto riconosce ai coniugi, non escluso quello all’adozione di figli. Tale richiesta risponde, talvolta, a motivazioni di ordine pratico ed economico; altre volte, invece, si ispira anche a motivazioni di ordine ideologico, espresse con diversi gradi di radicalità.Le posizioni più estreme chiedono che lo Stato dia un primo passo verso un modello sociale nuovo, individualistico, liberato da un istituto giuridico, quale il matrimonio, che a loro giudizio sarebbe repressivo e obsoleto.
Lasciando da parte questa e altre posizioni estreme analoghe, alcuni cittadini, legislatori e governanti si chiedono se, indipendentemente dalle personali convinzioni al riguardo, non sia ragionevole o addirittura doveroso che la legge prenda atto di certi fenomeni sociali, allo scopo di evitare che nessun cittadino possa venir ingiustamente discriminato a causa del proprio orientamento sessuale o della libera assunzione di forme di vita che non sembrano nocive per terze persone.
Il quesito non riguarda direttamente la ragionevolezza delle pratiche o delle unioni omosessuali in se considerate, ma la ragionevolezza etico-politica delle ordinanze, leggi o altre disposizioni normative civili che le riguardano, anche se certamente i due problemi sono connessi. La convivenza sociale pacifica e giusta esige che vengano riconosciuti a ciascuno non solo i diritti che gli spettano come persona e come cittadino, ma anche che venga riconosciuto il rilievo giuridico proprio delle relazioni che ciascuno liberamente stabilisce o nelle quali è naturalmente inserito. L’essere padre o l’essere figlio, l’essere proprietario o affittuario di un immobile, hanno un profilo giuridico specifico che comporta doveri e diritti precisi.
Ci sono altre relazioni, come per esempio l’amicizia che, pur essendo di grande importanza esistenziale, non possiedono un rilievo giuridico analogo. «L’amicizia non è giuridicizzabile non perché il rapporto che unisce affettivamente due persone amiche non risponda ad una logica comunicativa, ma perché si tratta di una logica comunicativa strettamente privata e di conseguenza insindacabile e non istituzionalizzabile». (D’AGOSTINO, F., Matrimonio tra omosessuali?, in Aa.Vv., Antropologia cristiana e omosessualità, [Quaderni de “L’Osservatore Romano”, 38], Nuova edizione ampliata, Città del Vaticano 2000, p.88).
Tutte le grandi culture del mondo hanno dato al matrimonio e alla famiglia un riconoscimento istituzionale specifico. Il rilievo pubblico del matrimonio si fonda non sul fatto di essere una qualche forma istituzionalizzata di amicizia o di comunicazione umana, ma sulla sua condizione di stato di vita stabile che per la propria struttura, proprietà e finalità, accettate liberamente dai coniugi, ma non stabilite da loro, svolge un’essenziale e multiforme funzione in favore del bene comune: ordine delle generazioni, sopravvivenza della società, educazione e socializzazione dei figli, ecc.
Tale ruolo sociale di rilievo giuridico pubblico non è svolto, neppure in forma analogica, dalle unioni omosessuali, che non si vede come potrebbero essere considerate cellule fondamentali della società umana. La pretesa di equiparazione o assimilazione tra le unioni omosessuali e il matrimonio è manifestamente infondata. «Non attribuire lo statuto sociale e giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali non si oppone alla giustizia, ma, al contrario, è da essa richiesto» (Considerazioni, n. 8).
Si può tuttavia osservare che, come diceva Aristotele, oltre alle cose giuste per natura ci sono cose giuste per convenzione legale. Ammesso che le unioni omosessuali non siano idonee a svolgere il ruolo sociale che, per la natura stessa delle cose, svolge l’unione matrimoniale tra l’uomo e la donna, ci si può chiedere se allo Stato non resti ancora lo spazio per creare legittimamente una o diverse figure di riconoscimento legale delle unioni omosessuali.
Alla fin fine una buona parte delle figure dell’ordinamento giuridico statale sono giuste per convenzione, ed è pensabile che tali figure potrebbero subire dei cambiamenti senza perdere la loro sostanziale ragionevolezza. In termini generali lo Stato ha la legittima facoltà di creare nuove figure legali o di modificare quelle già esistenti. Ma tale facoltà ha molti limiti.
Lo Stato può stabilire che gli automobilisti che fino adesso tenevano la destra nelle strade a doppio senso, d’ora in avanti tengano la sinistra. E poi può decretare che si tenga di nuovo la destra. Ma mentre la materia conserva la sua ben conosciuta impenetrabilità, lo Stato non può permettere per ragioni ovvie che ciascun automobilista scelga in qualsiasi momento e a suo piacimento di tenere la destra oppure la sinistra.
Nelle Considerazioni qui commentate vengono esposte abbondanti ragioni, di ordine etico, biologico e antropologico, sociale e giuridico, che evidenziano che nel concedere un riconoscimento legale specifico delle unioni omosessuali, lo Stato oltrepasserebbe i limiti della sua attività legittima. Questo tipo di ordinanze o leggi sono oggettivamente, al di là delle motivazioni soggettive, antimatrimoniali e antifamiliari.
Le Considerazioni notano giustamente che conseguenza inevitabile del riconoscimento legale delle unioni omosessuali «è la ridefinizione del matrimonio, che diventa un’istituzione la quale, nella sua essenza legalmente riconosciuta, perde l’essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esempio, il compito procreativo ed educativo. Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune» (n. 8).
Ciò che allora risulterebbe del tutto stravolto è la ragione formale per la quale l’ordinamento legale concede un rilievo giuridico pubblico a una forma di vita o di relazione umana. Non più il ruolo oggettivamente strutturante della vita sociale e del bene comune, bensì l’essere espressione dei personali desideri o dell’autonomia privata, cancellando in questo modo l’evidente e innegabile differenza esistente tra il matrimonio e le unioni omosessuali per quanto riguarda la vita sociale.
D’altra parte, il principio di autonomia non è compromesso, e perciò non può essere ragionevolmente invocato. «Una cosa è che i singoli cittadini possano svolgere liberamente attività per le quali nutrono interesse e che tali attività rientrino genericamente nei comuni diritti civili di libertà, e un’altra ben diversa è che attività che non rappresentano un significativo e positivo contributo per lo sviluppo della persona e della società possano ricevere dallo Stato un riconoscimento legale specifico e qualificato. Ci sono invece buone ragioni per affermare che tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale» (Considerazioni, n. 8).
Va tenuta presente in secondo luogo la grande differenza esistente tra un comportamento personale negativo e il suo riconoscimento legale. «Le leggi civili sono principi strutturanti della vita dell’uomo nel seno della società, per il bene e per il male. Esse “svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume” (Evangelium vitae, n. 90). Le forme di vita e i modelli in esse espresse non solo configurano esternamente la vita sociale, bensì tendono a modificare nelle nuove generazioni la comprensione e la valutazione dei comportamenti. La legalizzazione delle unioni omosessuali sarebbe destinata perciò a causare l’oscuramento della percezione di alcuni valori fondamentali e la svalutazione dell’istituzione matrimoniale» (Considerazioni, n. 6).
Nel passaggio dal fatto al riconoscimento legale si produce un innegabile danno a terzi e alla società nel suo insieme. Il danno prodotto a terzi è ancora più grave se venisse accordata alle unioni omosessuali la capacità di adozione. «Come dimostra l’esperienza, l’assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini […]. Inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per mezzo dell’adozione significa di fatto fare violenza a questi bambini […]. Certamente una tale pratica sarebbe gravemente immorale e si porrebbe in aperta contraddizione con il principio, riconosciuto anche dalla Convenzione internazionale dell’ONU sui diritti dei bambini, secondo il quale l’interesse superiore da tutelare in ogni caso è quello del bambino, la parte più debole e indifesa» (Considerazioni, n. 7).
E non si può affermare che questi e altri danni sarebbero giustificabili perché necessari per evitare che i conviventi omosessuali vengano privati dei diritti comuni che essi hanno come persone e come cittadini. «In realtà, essi possono sempre ricorrere —come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata— al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse. Costituisce invece una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale» (Considerazioni, n. 9).
È del tutto pretestuosa l’alternativa o riconoscimento legale o ingiusta discriminazione. Se in qualche parte del mondo c’è qualcosa che sa di ingiusta discriminazione, essa va soppressa per vie che non creino ingiustizie e mali di altrettanta importanza. Un male non si elimina con un altro male. Un aspetto di notevole importanza riguarda la sostanza etica delle disposizioni normative che eventualmente riconoscessero le unioni omosessuali. Certamente il compito della legge civile è più limitato riguardo a quello della legge morale (cf. Evangelium vitae, n. 71).
Di fronte a certi fenomeni talvolta si può o si deve tollerare o tacere. In nessun caso però è possibile legiferare contro il Creatore, la cui intenzione, per quanto riguarda il nostro problema, risulta manifesta e innegabile a partire da dati biologici, antropologici e sociali incontrovertibili. Può darsi che a qualcuno possa piacere di cancellare anche questi dati, ma non può pretendere di servirsi dello Stato e del diritto per tale discutibile scopo. Lo Stato entrerebbe in contraddizione con se stesso se accettasse una tale strumentalizzazione. La comunità politica che riconosce legalmente le unioni omosessuali dà a se stessa una norma politica gravemente ingiusta.
Ne segue sul piano pratico che «in presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all’obiezione di coscienza» (Considerazioni, n. 5).
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