Il rischio dell’anti-uomo

Il Borghese quindicinale 15 settembre 2024

La visione del XX e del XXI secolo di Ernst Nolte

di Giuseppe Brienza

«Se nella testa di Adolf Hitler non si fosse formata l’idea secondo la quale gli ebrei

erano responsabili dei gulag e del cosiddetto Terrore Rosso del 1919 e 1920,

non ci sarebbe potuta essere Auschwitz»

(Ernst Nolte)

Dalla “guerra civile europea” del Novecento, quella cioè che secondo l’interpretazione dello storico tedesco Ernst Nolte si è avuta con il primo scontro globale nel Vecchio continente fra il 1914 e il 1945, comprensivo quindi delle due guerre mondiali, sono discese direttamente delle “tragiche appendici” quali la guerra fredda tra URSS e Stati Uniti, la crisi medio-orientale e quella asiatico sud orientale.

Il nostro mondo, quindi, ovvero quello degli esiti della globalizzazione e della guerra mondiale a pezzi come ha definito l’attuale situazione di conflitto geopolitico e militare Papa Francesco, è figlio diretto dell’assetto e delle dinamiche del secondo dopoguerra. Questo non possiamo né dobbiamo dimenticarlo, né sottovalutarlo.

Il che significa anche e soprattutto dare a ciascuno il suo in termini di responsabilità rispetto allo scoppio ed alle conseguenze del secondo conflitto mondiale. La guerra di massa, a vario titolo e per varie ragioni economiche, militari, politiche e geopolitiche, l’hanno in definitiva voluta tutti i contendenti, non solo la Germania.

Nell’8° anniversario della morte dello storico sbrigativamente (o spregiativamente, il che è lo stesso) definito “revisionista” per antonomasia, cioè Ernst Nolte, morto a Berlino il 18 agosto del 2016 all’età di 93 anni, parliamo con il giornalista e scrittore Massimo De Angelis, che l’ha conosciuto personalmente e, potremmo dire, lo ha avuto negli ultimi anni della sua vita come suo amico.

Massimo De Angelis si è occupato negli ultimi trent’anni di storia e protagonisti della cultura politica della sinistra italiana e del pensiero neoconservatore degli Stati Uniti e, recentemente, ha curato il saggio “I nodi dell’Occidente. Sovranismo individuale, crisi delle democrazie, guerra” (Salomone Belforte Editore, Livorno 2023, pp. 185), con contributi, fra gli altri, di Vittorio Possenti, Mario Tronti, Giuseppe Vacca e Marcello Veneziani.

Comincio a chiederti: come hai conosciuto e che ricordo hai di Ernst Nolte?

Eravamo all’inizio del 1995 e telefonai al prof. Nolte per organizzare uno scambio epistolare in più puntate tra lui e François Furet sul senso della storia del Novecento, soprattutto su fascismo, nazionalsocialismo e bolscevismo.

Scambio che poi ebbe luogo e se ne trasse il libro XX secolo. Per leggere il Novecento fuori dai luoghi comuni, pubblicato nel 1997 per le edizioni di Liberal e successivamente tradotto in varie lingue. D’allora ci siamo rivisti tante volte, a Milano ed a Como per partecipare ad iniziative promosse dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Trieste per convegni storici organizzati da Liberal e poi a Roma in varie occasioni. E naturalmente l’ho incontrato a casa sua a Berlino amabilmente ospitato da lui e dalla moglie Annedore.

Nel tempo è nata quindi una vera e propria amicizia, tanto che nell’ultimo libro autobiografico di Nolte, Storia, Europa e modernità. Intervista a cura di Luigi Iannone [Le Lettere, Firenze 2008, pp. 80] io e Pietro Luca Azzaro, docente nella facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e curatore su incarico della Liberia Editrice Vaticana della edizione italiana della Opera omnia di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, siamo da lui ringraziati per averlo fatto sentire attivo e apprezzato in Italia mentre non era considerato in Germania.

In effetti Nolte, come sappiamo, non è stato “profeta in patria”. La maggior parte degli esponenti della cultura, della politica e dell’università nella sua Germania, come spesso testimoniava amaramente anche lui, lo considerava addirittura una non-persona. E ciò nonostante che, infine, tutta la sua opera abbia inteso, innanzitutto, difendere la nazione tedesca dalla criminalizzazione storica. Come te lo spieghi?

Me lo spiego con la durezza della esclusione in Germania di chiunque provi ad uscire dalla semplice demonizzazione del nazionalsocialismo. Ma proprio a motivo di questa esclusione di chi cerca di capire oltre che condannare il passato tedesco si è determinata negli ultimi ottant’anni la rimozione più che il superamento della tragica esperienza nazionalsocialista. È una condizione bloccata che facciamo fatica a comprendere. Oggi la Conventio ad excludendum si è irrigidita a causa dell’affermazione del partito di estrema destra Alternative für Deutschland [abbreviato in AfD; lett.: Alternativa per la Germania].

Nella seconda metà degli anni Sessanta, però, il libro di Nolte I tre volti del fascismo non poté non essere apprezzato in Germania e negli Stati Uniti e, quindi, da quel momento in poi l’aria cominciò a cambiare. Il problema fu che sopraggiunse l’Ostpolitik (1969-74) di Willy Brandt (1913-1992) con il parallelo spostamento a sinistra della cultura e della politica tedesca. Ciò che determinò la rinnovata esclusione dal contesto pubblico di docenti e uomini di cultura conservatori sia cattolici sia non. Un po’ come in Italia. Pensiamo alla solitudine di studiosi del calibro di Augusto Del Noce e Rosario Romeo per fare solo due nomi.

Ma in Germania c’era qualcosa di ancora più profondo. C’era l’idea che questo popolo dovesse rinunciare a pensarsi come NAZIONE. Specie se riunificato. E questo sia per una forma di criminalizzazione storica sia per non fare paura agli europei. Anche in Germania, invalse l’ideologia del patriottismo costituzionale al posto dell’idea dell’identità nazionale. In fondo era il modello che popolari (di sinistra) e socialisti volevano anche per l’Unione Europea: non unione di popoli ma di regole (neanche di costituzione). Ecco, quindi, la risposta alla tua domanda: Nolte è stato criminalizzato in quanto difensore della Germania come Nazione.

Ci potresti spiegare in sintesi la teoria del totalitarismo di Nolte?

Per Nolte totalitario è quel sistema in cui non è consentita piena libertà di espressione all’altro, all’avversario politico. Il contrario del sistema liberale. Liberale non liberista perché già allora Nolte metteva in guardia all’attuale società liberista, indifferente alla libertà dove domina – diceva – la libera volontà, da intendersi quale indifferentismo alla verità. ù

Altro punto essenziale della teoria noltiana è la differenza tra sua visione del totalitarismo che egli chiamava storico-genetica da quella strutturale alla Hannah Arendt. Nolte era, cioè, convinto che i totalitarismi del Novecento si spiegavano in primo luogo con l’affermazione della rivoluzione bolscevica che minacciava l’annientamento degli avversari politici interni ed esterni e che il nazionalsocialismo era stato che una risposta a quella.

Molto interessanti i suoi racconti di come Hitler era preoccupatissimo delle notizie che gli giungevano dall’universo concentrazionario della Russia di Stalin attraverso, ad esempio, Alfred Rosenberg [(1893-1946)] e alla contestuale indifferenza dimostrata di fronte a tali tragedie da parte degli altri Paesi occidentali.

Veniamo ora ad una delle sue interpretazioni più controverse, la definizione, cioè, del trentennio 1914-1945 come “guerra civile europea” del secolo e, quindi, del nazismo, in una chiave di storia comparata, come reazione “analoga e contraria” al comunismo. Ci potresti sintetizzare?

L'eroismo di crociati perseguitati e martiriÈ appunto la sua teoria del nesso causale, cuore del suo libro Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea 1917-1945, tradotto in Italia [da Sansoni Editore, con un saggio introduttivo di Gian Enrico Rusconi] nel 1989 e del successivo saggio Der kausale Nexus. Über Revisionen und Revisionismen in der Geschichtswissenschaft [Il nesso causale. Su revisioni e revisionismi nella scienza storica] del 2002.

Lo schema è quello schreckbild-vorbild ovvero paura-modello. Hitler ma anche molti tedeschi insieme terrorizzati ma anche ammirati per l’efficacia di certi metodi staliniani pensavano di copiarli prima che fosse troppo tardi. A cominciare dai Gulag, passando dall’eliminazione fisica degli avversari politici e per finire con il crescente ruolo della polizia e via dicendo.

Ma la guerra civile europea metteva in luce un altro aspetto di fondo, presente in tutti i fascismi e anche nel movimento dell’Action française di Charles Maurras [(1868-1952)] in Francia. La paura per il “post-uomo”. Allora questa paura era paventata soprattutto con riferimento alla prospettiva del meticciato che sempre più avrebbe minacciato l’integrità delle nazioni europee. Di qui nasce anche l’antiebraismo di Hitler.

Quali spunti di riflessione ci lascia Nolte in rapporto ai problemi dell’Occidente e del mondo della post-globalizzazione?

Molti. Di Nolte mi ha da subito colpito il suo negare che la ragione sia solo da una parte e il torto tutto dall’altra. Il voler vedere sempre l’altra metà della luna. Potremmo definirlo un approccio “liberale”. Di qui interesse alla storia dei “vinti”, ad esempio a quella dei cattolici vandeani, presentati dalla storiografia “dei lumi” come dei fanatici oscurantisti ma in realtà protagonisti di una legittima reazione a chi li voleva sradicare dalla loro storia in nome di un fanatismo progressista. In questo rilevo un’affinità dello storico tedesco con un altro intellettuale che pure ho avuto l’onore di frequentare e apprezzare: Pier Paolo Pasolini che pure era attento alle “perdite secche” che accadono nella storia.

Direi che per cogliere l’attualità di Nolte occorre concentrarsi su un punto importantissimo, ovvero quello per cui l’uomo è un ente particolare che si apre all’universale. Cioè ogni persona, per essere tale, è radicata in una famiglia e in una terra da cui trae affetti, memoria, lingua etc. E solo così può aprirsi all’universalità dei valori: giustizia, verità, libertà, uguaglianza. Ma oggi cosa succede? Tutti gli aspetti particolari sono sotto attacco. La famiglia e persino l’identità di genere, la Nazione con la sua memoria e cultura. Nolte, per esempio, era assai attento ai motivi di fondo che portavano la globalizzazione a privilegiare individui single il più possibile sradicati da ogni memoria patria e da una fissa dimora.

Abbiamo visto prima i motivi specifici che hanno portato Germania ed Europa a tutto questo. L’ideale del globalismo è sostituire l’individuo alla persona, e non è casuale a questo proposito che nei documenti dell’UE si parli per lo più di individui e quasi mai di persone. Individui sempre più “cittadini del mondo” e senza patria, se possibile senza famiglia, magari concepiti in provetta con seme anonimo, che parlano una lingua “universale”. Atomi che lavorano e consumano finché possono e poi scelgono l’eutanasia perché non lasciano niente e nessuno dietro di sé né alcuno può occuparsi di loro. Non c’è in definitiva di questi “cittadini del mondo” alcun retaggio passato o da lasciare al futuro. Solo presentismo.

E neanche nessun valore per vita spirituale…

Certo. Solo materialismo. È questo l’ideale del progressismo universalista e anti-particolare che per Nolte era il rischio dell’anti-uomo.

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