Il ruolo della Chiesa e dei cristiani nel futuro dellEuropa

crocewww.chiesa.espressonline.it 16 settembre 2005

Discorso di apertura della Conferenza internazionale “The role of the Catholic Church in the process of European Integration”, Cracovia, 9 settembre 2005. L’autore è, in Vaticano, arcivescovo segretario per i rapporti con gli stati

Giovanni Lajolo

1. Ringrazio vivamente Sua Eccellenza Monsignor Tadeusz Pieronek per l’invito rivoltomi a parlare in questa prestigiosa Pontificia Accademia di Teologia ad apertura di questa quinta Conferenza Internazionale nel ciclo di incontri dal titolo: “Il ruolo della Chiesa Cattolica nel processo dell’integrazione europea”. E saluto cordialmente Sua Eccellenza Mons. Józef Kowalczyk, Nunzio Apostolico in Polonia, e Sua Eccellenza Mons. Stanislaw Dziwisz, Arcivescovo di Cracovia, Mons. Jan Dyduch, Rettore di questa Pontificia Accademia di Teologia, e tutti i partecipanti a questo incontro.

Il Santo Padre Benedetto XVI, informato di questo mio impegno a Cracovia, mi ha incaricato di trasmettere a tutti il Suo paterno saluto e la Sua benedizione apostolica.

2. Nell’accingermi ora a trattare il tema che mi è stato proposto – Il ruolo della Chiesa e dei cristiani nel futuro dell’Europa – non posso sottrarmi quasi all’impressione di farlo alla presenza spirituale di quel grande Pontefice che è stato Giovanni Paolo II. E ciò per una serie di ovvi motivi:

Il primo: sono nella “sua” Cracovia, e da lui questa Accademia Teologica è stata onorata del titolo di Pontificia.

Il secondo: Giovanni Paolo II ha svolto un ruolo storico riconosciuto nel far crollare, proprio a partire dalla Polonia, l’innaturale divisione dell’Europa imposta da un’ideologia materialista e da un potere antiumano.

Il terzo: il pensiero sul futuro dell’Europa fa parte del suo Magistero e si espresse in numerosissimi interventi, anche di grande impegno dottrinale, dall’inizio del suo lungo pontificato fino alla fine. La sua Esortazione Post-sinodale “Ecclesia in Europa” del 28 giugno 2003 ne presenta una sintesi pregnante nel capitolo VI.

Il quarto: Nel dicembre dello scorso anno, egli stesso, informato dell’invito che mi è stato rivolto di tenere questa conferenza, mi esortò – in una di quelle per me indimenticabili udienze che mi concedeva settimanalmente – a superare le mie esitazioni di fronte ad un tema così impegnativo.

A lui va dunque in questo momento il mio pensiero, sempre pieno di ammirazione e di gratitudine. Ed è ben naturale che tali miei sentimenti si estendano a questa terra polacca, che ha dato alla Chiesa e all’umanità un frutto così meraviglioso, nato dalle sue più profonde ed autentiche radici umane e cristiane.

3. A succedere a Giovanni Paolo II è stato eletto il Cardinale Joseph Ratzinger, che ha assunto il nome di Benedetto XVI. Già nella scelta del nome v’è un inequivocabile riferimento ai valori cristiani dell’Europa, di cui San Benedetto è patrono, come egli stesso non ha mancato di spiegare (1).

Il suo interesse alla questione Europea non data da tempi recenti. Numerosi e sempre di attualità e di alta portata speculativa, come da attendersi da un così grande pensatore e teologo, le sue analisi sulla situazione e le prospettive dell’Europa (2). Non dubito che su questo tema egli avrà occasione di tornare, nella sua veste di Romano Pontefice, negli anni a venire.

Del resto l’attenzione dei Papi per l’Europa – ed intendo riferirmi solo all’Europa della seconda metà del XX secolo – è stata sempre viva, e sempre propositiva. Vorrei solo menzionare il suggestivo Discorso di Paolo VI al Simposio dei Vescovi d’Europa del 18 ottobre 1975; e prima ancora, Pio XII, che già nel 1948 appoggiò pubblicamente l’idea della formazione di una “Unione Europea”, per la quale il cristianesimo doveva costituire un forte fattore di identità ed unità.

4. Quanto accennato mostra che la Chiesa – e la Chiesa al suo più alto livello – ha detto ed ha qualcosa da dire circa il futuro dell’Europa. Ma vorrei ora venire al tema più specifico che mi è stato assegnato. Premetto: le mie riflessioni non intendono essere né di alta speculazione dottrinale né in realtà molto originali, ma, in compenso, possibilmente concrete e chiare.

5. Parlando del ruolo della Chiesa e dei cristiani – come suona il titolo di questa conferenza – già si indicano due problematiche formalmente diverse e specificamente distinte. La Chiesa è per natura sua diversa da qualsiasi comunità politica, ponendosi come autonoma ed indipendente; è così anche a livello politico europeo.

Ciò vale, ovviamente, anche in senso inverso da parte di ogni comunità politica nei confronti della Chiesa. In merito non ho bisogno di rinviare alla ben nota dottrina del Concilio Ecumenico Vaticano II (cfr. Gaudium et spes, cap. IV), in continuità con la classica dottrina del Ius Publicum Ecclesiasticum. Diversa è la posizione dei fedeli cristiani, i quali, in quanto cittadini, e per le nostre considerazioni in quanto cittadini europei, sono a pieno titolo corresponsabili del configurarsi istituzionale e dell’evoluzione storica del loro Paese e dell’Europa.

Precisato questo diverso posizionamento della Chiesa e dei fedeli cristiani, devo però subito rilevare anche una loro relazione fondamentalmente identica, o, meglio, una modalità fondamentalmente identica, comune tanto alla Chiesa come istituzione quanto ai cristiani come cittadini, nel loro influire sul fenomeno politico Europa (e qui vorrei introdurre una non irrilevante precisazione terminologica: parlo dell’Europa in maniera indifferenziata, quale essa è rappresentata nell’Unione Europea, nel Consiglio d’Europa e nell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa: l’Unione Europea in realtà, al presente, più ristretta della realtà geografica dell’Europa, il Consiglio d’Europa e l’OSCE estendentisi ad una realtà geografica più ampia dell’Europa, ma con un baricentro politico in Europa).

Qual è questa modalità fondamentale identica comune? È quella di esserci. Cioè è la loro presenza – della Chiesa in quanto istituzione originaria e del resto preesistente all’Europa come concetto politico, e la presenza dei cristiani in quanto membri della Chiesa e cittadini dell’Europa -; è la loro presenza come realtà umana, sociale, concretamente percepibile nella sua identità religiosa e non confondibile con alcun’altra realtà.

Sarebbe una falsificazione politica se l’Europa volesse ignorare tale realtà o prescindere da essa – come talune forze politiche vorrebbero – e ridurre il fenomeno Chiesa ed il fenomeno cristiani ad un aspetto interiore dell’esperienza umana, al più privatistico, e comunque irrilevante alla natura pubblica della comunità politica.

La presenza stessa della Chiesa, dico. Essa è in sé testimonianza di una realtà che limita la potenziale onnipresenza dello Stato; essa è testimonianza di un ambito della realtà umana e sociale, che non è determinata solo da categorie intramondane; essa è la “città sopra il monte” che vive in una dimensione diversa ed irradia una luce propria, che non può non essere vista. Dice una estensione della realtà umana, ma anche un limite della realtà politica.

È la presenza stessa dei cristiani. Se la comunità politica è giustamente preoccupata della propria coesione sociale, ciò non può avvenire disconoscendo una realtà profonda dei suoi cittadini: la loro appartenenza religiosa. Qualunque essa sia. E ciò comporta, per la comunità civile, una duplice conseguenza.

La prima: la tutela della libertà religiosa dei suoi cittadini, nelle sue manifestazioni individuali e sociali. Se la tutela della libertà è, genericamente, la tutela di rapporti interpersonali nel loro dipendere dalla volontà dei soggetti, la tutela della libertà religiosa mira – nella sua prima origine e nel suo ultimo fine – alla tutela dei rapporti tra la persona umana e Dio: rapporti che, per il credente, sono di tutti i più importanti, e quelli che logicamente condizionano ogni suo altro rapporto personale. Per questo Giovanni Paolo II non ha esitato a dichiarare che il diritto alla libertà religiosa è, tra i diversi diritti di libertà, quello fondamentale (3).

La seconda: il rispetto dell’identità religiosa. Essa è indissolubilmente legata alla prima conseguenza, ma dice qualcosa di più: dice che l’essere e l’apparire del credente, che si manifesta come tale nell’ambito secolare, profano, o laico che dir si voglia, non può essere considerato come un’apparizione di un elemento eterogeneo all’essere sociale (se non addirittura alquanto curioso), ma come parte connaturale del contesto sociale concreto.

Quanto detto vale, o dovrebbe valere, beninteso, ovunque e nei confronti di tutti, dei credenti di qualsiasi religione; ma in Europa, senza possibilità di riserve, nei confronti dei credenti cristiani, essendo le cifre che li riguardano le seguenti: nell’Unione Europea attuale, su di una popolazione di 456.581.000 i cristiani sono 368.870.000 ed i cattolici 262.690.000; nell’ambito del Consiglio d’Europa su di una popolazione di 821.429.000 i cristiani sono 476.082.000 e i cattolici 284.092.000. Nell’ambito dell’OSCE 1.202.129.000 i cristiani sono 727.902.000 e i cattolici 357.772.000. In breve, il peso della presenza dei cristiani, e specificamente dei cattolici, nella compagine europea non può essere disconosciuto con il pretesto di una cosiddetta laicità della comunità politica.

A voler essere realisti, ben più va detto. La presenza della Chiesa e dei cristiani in Europa deve essere accettata per quello che essa è stata nella storia dell’Europa stessa, è al presente e sarà in futuro. Il cristianesimo è il solo vero fattore unificante tra i diversi Paesi europei, diversi per carattere etnico, per lingua, per cultura.

Nonostante tale variegata diversità – anch’essa una ricchezza da tutelare con cura – si riscontra ovunque una fondamentale comunanza nella concezione della natura e della dignità dell’uomo e del suo ultimo destino, nella percezione di specifici valori sociali e nella loro espressione nelle massime manifestazioni culturali sia letterarie che artistiche: basti pensare alle cattedrali, poderose sintesi di vita: e all’origine ne è il cristianesimo.

Esso per primo ha non solo permesso, ma imposto la distinzione dei due poteri, quello religioso e quello civile (4); esso ha dato un dinamismo fortemente responsabile all’attività sociale, a partire dall’attenzione ai più poveri; è da esso che sono sgorgate – sia pure in un processo drammaticamente doloroso – i grandi princípi dell’uguaglianza, della libertà e della fraternità che sono alla base dello Stato