di Massimo Introvigne
C’è una categoria che non va di moda, ma che tuttavia il «politicamente corretto» non riesce a espellere totalmente dal linguaggio comune: il tradimento. Nonostante tutto, si continua a parlare di «tradimento» quando qualcuno si concede un’avventura amorosa che profana i vincoli del matrimonio.
È paradossale, ma perfino sulla stampa più libertaria si ritrova ancora l’espressione secondo cui un tale – in genere, un esponente politico dello schieramento avverso – è stato sorpreso a «tradire» la moglie. Nell’immaginario collettivo non qualunque modifica di atteggiamento o di impegno è un tradimento. Lo è il venire meno agli obblighi nei confronti dei legami più forti e naturali: la famiglia, la religione, la patria.
Quando i sociologi si occupavano ancora di legami naturali – penso, per fare un solo nome, a Fréderic Le Play (1806-1882) – si diceva che i vincoli che ci ripugna spezzare fanno tutti riferimento alla figura del padre: quel «pater» che è al centro della famiglia e il cui nome etimologicamente si ritrova nella patria e naturalmente nel Santo Padre, la persona a cui la fedeltà è sinonimo della fedeltà alla Chiesa.
In un mondo in cui – come ha detto domenica il Papa in Calabria – «le persone sono immerse in una dimensione virtuale, a causa di messaggi audiovisivi che accompagnano la loro vita da mattina a sera», e questa fuga da tutti i legami reali «ha raggiunto un livello tale da far parlare di mutazione antropologica», resiste ancora – almeno, o specialmente, in Italia – la famiglia. Chi tradisce la moglie o il marito incorre ancora in un certo biasimo sociale, almeno fino a quando non istituzionalizza il tradimento con il divorzio e un nuovo matrimonio, che fanno magicamente sparire il biasimo.
Ma abbiamo molta più difficoltà a continuare a percepire come tradimento il venire meno agli obblighi verso la Chiesa e la patria. La signora allegra che tradisce il «pater» e la famiglia sembra ancora a molti una poco di buono. Ma chi, pur dicendosi ancora cattolico, tradisce e offende il Santo Padre è presentato invece come un ribelle nobile e coraggioso. E di chi tradisce la patria si parla sempre più raramente.
Eppure, esiste anche il tradimento della patria. E non si manifesta solo nelle forme dello spionaggio in tempo di pace e di guerra. La sua forma più insidiosa è la continua denigrazione della patria, che diventa anche sistematico appoggio alle manovre straniere piccole e grandi per indebolirla.
Negli ultimi mesi la politica estera e quella economico-finanziaria internazionale hanno visto numerosi episodi di attacchi all’Italia – dal modo con cui è stata iniziata la guerra in Libia alla repentina vendita di titoli di Stato italiani da parte di banche che fanno capo a governi esteri in un mese in cui nel nostro Paese è tradizionalmente più difficile organizzare una rapida reazione, in agosto –, le cui ragioni sono diverse e complesse.
Una – non l’unica – è l’avversione di Paesi che pure sono nostri alleati alla strategia italiana di creare, attraverso i rapporti privilegiati con la Russia e la Libia, un polo energetico alternativo a quello dominato dalle relazioni che le grandi società petrolifere americane e, in Europa, soprattutto la Francia intrattengono con altri Paesi arabi produttori di petrolio. La Bussola Quotidiana non ha fatto sconti alle reazioni inadeguate dell’attuale governo di centro-destra, che a tratti è sembrato perso soprattutto nelle sue risse interne, di fronte a questi attacchi.
Ma che dire della sinistra, o di Repubblica? Qui ci si è trovati di fronti a personaggi per cui la lingua spagnola ha un epiteto più eloquente ancora di «traditore»: «vendepatria». Ogni volta che dall’estero sono venuti attacchi, la sinistra e i suoi giornali di riferimento li hanno amplificati e rilanciati, quando non li hanno anticipati, evocati e forse perfino organizzati. Il pretesto o la scusa è che questi attacchi all’Italia – se pure rischiano di rovinare centinaia di imprese e migliaia di famiglie – sono «buoni» perché permettono di liberarsi di Berlusconi, l’uomo del «bunga bunga» e delle escort.
Anche qui senza sconti alla discutibile vita privata di Berlusconi – l’unica vita privata però che, grazie a centomila intercettazioni telefoniche, è diventata interamente pubblica, mentre di quella di tanti altri politici nazionali continuiamo a non sapere nulla – la circostanza che sbugiarda questo ragionamento è che gli attacchi all’attuale premier non sono cominciati con gli scandali dei «bunga bunga». Sono iniziati nel 1994, appena ha cominciato a fare politica.
Basta andare in una biblioteca e consultare la collezione di Repubblica. E basta leggere gli attacchi dal 1994 a oggi per convincersi che quello che si rimprovera all’Italia è un «sottosviluppo» non solo economico ma culturale, i cui segnali che danno più fastidio non sono quelli del debito pubblico che aumenta ma quelli della fede cattolica che, nonostante tutto, tiene e della resistenza popolare e anche parlamentare e politica all’eutanasia, al matrimonio omosessuale, alla libertà totale della fecondazione artificiale, a leggi «contro l’omofobia» che in realtà colpirebbero chiunque osasse riproporre l’insegnamento della Chiesa secondo cui il comportamento omosessuale è oggettivamente disordinato.
Anche qui la lettura di Repubblica è istruttiva: è questo che dà soprattutto fastidio, è questo il «sottosviluppo» italiano che deve essere rimosso, se del caso favorendo gli attacchi stranieri. Altro che «bunga bunga»! Come i lettori che ci seguono con pazienza già sanno, questo attacco viene da lontano. Non è cominciato con Berlusconi.
Il filosofo Augusto Del Noce (1910-1989) parlava di un «partito anti-italiano» che nasce con il Risorgimento e diventa egemone nelle scuole e nelle università con Piero Gobetti (1901-1926) e poi con il gruppo che prenderà il nome di Partito d’Azione, con il quale la teoria che identifica il progresso economico e politico con il protestantesimo e l’arretratezza con il cattolicesimo che già da secoli i nemici della Chiesa e dell’Italia andavano sostenendo passa, per così dire, dall’utopia alla scienza.
Il male dell’Italia – si ripete ancora una volta, ora con pretese «scientifiche», per quanto queste siano rapidamente demolite dagli storici dell’economia – consiste nel fatto che il nostro popolo ha rifiutato la Riforma protestante. L’ethos specifico dell’Italia – in quanto irrimediabilmente radicato nella tradizione cattolica e nello spirito della Controriforma, che ha sconfitto in Italia il protestantesimo – diventa così un’eredità negativa di cui, si dice, occorre liberarsi per avviare anche nel nostro Paese un processo di modernizzazione e di progresso, iniziato dal Risorgimento proprio in quanto laico e anticlericale e – in questo senso – autentica «rivoluzione contro la Controriforma» e versione italiana della Rivoluzione francese.
Nasce qui – o si consolida, perché risale nelle sue radici già al Settecento – un partito anti-italiano, che chiede all’Italia di rinunciare al suo ethos tradizionale per non perseverare in una presunta condizione di arretratezza, d’inferiorità e di subordinazione rispetto alle nazioni protestanti, che sono proposte al contrario come modello.
Il divorzio, l’aborto, la liberalizzazione di alcune droghe, la fecondazione artificiale senza limiti, il matrimonio omosessuale, l’eutanasia offrono solo versioni «aggiornate» della solita vulgata: l’Italia è arretrata rispetto alle nazioni «civili» dell’Europa protestante – e magari oggi anche a nazioni un tempo cattoliche i cui leader, come Zapatero, hanno «coraggiosamente» saputo rifiutare il cattolicesimo.
Si tratta allora di «modernizzare» l’Italia a forza, se del caso facendosi aiutare dallo straniero più «civile» e protestante, come insegnano del resto il Risorgimento e i suoi rapporti non marginali con il generoso aiuto britannico prestato a chi promuoveva una certa idea dell’unità d’Italia. Chiunque si metta di mezzo – santo o peccatore non importa, e dunque l’arco è vasto, dal Papa a Berlusconi – dev’essere spazzato via.
È perché è ideologicamente anti-italiano che un certo, vasto partito è intrinsecamente traditore e «vendepatria»: anzi – ed è peggio – non riesce neppure più a rendersi conto che la strada che ha intrapreso è quella del tradimento.